Ho temporeggiato a lungo. Ho rimandato. Ad ogni venerdì, nel preparare l’articolo per questa rubrica di poesia, ho pensato che sì, non potevo non trattare l’argomento, ma dovevo aspettare il momento giusto. C’è sempre stata una vocina interiore che mi suggeriva di affrontarlo ma non so quanto inconsapevolmente ho trovato “scuse” per rimandare. A volte le urgenze, altre qualche recensione, altre ancora qualche evento: fatto sta che ho evitato l’argomento. Forse perchè è uno di quelli che sento profondamente e che coinvolge la sfera più profonda del mio essere. Non è facile parlare o scrivere in maniera lucida e distaccata di un argomento che “si sente”.
Non so se questo è il momento giusto, non so se c’è effettivamente un momento giusto per parlare o scrivere a cuore aperto, però adesso che sto scrivendo mi accorgo che le emozioni stanno prendendo il sopravvento. Spero di riuscire a mantenere il necessario distacco per non cadere o scadere, in quel sentimentalismo che definisco bieco e che, come tutte le cose con desinenze in “ismo”, mi dà il voltastomaco. Penso che la razionalità, sopratutto nel tema che voglio trattare oggi, sia fondamentale. Fede è ragione. Ed una fede non ragionata e razionale non è vera fede.
Poesia, fede e razionalità? Sì, senza nessun dubbio.
Questa ampia premessa mi è servita a ribadire il concetto che la poesia abbraccia ogni campo emozionale della sfera umana e la fede (parlo di fede in Dio perchè anche abbracciare un ideale umano, è fede) ne è una parte integrante, a volte totalizzante. La fede però non è emozione: una fede è matura quando è pensata, ragionata, analizzata, indagata, esaminata, scandagliata e sviscerata. E anche quando, paradossalmente, non dà tutte le risposte che si vorrebbero ma si crede ugualmente e ci si affida e abbandona come un bimbo tra le braccia materne. L’emozione nasce dallo scoprire e comprendere il grande progetto che Dio ha per ogni sua creatura nessuno escluso e la poesia tramuta, se riesce, questa emozione in parole. A volte anche senza riuscire a spiegarla come meriterebbe, perché in certi casi il silenzio contemplativo è meglio di mille parole.
[…] Usare vorrei parole mai scritte/ inventare linguaggi sconosciuti ai poeti/ per renderteli, nadir e zenit d’infinito./ Ma contemplo il Tuo immenso e resto muta: le parole si tacciono, non servono, non bastano, non le trovo./[…] (Offerta, inedito)
Può darsi che la poesia ispirata dalla fede sia un bisogno di esternare tutta la carica emotiva che una conversione porta con sè, come può darsi che Dio ha bisogno anche di voci stonate per arrivare alle orecchie più sorde; oppure il bisogno e l’impellenza di comunicare la “conoscenza” e di annunciarla (mi sarete testimoni fino ai confini del mondo), in certi animi, si traduce in poesia: di fatto la poesia cosiddetta religiosa ha la sua bella storia da raccontare dal Duecento ad oggi e ogni “voce” offre quello che può e come può, nella piena consapevolezza di essere polvere nella polvere e fango nel fango.
Offrirti voli d’aquila/ planimetrie solari e luminose /e melodiosi canti,/ in ghirigori di ali spiegate,/ alti, liberi e maestosi, vorrei./ Perdono ti chiedo/ di questa voce stonata/ di queste ali tarpate/ di questa umana fragilità/ che a terra mi costringe./ (Voli d’aquila, inedito)
Poesia e fede, un po’ di storia…
Da sempre il bisogno innato dell’uomo di comunicare in qualche modo con il divino, è scaturito in versi orali o scritti e chissà quanti sono andati persi e quanti altri sono rimasti nel cuore o nei cassetti di chi si apre alla fede. Una delle prime testimonianze di poesia e fede arriva direttamente da quel libro che pur avendo migliaia di anni, ancora non finisce di stupire e di essere attuale: parlo della Bibbia. Il cantico dei cantici o i Salmi in essa contenuti, sono un fulgido esempio di poesia religiosa: il popolo ebreo da sempre monoteista, si riconosce grato per i benefici ricevuti e sempre bisognoso di aiuto e innalza il suo canto, ora esultante ora accorato, a Colui che è e che tutto può.
Benedici il Signore anima mia,/ quanto è in me benedica il suo santo nome./ Benedici il Signore anima mia,/ e non dimenticare i suoi benefici…[…] (Salmo 103). Come una cerva anela ai corsi d’acqua,/ così l’anima mia anela a te, Dio./ L’anima mia ha sete di Dio,/ del Dio vivente./ […] (Salmo 42). […] Egli ti coprirà con le sue penne/ e sotto le sue ali troverai rifugio. […] Non dovrai temere lo spavento della notte,/ la freccia che vola di giorno/ la peste che vaga nelle tenebre,/ il flagello che infuria a mezzogiorno./ […] (Salmo 91).
Le allegorie, le metafore, la simbologia contenute nei versi di questi due libri della Bibbia, non finiscono mai di stupire e incantare: malgrado un cammino storico lungo millenni, nel cuore dell’uomo si agitano sempre gli stessi sentimenti di paura, bisogno, riconoscenza, gioia, esultanza, amore, tristezza e ansia per il futuro. Come dire siamo impastati di carne e anima e nessun progresso cambierà mai la nostra essenza. Malgrado noi stessi.
In Italia, la poesia religiosa si sviluppa nell’ XI secolo, con l’affermarsi della lirica italiana. L’Umbria dei monasteri e dei grandi santi innalza a Dio laudi orali caratterizzate da metrica semplice e versi uniti tramite assonanze. Originariamente queste liriche erano unicamente orali ma progressivamente furono raccolte in laudari, dove i testi vennero suddivisi per temi o in base all’ordine delle festività religiose.
La poesia religiosa è considerata la prima forma di letteratura italiana: l’Anonymi carmen De ludibus Domini, composto da 148 esametri (versi tradizionali dell’epopea greca e romana) è, per gli addetti ai lavori, il primissimo esempio di poesia religiosa cristiana… E poi venne Francesco, il poverello d’Assisi, con la meravigliosa semplicità del suo Cantico che ho già trattato in precedenza e al quale ti rimando, se vuoi. A lui seguirono Iacopone da Todi, Bianco da Siena, il Sommo Dante e la sua Divina Commedia e molti altri nei secoli a venire, ad inseguire versi da offrire o rendere, a raccontare bisogni di assoluto e moti profondi dell’anima, a riconoscersi creature bisognose del loro Creatore, a porre domande senza risposte perchè vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare.
I laudari (ne restano circa 200) ebbero come centri di produzione soprattutto Perugia e Assisi. Le laude erano liriche e drammatiche, pasquali e passionali, secondo l’argomento religioso trattato. Solo con Iacopone, tuttavia, la lauda si elevò a dimensione artistica.
Dicono che le sorgenti d’amore siano le lacrime/ ma il pianto non è che un umile lavacro dei tuoi pensieri. […] Tu sei un Dio materno e plurimo,/ un Dio che si disconosce e che si converte,/ un Dio buono come l’odio e la gelosia, un Dio umano che si è fatto croce,/ che si è fatto silenzio,/ un Dio che si converte in estasi ma che conosce il mistero della collera/[…] (Corpo d’amore, Alda Merini)
Per avvicinarci a tempi più recenti, riporto i versi della solita Alda Merini: penso e aggiungo senza presunzione, che non ci sia poeta, dal più grande e famoso al più piccolo e sconosciuto che almeno una volta nella vita non si sia posto domande sulla fede o rapportato con Dio. Credente o atea conclamata, un’anima sensibile non può ignorare l’argomento e confrontarcisi. Se poi l’incontro diventa scontro, dipende dall’individualità di ognuno, dalle esperienze di vita, dalla formazione e sopratutto dalla capacità di aprirsi “all’oltre” con umiltà, intelligenza e razionalità, tenendo ben presenti i propri limiti.
Spesso la differenza è data da una semplice consonante, la D che posta davanti alla I di io, cambia la prospettiva e la visuale di tutte le cose. La conquista e la consapevolezza di quella semplice D costa fatica, a volte sofferenza e include la capacità di abbassare se stessi (cosa non semplicissima) ma apre all’universo.