Poesia e poeti dialettali sono più numerosi di quanto si possa pensare: la tradizione dei dialetti locali, si coniuga ancora con la modernità, ne sono testimoni i vari concorsi letterari, disseminati sul bel suolo italico che ospitano spesso fra le varie sezioni, anche quella per componimenti poetici in dialetto.
Che l’Italia sia stretta e lunga lo sappiamo bene e da nord a sud i dialetti locali sono innumerevoli: almeno uno per ogni paese. E volendo essere precisi e puntigliosi, al sud in particolare, si assiste spesso a piccole variazioni di pronuncia anche fra un quartiere e l’altro del medesimo paese. A dimostrazione del fatto che le influenze lasciate dalle varie dominazioni fanno ancora sentire i loro effetti, a dispetto di tutte le globalizzazioni.
Se da un lato è vero che la scolarizzazione ha creato una lingua uguale per tutti che consente di comunicare in maniera univoca, dall’altro specie negli ultimi tempi, si assiste ad una rivalutazione dei dialetti locali anche grazie alla poesia che da sempre, nelle sue forme dialettali, è espressione non solo di tradizione popolare ma anche di cultura.
Il dialetto è tradizione, linguaggio, cultura, storia e, quando questo si esprime in poesia, fa emergere il pulsare della vita vissuta. Il dialetto è un elemento essenziale nella definizione e nello sviluppo dell’identità culturale di una comunità che non va intesa come contemplazione nostalgica che ingessa il passato, ma che si arricchisce nel divenire.
La poesia dialettale è, sì, espressione di tradizione ma non si può relegare soltanto a un ricordo del passato: anche oggi molti autori si cimentano con la poesia dialettale e non per puro esercizio di scrittura ma come ricerca culturale di quella lingua madre che anticamente era la sola conosciuta, coniugando così storia e poesia, radici, cultura e futuro.
Poesia e poeti dialettali tra radici e futuro
La cultura di un popolo non si crea dal nulla. La cultura di un popolo affonda le sue radici nella tradizione: quella italiana è fatta di tante piccole e grandi realtà locali, ognuna con le sue diversità che la rendono unica e ognuna con un passato storico che influenza il presente. La cultura, la poesia, sono espressioni concrete di quelle piccole e grandi realtà locali che messe insieme si chiamano Italia.
L’Italia è lunga e stretta dicevo prima ma è soprattutto un coacervo di culture diversissime che convivono da nord a sud, interagiscono fra loro, culture che si esprimono anche attraverso la poesia dialettale, contagiandosi e arricchendosi vicendevolmente.
Se i dialetti tendono a scomparire, fagocitati dalla globalizzazione, è compito della cultura preservarli, proprio per non rinnegare quelle radici che hanno reso così diverso e particolare il nostro Bel Paese. La poesia dialettale in quest’ottica ha reso e rende ancora un gran bel servizio alla cultura perché i poeti, nella loro acuta sensibilità, sanno che “le radici sono importanti “.
Dialetti diversissimi fra loro, spesso incomprensibili, popolano poesie che, scaturite dalle varie penne poetiche regionali e paesane, mostrano quanta varietà, ricchezza di linguaggio e cultura permeano la nostra storia.
Non pensare caro lettore che la poesia dialettale sia soltanto prerogativa dei poeti di una certa età che, nostalgici, vanno alla ricerca dei tempi passati: nulla di più sbagliato. Fra i poeti che scrivono in dialetto ci sono molti giovani e giovanissimi. E meno male, mi viene da dire! Perché tale tendenza rappresenta la sensibilità verso quella cultura che non uniforma e impacchetta standard tutti uguali, fatti con il copia-incolla ma diventa un gran bel segno di apertura verso quella diversità che rende unici.
Per darti un assaggio e una piccola dimostrazione della varietà della poesia dialettale italiana ti propongo, da nord a sud, alcuni stralci di brani cui aggiungo doverosamente la traduzione. Ho scelto alcuni poeti contemporanei che coltivano più o meno frequentemente il dialetto, senza dimenticare i “classici” poeti dialettali universalmente conosciuti, fra essi Belli, Trilussa, Guerra e il “mio” Buttitta, solo per citarne alcuni.
Nuovi poeti dialettali
Comincio con Daniele Gaggianesi, nato nel 1983 in provincia di Milano che ha imparato il dialetto milanese dai nonni malgrado il divieto, da parte dei genitori, di usarlo “per parì minga on paesan” (per non sembrare volgare).
Sèmm chì, ghe disaroo la verità:/ ’vègh in man ’sto dialètt ch’el dìs pù nient,/ ch’el scappuscia in su la lengua, impastaa,/ me mètt indòss ’na luna, on sentiment:/ come vèss forestee dent la mia cà,/ o boccà de sfròs a cà d’on amìs,/ dervì in silenzi l’uss de quèll là/ che el te scondeva el sò indirizz precìs./ […] (El mè dialètt da Quando finissen i semafor) (Il mio dialetto, da Quando finiscono i semafori)
Siamo qui, vi dirò la verità:/ avere in mano questo dialetto che non dice più niente, / che inciampa sulla lingua, impastato, / mi mette addosso una luna, una sensazione:/ come essere straniero in casa mia,/ o entrare di nascosto a casa di un amico,/ aprire in silenzio la porta di quello là/ che ti teneva nascosto il suo indirizzo preciso./ […]
Dal nord scendo verso il centro, precisamente in Abruzzo con Giuseppe Rosato, nato nel 1932 a Lanciano. Pluripremiato e altrettanto famoso ha pubblicato moltissime raccolte poetiche in dialetto ed è autore di antologie per le scuole. Lo stralcio di poesia che ti propongo è in dialetto lancianese ed è tratta dalla raccolta La ’ddòre de la nève (L’odore della neve)
Nu spròvele de nève, che gné cquande/ se vulé fà assendì t’ha resbejate/ a notta fónne (e tu gné a na chiamate/ si’ ite a guardà ’rrete a la persiane),/ vé a dàrete lu salute: è mmarze,/ ggià té/ spuppà le piande – te vò dice –/ e le sacce ca tuttanome penze/ sole ca è pprimavére./[…]
Una spolverata di neve, che come / se ti si volesse far sentire t’ha svegliato / a notte fonda (e tu come ad una chiamata / sei andato a guardare dietro la persiana), / viene a darti il saluto: è marzo, / già le piante germogliano – ti vuole dire – / e lo so che tutti pensano / solo ch’è primavera./[…]
E, per finire, il Sud e scusami ma non potevo che scegliere la mia Sicilia, dove la poesia dialettale rende ampiamente merito ad una terra dagli svariatissimi dialetti, ricca com’è di tradizioni, storia e variegata cultura. Ho scelto un poeta di mia conoscenza, Filippo Giordano: nella sua produzione ha dato rilievo alla sua lingua-madre, andando alla ricerca di vocaboli e parole ormai in disuso, proprio per non permettere che si dimentichino.
Ho scelto alcuni significativi stralci da I palori, (Le parole) poesia contenuta nella raccolta in versi dialettali Scorcia ri limuni scamusciata (Buccia appassita di limone), che pone l’accento proprio sulla ricerca e la valorizzazione delle parole dialettali ormai in disuso, che la fantasia del poeta umanizza come nelle favole antiche:
Canusciti ddi palori caddusi/ chi sciurianu a tutti l’anghjuni/ unni c’erinu cristiani ri stu paisi?/ Erinu pari pari nna si vaneddi,/era china ogni vaddi e muntagna./Appui si nfrunijeru ppi via ri li onti/ ‘llettrumagnetichi ra televisioni./ Corcuna l’attruovi ancora o Caluognu…/ opuru a Purtedda ri Bruzzillinu,/ sula sulidda,/ ru vistiamaru ancora allisciata.
Iddi, l’amici, turnannu runni sunu/ (addabbanna ru mari,/addabbanna ra muntagna)/ pigghiaru i palori, i sfruniaru, i vuncieru./ I paroli, priati r’essiri assiemi/ ruoppu tant’anni, com’erinu prima,/ ci rissiru a iddi:/ “Vulissimu nesciri…Purtatinni a chiazza!”/ “No! –Enzu arrispunniu-/ siti spiddirizzati e cu l’abbiti antichi.”/“No! –arripitiu Razziella-/ l’aria è canciata, putissivu sveniri.”
“Purtatinni a chiazza –priaru i palori-/ nne strati unni, u juornu ra festa ,/ nni purtavinu i vostri nanni./ Nuaddi nun-parlamu,/ nni mittimu a n’anghjuni./ Sulamenti ascutamu.” […]
Conoscete quelle parole callose / che fiorivano in tutti gli angoli / dove c’erano persone di questo paese? / Stavano fitte in queste stradine; / ne erano piene ogni valle e montagna. / Poi si sono arrugginite per via delle onde / elettromagnetiche della televisione./Qualcuna la trovi ancora in contrada Caluognu / oppure alla Portella del Biancospino / solitaria / ancora accarezzata dal pastore. /Loro, gli amici, / tornando da dove stanno / (oltre il mare / oltre la montagna) / presero le parole / e le lucidarono, assemblandole. /
Le parole, contente / d’essere assieme / dopo tanti anni / com’erano prima, / dissero a loro : /“Vorremmo uscire… Portateci in piazza! / “No! –rispose Enzo- / Siete spellati e con abiti logori” / No! –ripeté Graziella- / L’aria è cambiata, potreste svenire!” // “Portateci in piazza – pregarono le parole- / nelle strade dove, il giorno della festa, / ci portavano i vostri nonni. / Noi non parliamo./ Ascoltiamo soltanto”. […]
…E se vuoi puoi gustartela in audio!