Quando un nome su una copertina innesta i ricordi, è evidente che quel nome ha lasciato una traccia e le tracce, prima o poi, riportano a quel nome… e se quel nome, scrive versi che raccontano la vita, io, te li propongo.
È proprio così che funziona. A volte basta un nome sulla copertina di un libro, a fare riaffiorare una valanga di ricordi che credevi trapassati e che invece, sono sempre lì, fermi, in attesa di essere ricordati. Un nome e si accendono mille lampadine ad illuminare il tempo di una bambina che sapeva appena leggere e, sbirciando nelle riviste dei grandi, si tuffava in novelle e racconti che a stento capiva ma che la trascinavano in un mondo adulto fatto di storie affascinanti: erano le sue piccole fughe avventurose, rubate ai grandi e ai giochi, in un mondo che adesso non c’è più, forse un’esistenza fa.
Perchè ti sto raccontando questo stralcio di vita? Forse penso che anche a te sarà capitato un episodio simile o, più probabilmente, perchè ho incontrato l’autrice che oggi voglio proporti, per la prima volta da bambina, tra le pagine di riviste e settimanali che ospitavano le sue novelle e i suoi racconti e, quando ho rivisto quel nome scritto in una delle raccolte di poesia che circolano per casa (no, non hanno i piedi, non camminano ma sbucano da ogni dove, quasi avessero vita propria), la memoria è andata a ritroso nel tempo: sto parlando dell’autrice siciliana Anna Maria Bonfiglio che ha cominciato la sua “carriera” pubblicando racconti sulla rivista “Bella”, un settimanale della Rizzoli Editore che non so se è ancora in circolazione.
Anna Maria Bonfiglio è nata a Siculiana (AG) e risiede a Palermo. Giornalista pubblicista, ha collaborato per alcuni anni con i settimanali Bella di Rizzoli e Vera di GVE; suoi articoli letterari e recensioni sono stati pubblicati dal mensile SiciliaTempo, dalle riviste Insicilia, Silarus, Kaleghè, La Nuova Tribuna Letteraria. Ha curato un corso di analisi ed interpretazione del testo poetico presso l’Istituto Professionale CEP di Palermo e un laboratorio di scrittura creativa presso la sede regionale ENDAS Sicilia; è stata per nove anni presidente dell’Associazione Scrittori e Artisti; ha diretto il periodico Insieme nell’Arte e il giornale online Quattrocanti. In poesia ha pubblicato dal 1978 al 2018 circa quindici volumetti di versi che evito di elencare ma che puoi trovare in rete, e per alcuni di essi, ha ricevuto premi. Inoltre, si è dedicata alla narrativa e alla saggistica.
“Di tanto vivere”, pubblicato nel 2018, Caosfera Edizioni, con la bella prefazione di Valentina Meloni, è una raccolta di 98 pagine di poesia suddivisa in quattro sezioni: Discorsi, Stanze, Atterraggi, Miserere.
Il filo conduttore della raccolta e di ogni sezione è gestito dalla sensibilità dell’autrice con il suo osservare la vita quasi in disparte, guardando attraverso la lente della poesia, vita che scorre inevitabilmente, con un linguaggio poetico maturo e non artefatto, privo di sentimentalismi, ma struggente, cosciente e consapevole. In Discorsi, un universo di parole costruite come opere architettoniche ad esplorare luoghi, stanze e circostanze, i versi sembrano quasi prendere vita propria e sovraneggiare su ogni dolore, su ogni offesa che il “tanto vivere”, immancabilmente comporta. “Ora che la vita stride fra le ossa/ ammalorate/ la viola incide l’arco minimale/ del canto che vorrebbe lievitare/. E l’accompagna un suono come d’incanto/ un incendio che esplode e si fa verso/” (Canto minimo). La musicalità che si nota in questi versi, accompagna tutta la raccolta, porgendo al lettore, oltre la profondità delle tematiche, anche il piacere della lettura.
Nelle Stanze (seconda sezione della raccolta) della sua poesia Anna Maria Bonfiglio risiede, facendone i luoghi del vivere e dell’essere, usandole oltre che come guscio protettivo o spazio circoscritto, come metafora del suo isolamento: un ostacolo, un impedimento fisico che però non è limitante perchè dalle sue “stanze interiori” nasce il canto: “Si è consumato sempre nelle stanze/ il desiderio di correre/ ora ho soltanto voglia dei tuoi piedi/ che mi raccontino la strada/ e la fatica nella sera breve/ quanto un sorso d’aria/.”
La terza sezione Atterraggi è, a mio avviso, la naturale evoluzione delle prime due. Dal discorrere, dal vivere metaforizzando le Stanze dell’esistere, l’autrice approda al ridimensionamento del sogno, al risveglio, all’immersione in una realtà costrittiva e debitrice nei suoi confronti “Destinataria ignara di un credito/ che non verrà mai esatto/ ho avuto la pretesa/ di pareggiare i conti con la vita/. Non ho saputo in tempo/ che la filosofia del carpe diem/ era l’unica fattura in mio possesso/” (Credito). Una lucida e impietosa visione che rende, forse, duro l’atterraggio sulla realtà ma che smette di raccontarsi favole.
“Miserere”, quarta ed ultima sezione della raccolta, è quella che ho preferito: l’attualità dei temi trattati, una scrittura meno intimista e ripiegata su se stessa, più rivolta al mondo e alle sue problematiche, me l’hanno fatta apprezzare, devo dire, più delle altre sezioni. Le finestre della poesia, stavolta aperte sul dolore altrui che diventa canto, grido accorato e denuncia per un’umanità di seconda categoria lasciata morire in mare, sui roghi di ciechi regimi, o venduta sulle strade del mondo. Una sezione, dedicata quasi per intero agli ultimi, ai vinti, un Miserere che urla giustizia e condizioni di vita migliori: “Giorni senza futuro/sotto la pietra viva della pena/ a marcire scampoli di ore/. Dov’era la piena/ non bastano gli argini/ a frenare dissidi e tumulti/. Dov’è la libertà/ che urlava per le strade/ il riscatto dei vinti?/ Davanti a noi oscura eredità/ da lasciare alla terra/.” (Falsi miti)
Di lei hanno scritto: “[…] L’autrice sa sostituire benissimo il sentimento con l’immagine psicologica, questo mi pare il suo più vero segno distintivo” (A. Camilleri). “Versi gradevolmente legati a remote auree poetiche. Oggi che la poesia somiglia spesso a una camera di tortura sperimentale, può essere meritorio coltivare un’educata grammatica dei sentimenti” (G. Bufalino). “Ho letto la sua raccolta di versi sempre piena di un’acuta sensibilità morale che conduce il suo discorso poetico verso la meditazione la sentenza con una nettezza di modi e di forma che lo rendono vivo e persuasivo” (G. Barberi Squarotti).
Non è leggera la poetica di Anna Maria Bonfiglio, va masticata piano per essere digerita e inglobata. Le novelle e i racconti che leggevo da piccola, erano più facilmente assimilabili: la vita, il tanto vivere, inevitabilmente cambia e modifica le nostre prospettive. Così per Anna Maria, così per te e così anche per me.
A venerdì prossimo.