Un fiore per Alda Merini, un fiore alla sua memoria nel decimo anniversario della morte…
A lei sarebbe bastato. Un fiore. Un semplice fiore per chi nasce il primo giorno di primavera, stagione per antonomasia della rinascita e della follia: Sono nata il ventuno a primavera/ ma non sapevo che nascere folle,/ aprire le zolle/ potesse scatenar tempesta./ Così Proserpina lieve/ vede piovere sulle erbe,/ sui grossi frumenti gentili/ e piange sempre la sera./ Forse è la sua preghiera. (Sono nata il 21 a primavera, da Fiore di poesia)
Nata il 21 Marzo 1931, morta il Primo Novembre 2009, oggi, nel decimo anniversario della morte l’Italia, il mondo letterario e Milano commemorano Alda Merini, come si fa sempre per i grandi quando non ci sono più. Chissà perchè la morte consacra grandezze che la vita nega. Le hanno dedicato un ponte sul Naviglio Grande, a Milano, proprio lì, dove lei ha dimorato, dove ancora c’è la sua casa. Un ponte di pietra che avrà sentito e raccolto i suoi passi, tutti i giorni. E per ogni giorno una gioia o una pena diversa, il senno o la follia, il dolore o la gioia, l’amore, l’erotismo o l’abbandono, le lacrime o il riso. Le pietre lo sanno, loro si, sanno come raccogliere gli umori di chi cammina, sono lì, silenziose ma presenti e non badano ne si accorgono dei bipolarismi o delle malattie mentali, loro ospitano i passi, li ascoltano, accolgono e basta.
Era folle Alda Merini, così dicevano gli psichiatri, soffriva di bipolarismo. Per lunghi anni e a più riprese, le pareti di un manicomio hanno rinchiuso i suoi liberi voli, l’hanno privata dei suoi affetti più cari, le hanno tarpato le ali, hanno scavato ferite profonde nella sua carne ma non hanno soffocato il suo canto anzi, la melodia, l’armonia della sua voce poetica si è alzata libera e maestosa al di sopra dei muri, al di sopra delle sbarre, a dispetto dei farmaci e degli elettoshock cui è stata sottoposta: [..] Mangerete polvere,/ cercherete d’impazzire/ e non ci riuscirete,/ avrete sempre il filo/ della ragione che vi/ taglierà in due./ Ma da queste profonde/ ferite usciranno/ farfalle libere. (Farfalle libere da Fiore di poesia)
Sono stati farfalle libere i suoi versi, farfalle che attraversano il tempo, farfalle immortali perchè nate dal sangue e dall’anima di una donna folle e geniale, nata nel primo giorno di primavera ma sotto un altro cielo. Un cielo che ha scelto per lei un destino diverso, quello di vedere ciò che gli altri non vedono, di sentire ciò che gli altri non sentono, di provare ciò che gli altri non provano: è il cielo dei poeti che non so se definire benedetto o maledetto, è altro, semplicemente altro.
Io non ho bisogno di denaro./ Ho bisogno di sentimenti./ Di parole, di parole scelte sapientemente,/ di fiori, detti pensieri,/ di rose, dette presenze,/ di sogni, che abitino gli alberi,/ di canzoni che faccian danzar le statue,/ di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti…/ Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia le pesantezza delle parole,/ che risveglia le emozioni e dà colori nuovi. (da La volpe e il sipario, Fiore di poesia)
Il mistero di una vita bordeline che trova la salvezza nei versi, anche questo è stata Alda Merini. L’alone di luce e di magia che oggi circonda il suo ricordo, la favola che la vede povera e reietta, seducente, seduttiva da viva e quasi santa da morta, ha origine dalla caparbia capacità di risorgere sempre dalle sue ceneri: una disperata Araba Fenice che si autodistrugge e risorge per volare più in alto; che scende negli abissi del dolore e della pazzia e poi riprende quota e si eleva più di prima. Ma il dolore che comporta ogni rinascita lo sperimenta, ogni volta, sulla sua pelle, sulla pelle dei suoi ginocchi piagati davanti ad un altare vuoto, dove si scrivono le più belle poesie, e sono i versi della riscossa, quelli che danno nuova vita ma nello stesso tempo si maledicono ora per ora… Le più belle poesie/ si scrivono sopra le pietre/ coi ginocchi piagati/ e le menti aguzzate dal mistero./ Le più belle poesie si scrivono/ davanti a un altare vuoto,/ accerchiati da argenti/ della divina follia./ Così, pazzo criminale qual sei/ tu detti versi all’umanità,/ i versi della riscossa/ e le bibliche profezie/ e sei fratello a Giona./ Ma nella Terra Promessa/ dove germinano i pomi d’oro/ e l’albero della conoscenza/ Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto./ Ma tu sì, maledici/ ora per ora il tuo canto/ perché sei sceso nel limbo,/ dove aspiri l’assenzio/ di una sopravvivenza negata.(da La terra santa, Fiore di poesia)
Questo volume intende offrire al lettore del cammino poetico di Alda Merini che vada al di la dei singoli libretti che annualmente fioriscono sulla terra editoriale italiana, creando spesso miti dell’immaginario e confondendo il lettore avveduto, consapevole che la scrittura, la poesia, è un dato il quale prepotentemente mette nell’ombra ogni cronaca coi suoi eventi. In questa introduzione si aspira a che la biografia della poetessa sia in definitiva solo la vicenda terrena in funzione delle successive creazioni poetiche, così da illuminare la storia di una donna, a cui è toccato il destino della poesia da lei mai tradito.