Hai mai sentito parlare di Peter Norman? In effetti l’atleta australiano è un po’ la primula rossa dell’atletica ma ti assicuro che vale la pena ricordarlo. Prima di raccontare la sua storia mi sembra comunque doveroso festeggiare anniversari particolari. Per esempio, il mese appena trascorso si è portato via date importanti. Tra queste il 26 luglio del 1980, durante le Olimpiadi di Mosca, Sara Simeoni, la nostra saltatrice in alto, stabilisce il primato olimpico saltando la misura di 1,97. Quello che poi accade successivamente tra un appuntamento sportivo e l’altro è scritto nella storia. Dalla caduta del muro di Berlino l’Italia ritorna alla ribalta con le imprese di Pietro Mennea nei 200 e quella di Damilano nella marcia.
Anche la letteratura inneggia alle vittorie sportive ricordando i cento anni dalla nascita di Gianni Rodari che proprio nel 1960 racconta a suo modo le Olimpiadi di Roma. Anche la TV decide che è arrivato il momento di fare di più e così il 15 settembre 1980 va in onda su Rai 3 la prima puntata del Processo del lunedì di Aldo Biscardi.
https://youtu.be/D_ySzu91eaA
Peter Norman, il coraggio di un campione
La storia di Peter Norman mi era sfuggita offuscata da personaggi a mio parere più rappresentativi ma non è così. La sua è davvero una storia particolare. È la storia di un campione, ma soprattutto di un uomo di valore, più che mai convinto che l’uguaglianza di genere fosse il vero motore dell’umanità. Leggendo su di lui mi è venuto spontaneo riflettere sui movimenti razzisti che, ancora oggi, infiammano le strade americane. Se ancora oggi il problema risulta essere ancora pericolosamente vivo e presente immagina qual era l’atmosfera negli anni 60/ 70. Una risposta arriva proprio da un evento che condizionò i Giochi Olimpici di Città del Messico del 1968.
Una Olimpiade strana, dove il vento della protesta contro il razzismo passa per mano dei pugni alzati degli atleti americani di colore saliti sul podio per la gara dei 200 metri. La medaglia di bronzo va all’americano John Carlos, quella d’oro a Tommie Smith, la medaglia d’argento la conquista proprio l’australiano Peter Norman.
La foto ritrae gli atleti di colore con lo sguardo rivolto in basso, a piedi nudi e il pugno alzato verso il cielo fasciato da un guanto nero per ricordare le Pantere Nere. Oltre a fare in quel momento il giro del mondo la foto è rimasta negli annali della storia sportiva. Un momento di protesta forte ma più forte fu il desiderio di sostenere in qualsiasi modo l’Olympic Project for Human Rights, un movimento in favore dei Diritti Umani e contro l’apartheid.
Ciò che successe poco prima della cerimonia di premiazione non è mai stata veramente portata alla luce. Smith e Carlos avevano deciso di salire sul podio con uno stemma da portare sul petto per ricordare il Progetto Olimpico per i Diritti Umani ma anche Norman non fu da meno.
”Voglio mostrare la mia solidarietà alla vostra causa”
disse l’australiano. Come risposta ricevette un secco rifiuto da Smith ma Paul Hoffman, attivista del Progetto Olimpico per i Diritti Umani e canottiere americano bianco gli diede il suo stemma.
Peter era un bianco ma in quel caso in Australia le leggi di apartheid erano dure come quelle sudafricane. Le restrizioni verso gli immigrati non bianchi e le leggi discriminatorie verso gli aborigeni erano un fatto quotidiano. Quando i due atleti afro-americani si resero conto di non avere solo paio di guanti neri Norman suggerì di mettere un guanto per ogni pugno e così fu fatto. Per questo, nella foto storica di quel momento si vede Smith che indossa il guanto destro e Carlos il sinistro.
Tornati a casa i due velocisti ebbero pesanti ripercussioni e minacce di morte, ma in seguito trasformati in paladini della lotta per i diritti umani. Norman invece venne condannato dai media australiani e continuamente boicottato dai responsabili sportivi australiani. Un motivo più che valido per lasciare l’atletica agonistica e continuare a correre a livello amatoriale. Successivamente l’atleta diventò insegnante di ginnastica ma comunque emarginato morendo per un infarto a 64 anni a Melbourne. Lo ricorda The Peter Norman Story un bel libro scritto da Andrew Webster e Matt Norman pubblicato nel 2018 da Macmillan Australia-
Tommy Smith lo ricorda così…
”Peter è stato un soldato solitario. Ha scelto consapevolmente di fare da agnello sacrificale nel nome dei diritti umani. Non c’è nessuno più di lui che l’Australia dovrebbe onorare, riconoscere e apprezzare” disse John Carlos. ”Ha pagato il prezzo della sua scelta – spiegò Tommie Smith – Non è stato semplicemente un gesto per aiutare noi due, è stata una SUA battaglia. È stato un uomo bianco, un uomo bianco australiano tra due uomini di colore, in piedi nel momento della vittoria, tutti nel nome della stessa cosa”.
Ricordarli con un video è in qualche modo festeggiarli per le emozioni che ci hanno regalato.