Ascoltavo Francesco De Gregori stamattina: mi capita quando ho bisogno di raccogliere i pensieri o di concentrarmi su qualcosa, di cercare rifugio nella musica, quella a cui sono affezionata e non conta certo che sia l’ultima uscita o il brano che scala tutte le classifiche musicali: penso che ognuno stili una sua personale graduatoria che di tanto in tanto rispolvera e riascolta, come fosse la colonna sonora della propria vita. Del resto musica e poesia sono strettamente connesse, quasi interdipendenti e quindi è conseguenziale per chi ama la poesia, amare anche la musica, ancora meglio se accompagnata da testi che sono poesia: la musicalità di certi versi è melodia, come la melodia di certi brani è poesia… Mi chiedo (e questo è un piccolo inciso) c’è un campo minato per la poesia? Io non lo trovo, finora non l’ho mai trovato da nessuna parte. Tutto rientra nella poesia, tutto. Io invece, rientro nei ranghi e mi allontano dalle dissertazioni per non perdere di vista il fine dell’articolo di oggi e… niente, ascoltavo musica dicevo sopra, anzi ascoltavo Francesco De Gregori: uno di quegli artisti che definire soltanto cantautore è assolutamente riduttivo; un artista di quelli che con musica e testi hanno accompagnato e accompagnano ancora, intere generazioni a crescere, a pensare, a guardare il mondo da altre angolazioni; uno di quelli che, per dirla breve, hanno trovato un modo diverso di fare poesia o forse, più realmente si sono riallacciati alle origini, alla poesia più antica, quella dei trovatori, dei menestrelli medievali e, a questo proposito, ti rimando ad una nostra (nostra, come redazione di iCrewplaylibri) pubblicazione di qualche mese fa e al mio articolo in particolare: Viaggio semi-serio alle origini della poesia tra realtà e fantasia, così solo per saperne di più, se ti va.
Ascolto e mi rendo conto di quanta poesia ci può essere in una di quelle che la critica laureata e con la C maiuscola definisce canzonetta (nota polemica? Si, lo ammetto)… E non è soltanto per l’arrangiamento musicale che fra pianoforte e archi, crea una melodia da pelle d’oca e non potrebbe essere altrimenti in quanto l’autore è un maestro da Premio Oscar come Nicola Piovani, ma anche per il testo che accompagna la musica: sinceramente non saprei dire se uno prevale sull’altro, so soltanto che insieme creano Poesia ma di quella con una P gigantesca e poco importa se la critica laureata storce il naso. Davvero, non so se servono altre parole oltre all’ascolto ad occhi chiusi, il testo di per sé esprime ciò che il titolo anticipa: Natale di seconda mano. Ti invito ad ascoltarlo, leggendolo…
Oggi è tempo d’incendi, organizziamo presepi
Dalle stelle tu scendi e ci senti e ci vedi
Addormentati in panchina o indaffarati a far niente
Ed il freddo che arriva, ci brucia e ci spegne
Non c’è nessun segreto, nessuna novità
Non c’è nessun mistero, nessuna natività
Io ti regalo una foglia da masticare col pane
E tu una busta di vino per passare la fame
Sior capitano aiutaci a attraversare
questo mare contro mano
Sior capitano, da destra o da sinistra non veniamo
e questa notte non abbiamo
Governo e parlamento non abbiamo e ragione
Ragione o sentimento non conosciamo
e quando capita ci arrangiamo
E ci arrangiamo
Con documenti di seconda mano
Con documenti di seconda mano
Oggi è tempo d’attesa, organizziamo qualcosa
Mentre balla sul marciapiede, la vita in rosa
Che ci guarda e sorride e non ci tocca mai
Ultimi di tutto il mondo, piccoli fiammiferai
Non c’è nessun perdono in tutta questa pietà
Non c’è nessun calore, nessuna elettricità
E oggi parlano i cani per sentirsi più buoni
Intorno al nostro fuoco cantano canzoni
Sior capitano aiutaci a attraversare
questo mare […] (Natale di seconda mano, testo)
Tratto dall’album Amore nel pomeriggio del 2011, Natale di seconda mano è un brano, una poesia in musica, come altre di Francesco De Gregori, che pone l’accento, tra maestria, ironia e occhi aperti sulla realtà, sul Natale dei cosiddetti ultimi, su coloro che addormentati in panchina, non conoscono ragione o sentimento, non vengono da destra o da sinistra e sono ultimi di tutto il mondo, i piccoli fiammiferai: quella varia e disperata umanità, abbandonata e derelitta di cui il mondo si ricorda esclusivamente a Natale, ma solo per mettere a tacere la coscienza, forse. Stupisce l’estrema attualità del testo: un De Gregori, quasi profetico che dal 2011 anticipa già ciò che sarebbe successo negli anni a venire quando scrive di attraversare questo mare contro mano, di documenti di seconda mano, di richieste di aiuto inascoltate, di povertà, di disperazione senza perdono e senza pietà, (il riferimento ai barconi della speranza è più che chiaro e lampante) mentre noi, persone per bene, organizziamo presepi, senza mistero e senza natività… Il tema è aspro e non racconta di situazioni idilliache o di favole a lieto fine, anzi la brutta e cruda realtà continuerà a perpetuarsi periodicamente con i meccanismi di sempre, dagli albori della storia ai giorni nostri e probabilmente anche per il tempo a venire. Alla faccia di chi, 2019 anni fa, è nato in una stalla per portare l’amore nel mondo, anche Lui vive un Natale di seconda mano, dal suo Nadir allo Zenit.
Ma il Natale di seconda mano è riferito anche a tutte le solitudini nascoste nelle case delle nostre città, alle finte allegrie che animano tavole imbandite, mentre parlano i cani per sentirsi più buoni nel giorno di Natale e azzannare ferocemente in tutti gli altri giorni dell’anno… Le metafore, le allegorie presenti nel testo, le similitudini oltre alla grandissima musicalità (e non potrebbe essere altrimenti visto che si tratta di un brano musicale) rendono il testo degno di essere annoverato tra la vera poesia. E se quanto affermo potrebbe far storcere il naso a chi pensa diversamente, ricordo che se Bob Dylan, cantautore a sua volta, ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura qualche anno fa, un motivo ci sarà e sicuramente, certi brani, non sono solo canzonette.
Un testo di lacerante bellezza che più si ascolta e più si rivela, come spesso succede per tutte le liriche di Francesco De Gregori. Un testo più che mai profetico e attuale la cui crudezza fa riflettere sull’umanità intera, su chi sta al di qua e al di là della linea di confine che separa i poveri dai ricchi ma che, nello stesso tempo, li mischia e li confonde, perché non c’è ricchezza materiale che valga la grandezza del cuore e non c’è bellezza del cuore che si compra con tutto l’oro del mondo. Se questo duemiladiciannovesimo Natale ci insegnasse che c’è molta più gioia nel regalare una foglia da masticare col pane o nel ricevere una busta di vino per passare la fame, avrebbe realizzato il suo vero scopo: insegnare l’amore all’umanità, senza “natali di seconda mano”