Ho sempre pensato che i gialli non facessero per me: troppo facili da risolvere, troppi indizi sparsi anche nelle prime battute di trama. Tuttavia, dopo questa lettura sono giunta a una conclusione: la vedevo in quel modo perchè non avevo ancora letto i romanzi di Seishi Yokomizo. Già il primo capitolo di questa serie di libri investigativi, Il detective Kindaichi, mi aveva lasciato interdetta, ma con La locanda del gatto nero, tradotta da Francesco Vitucci e pubblicata da Sellerio editore Palermo, credo di aver raggiunto nuovi orizzonti.
Prima di proseguire e disquisire del romanzo, però, parliamo un instante di Seishi Yokomizo, maestro indiscusso del giallo giapponese all’occidentale del ‘900. La sua serie di romanzi, ambientati dal Secondo dopoguerra in poi in varie città del Giappone, è stata pubblicata a partire dal 1946 – riedita ne ’73 – e conta qualche decina di romanzi. In Italia la pubblicazione si deve alla casa editrice Sellerio, che ha reso disponibili già cinque volumi: Il detective Kindaichi, Fragranze di morte, Il teatro fantasma e Il detective Kindaichi e la maledizione degli Inugami.
La locanda del gatto nero (titolo originale Kuronekotei jiken, 黒猫亭事件) è il secondo capitolo della serie di Seishi Yokomizo e nel 1973 venne pubblicato in Giappone all’interno del volume The Murderer in the Honjin.
Tutto ha inizio con un bonzo
È una sera di marzo quando il poliziotto di quartiere butta, quasi per caso, un’occhiata nel giardino della Locanda del Gatto nero. Qualunque cosa si aspettasse di trovare, nel silenzio spettrale della notte, non era di certo il bonzo del vicino tempio impegnato a dissotterrare qualcosa dalla proprietà in ristrutturazione.
La situazione non migliora di certo quando, scavando, ciò che il monaco porta alla luce si rivela essere il cadavere di una donna, morta da abbastanza tempo da renderla irriconoscibile. Se a ciò si aggiunge il fatto che gli ex-proprietari della locanda sembrano essere spariti nel nulla, il mistero non può far altro che infittirsi.
La locanda del gatto nero di Seishi Yokomizo: la mia recensione
La locanda del gatto nero di Seishi Yokomizo rientra nella categoria dei delitti senza volto, in cui il cadavere è talmente sfigurato da essere irriconoscibile. Come ci spiega il narratore nel racconto cornice, investigazioni di questo genere finiscono solitamente con un’inversione di ruoli tra vittima e carnefice. Tuttavia, questo caso pare più interessante degli altri, in quanto sembra che la regola non possa essere applicata (non è uno spoiler, perchè tutto ciò viene affermato già nel prologo, promesso).
Ho trovato la presenza così netta del personaggio del narratore, romanziere il cui ruolo è puramente quello di raccontare la storia, davvero interessante. Mi sono resa conto verso la metà dell’opera di Seishi Yokomizo che noi non stiamo leggendo lo scritto del narratore, quello che poi pubblicherà, una una sorta di resoconto in cui egli non fa che riportarci ciò che gli ha comunicato il detective Kindaichi – di cui ha fatto la conoscenza, in seguito all’uscita del primo libro del narratore, che vedeva l’investigatore come protagonista. Non si è trattato di una rivelazione epocale, ovviamente, ma è stata quella scintilla che mi ha fatto prezzare ancor di più lo stile di scrittura dell’autore.
Sembra quasi che, così facendo, Seishi Yokomizo crei solo per noi un livello intermedio nella storia: non siamo spettatori in prima persona, perchè il narratore stesso legge soltanto i rapporti dei fatti, ma non siamo nemmeno i lettori del romanzo finale; è quasi come se leggessimo la bozza, lo scheletro di quello che poi il narratore presenterà al pubblico. L’ho trovato un artefatto narrativo davvero geniale.
Per quanto riguarda la narrazione vera e propria, lo stile di Seishi Yokomizo è molto scorrevole, veloce, ma anche descrittivo e dettagliato nei momenti opportuni, senza essere pedante. La vicenda fluisce con un ritmo serrato, facendo rimanere con il fiato sospeso. Mi ha stupito che il detective Kindaichi, che dovrebbe essere il protagonista, faccia la sua comparsa soltanto nella seconda parte del volume, quando tutta la prima fase delle indagini si è conclusa. Ciò non toglie che il suo intervento sia essenziale, visto che smantella certezze e smaschera imbrogli.
Ho apprezzato la scelta dell’ambientazione: Tokyo nel 1947. Sebbene il focus del romanzo siano ovviamente il delitto e la sua risoluzione, siamo messi a parte della realtà della vita nella capitale giapponese dopo la fine della Seconda guerra mondiale, di come siano cambiate le abitudini e delle conseguenze che la guerra ebbe anche per le centinaia di migliaia di rimpatriati (cittadini giapponesi trasferitisi nei territori occupati durante gli anni Trenta e Quaranta, che furono obbligati a tornare in fretta e fura in Giappone in seguito alla sconfitta bellica).
I personaggi non si muovono in una Tokyo scintillante, o in quella delle geisha, e neppure in quella rasa al suolo dai bombardamenti, ma una più grigia e stratificata, dove nulla è ciò che sembra.
La presenza di un sommario dei termini e di un indice dei nomi dei personaggi denota la grande cura che Sellerio pone non solo nelle sue pubblicazioni, ma anche nell’agevolare ai lettori l’approccio alle opere di Seishi Yokomizo.
Per concludere, mi sento di consigliare La locanda del gatto nero di Seishi Yokomizo agli amanti del giallo vecchio stile, senza chissà quali sostegni tecnologici, ma anche a chi ha voglia di una lettura veloce e dal ritmo incalzante. Ne vale davvero la pena!
Cosa leggeremo ad agosto?
Per l’appuntamento di agosto di Parole dall’Oriente torniamo nel mondo fantasy. Questa volta, però, leggeremo l’opera di un’autrice malese: La sposa fantasma di Yangsze Choo, pubblicata in Italia da HarperCollins.