Ospite per la seconda volta di questa rubrica, Stefano Buzzi con la sua ultima pubblicazione: Volevo fare il cantautore Indie.
Un critico letterario famosissimo e autorevole nonchè poeta e scrittore, Giorgio Barberi Squarotti, (così, per fare nome e cognome) adottava un sistema per le sue critiche che trovo originalissimo, sintetico e di un certo spessore (il nostro, non è certo l’ultimo arrivato oltre ad essere un critico era anche docente universitario di critica letteraria): riusciva in pochissime parole ad esprimere il suo parere, in merito ad un qualsiasi scritto, fosse esso un romanzo, una silloge poetica o anche un autore. Amavo ed amo questo modo di sintetizzare e spesso provo ad adottarlo, non so, però, con quali risultati (scusate se è poco il mio punto di riferimento!). Ed è nell’ottica di Barberi Squarotti che provo a muovermi oggi, per questa recensione. E dal momento che voglio essere seria ma non seriosa, adotto un linguaggio convenevole e per quanto posso, easy.
Stefano Buzzi, è stato già ospite di questa rubrica, anzi a proposito ti rimando alla bella intervista che ha avuto la gentilezza di concedere ad iCrewplay, in merito al suo modo di fare poesia e devo dire che, avendone io curato la stesura, mi ha molto incuriosita, tanto da chiedergli di poter in qualche modo avere il suo secondo libro di poesie: Volevo fare il cantautore Indie. La gentilezza di Stefano, ha superato ogni mia aspettativa: detto, fatto mi ha spedito a casa il libro con tanto di graditissima dedica… e metto qui la foto, non nego di essermi sentita gratificata dal suo gesto.
Libro arrivato e il primo impatto visivo che ho avuto, dopo averlo tolto dalla busta, è stata la copertina: la cover è l’abito del libro, è vero che l’abito non fa il monaco ma il primo sguardo, inutile negarlo, conta. Quello che ho visto è stata una copertina sobria, in bianco e nero, con la foto di una mano che impugna il manico di una chitarra. Ora, per una come me che, a parte amare la musica, adora la chitarra (con il rimpianto di non aver mai avuto la costanza di imparare a suonarla) e che si sente una vecchia ragazza ed ex-rocchettara ad oltranza, già quest’immagine è quanto dire, per ben predispormi alla lettura. Aprendolo, mi sono accorta che anche la veste grafica del libro è originale, saranno contorni o minuzie ma anche questo attira la curiosità di un eventuale lettore.
Ho cominciato a leggere Volevo fare il cantautore Indie di Stefano Buzzi, edizioni Amande e man mano che leggevo, mi è tornato in mente il buon Barberi Squarotti di cui ho scritto all’inizio. Lui, morto nel 2017, avrebbe sicuramente usato poche parole (caro Giorgio, non ti rivoltare nella tomba se oso fare questo parallelismo) e, forse, sarebbero state solo tre quelle per definire questa silloge: originale, fresca, profonda. In ogni caso, al di la di ogni riferimento alla critica laureata, è quello che ho pensato io.
Volevo fare il cantautore Indie, è un libro che racconta un uomo di fronte alla sua vita, alle sue scelte, ai suoi amori. E lo fa con freschezza, con leggerezza, con originalità, con ironia e con sincera profondità. Il poeta-uomo guarda se stesso in rapporto al mondo sentendosi a volte staccato da esso, altre, parte del tutto ma sempre con occhi attenti, scrutanti.
Non ci sono rime, ne metrica precisa in queste poesie di Stefano Buzzi, i versi sono liberi, sciolti e musicali, fa eccezione La Manola, un componimento quasi scherzoso, in rime AABB, in alcune strofe e ABAB in altre, questo così, solo per dare un piccolo dettaglio tecnico che può interessare, ma molto relativamente. Ciò che conta, in una silloge poetica, sono sicuramente i contenuti e quelli non mancano in questo libro.
Poeta è chi sa guardare il mondo con occhi nuovi, chi sa fare dell’ordinario canto e musica, chi attinge dal mondo che lo circonda e dipinge con le parole quadri mai visti: nei versi di Al mercato del duemila, poesia contenuta in Volevo fare il cantautore Indie c’è, a mio avviso, quello che mi piace definire il patrimonio poetico di Stefano Buzzi: nella “bancarella colorata” della sua poesia offre anche “carezze ma nessuno se ne accorge” perchè “uomini legati tutti insieme dicono <siamo connessi> ma poi in realtà latitano sorrisi sinceri fra di loro.
La consapevolezza del poeta è che la poesia sia una carezza di cui nessuno si accorge, in un mondo che si lascia affascinare dalle “sirene della moda”. O ancora, in Frank, sembra quasi lasciare una testimonianza del suo essere uomo-poeta consapevole delle sue paure e dei suoi limiti: “Frank” che è nato e vissuto dove “non si sente più a casa” […] “Frank e le sue idee / Frank e le passioni / Frank che ha sempre pensato al cuore e mai alla cassa […] Frank che non conosce l’ostacolo / il più vile scoglio dei suoi piani / il coraggio”.
Cito questi due componimenti ma faccio torto ad altri, come ad esempio Le Farfalle, Donne, Qui, Voglia di sognare…
E, anche se rischio di dilungarmi troppo in questa recensione, non posso non prendere in considerazione anche le poesie d’amore contenute nella silloge. A scrivere d’amore, in poesia, si corre il rischio di apparire sentimentali e scontati, non è facile scegliere parole nuove per cantare un sentimento vecchio ma importante, quanto il mondo. Eppure, Stefano Buzzi, riesce a rendere originali anche le poesie d’amore presenti in questa raccolta: con immagini insolite, con linguaggio moderno e addirittura con riferimenti telematici come in Amore in fibra ottica. La freschezza, l’originalità e la leggerezza anche nei sentimenti, pur se lasciano ricordi dolorosi.
C’è questo e sicuramente molto altro nella poesia di Buzzi ma se non bastasse, Volevo fare il cantautore Indie, ha un’altra bella originalità se non unica rara, nel panorama letterario italiano di oggi. Nella quarta di copertina del libro si legge: “Perchè questo libro è innovativo? Perchè presenta una struttura inedita nel panorama letterario odierno. L’autore sfida pienamente se stesso in un vero e proprio doppio-gioco letterario.”
Questa definizione mi trova perfettamente aderente: diviso in due sezioni o atti, come Stefano li chiama, il libro, curato da Ivano Mingotti, presenta una prima parte, Atto primo. Poesie, in cui sono raccolte 45 poesie e una seconda parte, Atto secondo. Drabble, che comprende 47 mini racconti, i drabble, appunto.
I temi dei drabble, ovvero racconti che nascono, vivono e muoiono in cento parole, (giuro che le ho contate davvero…) sono anch’essi presi dal quotidiano, vita reale raccontata dall’autore come flash ad illuminare la scena che poi, spegnendosi, lascia il lettore a riflettere. Quindici dei mini racconti contenuti in questa seconda sezione, hanno un tema comune: La visione di Gianni: un piccolo giallo a puntate che coinvolge e la cui soluzione si intravede soltanto alla quindicesima visione.
E dopo questa recensione, penso avrai capito caro lettore, che ho apprezzato moltissimo questa silloge poetica nella sua interezza: auguro a Stefano Buzzi di continuare a dare alito alla sua vena poetica ma di coltivare anche i drabble che personalmente trovo molto originali e riusciti. A te che sei arrivato a leggere fino in fondo questo articolo, non propriamente sintetico, (Giorgio Barberi Squarotti, mi perdonerà…) consiglio la lettura di Volevo fare il cantautore Indie, mi darai ragione, almeno lo spero.
Alla prossima!
Un post molto interessante 🙂
Grazie….! ….e buona lettura…:-)
Colpisce l entusiasmo con cui viene recensito questo libro, che sicuramente ha molto colpito positivamente Pina Sutera.. Ho letto fino in fondo e mi hanno sorpreso i DRABBLE, ( che nn conoscevo): 100 parole esatte per raccontare una storia..! Oltre che incuriosirmi penso alla bravura dell’autore nel comporli.Complimenti!
Effettivamente cara Susi, la silloge di Stefano Buzzi mi è molto piaciuta, quindi, mi è sembrato opportuno dare a Cesare quello che è di Cesare…e a Stefano, quello che è di Stefano… battute a parte, quando un’opera merita perché mostrarsi distaccati? Fermo restando che, un ogni caso, il mio resta un parere soggettivo.
Grazie, per la tua attenzione…e continua a seguirci.