Quando la poesia corre sul filo del telefono e diventa necessità di strane giornate nelle quali il tutto sembra niente e il niente sembra tutto
Ci sono giorni come chicchi di perle, infilati uno dietro l’altro, si rincorrono e si susseguono tutti uguali, allineati, simmetrici, a formare collane di vita vissuta quasi senza soluzione di continuità.
Ci sono giorni in cui il grigiore di pesanti nubi che invadono l’azzurro, sembra riflettersi intorno, sui muri delle case, sulle pareti delle stanze, sulle suppellettili dei mobili e, a guardare bene dentro uno specchio, anche in un volto riflesso che quasi non si riconosce.
Ci sono giorni come nenie antiche che ritornano alla memoria, invadono i pensieri e accompagnano costanti, scandendo tutte le ore, dal mattino alla sera, insistenti come ritmica melodia di note a cascata, sul trascorrere inevitabile del tempo.
Ci sono giorni in cui non si è, non si vuole essere, non si sarebbe mai voluto essere, ne mai si vorrebbe essere. Sono giorni non giorni, scivolano senza passare, trascorrono senza fluire, passano ma non trapassano.
Quei giorni, quelle ore, quegli attimi appartengono a me, a te, a tutti noi. Fanno parte del nostro quotidiano, in misura varia, a seconda dell’individuale baricentro che ognuno costruisce per il suo personale equilibrio. Nessuno ne è esente e tutti in misura differente ne conosciamo la pesantezza, il tedio, lo spleen, tanto per usare un termine poetico d’annata che ben caratterizza quel tipo di stato d’animo.
E ci sono giorni in cui i versi di una poesia tentano di aprire spiragli sulla luce, possono spazzare per un attimo la tristezza, possono colorare di arcobaleno il più grigio dei giorni, possono aprire prospettive inusitate, possono aiutare a scorrere lievemente gli anelli di quella catena che ancora lega a terrene soluzioni. Forse è proprio per questo che qualcuno si è inventato la poesia al telefono…
John Giorno, l’artista che regalava poesie al telefono
Regalava poesie al telefono ed era americano, figlio di emigrati italiani della provincia di Matera, nato nel 1936, morto il 13 Ottobre 2019 (qualche giorno fa), dopo una lunga lotta contro un tumore, John Giorno è stato uno dei poeti della letteratura americana in antitesi alla cultura di massa: un punto di rottura con il precostituito e pre-confezionato, uno spirito ribelle e trasgressivo che ha caratterizzato la cosiddetta beat-generation. Considerato il mostro sacro della Performance Poetry, ha portato lo Spoken Word (la parola parlata) a forma d’arte, probabilmente il Poetry Slam si ispira anche a lui. Le sue opere, le sue incisioni e i suoi spettacoli dal vivo hanno cambiato il modo in cui il mondo vede la poesia. Poeta dalle parole dissacranti e ruvide ma dal suono dolce e tagliente, John Giorno è stato uno dei primi artisti a sperimentare il reading, le letture ad alta voce nei luoghi più inconsueti. Performer di notevole impatto sul pubblico per la sua presenza scenica e le sue qualità vocali, ardito sperimentalista della poesia sonora, e storico attivista delle battaglie contro l’Aids, è anche stato amico e amante del re della Pop Art, Andy Warhol e dello scrittore Beat William Burroughs.
Sperimentatore a tutto tondo, giramondo, di frequente anche in Italia, John Giorno, nel Settembre del 1994 ha partecipato alla rassegna che la città di Cesena ha dedicato alla Beat Generation, ha partecipato a Napolipoesia 1999, Parole di Mare (2000) e Il cammino delle comete (2002). I suoi interessi hanno però spaziato dalla poesia al cinema, alla musica, alla discografia, dall’impegno sociale nella lotta contro l’Aids, alla creazione di varie e numerose associazioni per diffondere arte e cultura in tutte le sue forme. Impossibile non ricordare, a questo proposito, la fondazione Giorno Poetry Systems che introduce definitivamente l’uso della tecnologia nella poesia, lavorando con materiali elettronici e multimedia, creando nuovi luoghi d’incontro per allargare i confini della conoscenza poetica a un nuovo pubblico.
Numerosi i suoi libri, uno fra tutti il più famoso in Italia, You Got To Burn To Shine in italiano Per risplendere devi bruciare del 1994: John Giorno offre i dettagli delle sue intime memorie personali, includendo, fra l’altro, la storia della sua relazione con Andy Warhol, del suo anonimo incontro sessuale con Keith Haring (John e Keith rimangono poi buoni amici) e raccontando i suoi pensieri sulla morte nell’età dell’Aids, dal punto di vista del suo credo religioso di buddista tibetano. Fra le altre raccolte di poesia pubblicate in Italia, La saggezza delle streghe (2006) e John Giorno in Florence 1983-1998 (2012).
Mi piace riportare, anche per conoscere meglio io stessa questo poliedrico personaggio, un ricordo di Teresa Macrì, critica d’arte e scrittrice, tra le ultime curatrici dell’opera di John Giorno:
Quando con trepidazione lo invitai alla mostra You Got To Burn To Shine a La Galleria Nazionale di Roma (Febbraio-Aprile 2019) nel group show che intendeva coniugare la vis concettuale del suo pensiero discordante, John accettò fulmineamente e, con quella sua infinita dolcezza caratteriale e umiltà (inusitata nel mondo dell’arte) iniziò a collaborare appassionatamente con un affetto e una semplicità stupefacente. I suoi poem print, così amati e così condivisi dal pubblico che ne afferrava e ne assorbiva il senso di insubordinazione poetica, non sono stati che l’ennesima conferma di una simpatia simbolica tra l’io e il mondo. John era unico perché possedeva quell’aura che pochi poeti e pochi uomini di mondo hanno in dono, quella qualità empatica di rapportarsi all’esistente con una provocazione gentile ma irriducibile, quel male di miele che aveva deglutito e poi distillato per affermare il proprio sentire. You Got To Burn To Shine, appunto. Per risplendere bisogna bruciare, come John ha fatto nel corso della sua vita bellissima e intensa, senza freni e inibizioni borghesi ma illuminata da una tensione desiderante e radicale che trasmetterà per sempre la sua forza.
Un personaggio, un poeta, un artista che ha vissuto i suoi giorni riempiendoli di iniziative, forse per sconfiggerne il grigiore, forse per non affogare in un mare di solitudine, forse per dire al mondo di guardare oltre i confini del consueto, forse perchè trovava nella poesia e nell’arte la sua valvola di sfiato. Chi può dire o sapere cosa si agita nel profondo dell’anima di un artista che sconfigge il tempo, le convenzioni e la pesantezza di certi giorni con la poesia? E magari anche lui in quei giorni voleva soltanto usare il telefono e raccontare parole in forma di poesia a cuori ed orecchie che avevano bisogno di sentirle (Non so di preciso quante volte ho ripetuto la parola giorno/i in quanto ho scritto oggi ma se tratto un artista che si chiama Giorno, forse, diventa inevitabile l’associazione.)
E se ti starai chiedendo cosa c’entra quanto hai letto all’inizio con John Giorno, dammi un attimo, caro iCrewer, trovo l’aggancio e provo a spiegartelo…
… perchè vedi la poesia trova agganci ovunque: è proprio questa la peculiarità di chi la ama, trovare fili invisibili al comune sentire che stabiliscono strane connessioni fra le cose per cui certi giorni, come dicevo all’inizio, si nutrono del bisogno di soluzioni (di)versificate e trovano quasi curativi i versi di una poesia… E se nel 1969 da New York il nostro multiforme poeta, dava il via al progetto Dial-A-Poem che permetteva, digitando un numero di telefono, di ascoltare cinque minuti di poesia all’apparecchio, penso che in molti hanno approfittato di questa particolare cura e ancora lo ringraziano. Certi giorni hanno solo bisogno di poesia per poter essere vissuti.