Una delle mie ultime letture, caro iCrewer, ha finito per colpirmi molto più di quanto mi aspettassi. Non credevo che Maschere di donna, dell’autrice giapponese Fumiko Enchi mi sarebbe piaciuto così tanto. E invece non solo mi ha attirato tra le sue spire, ma ha dato vita al turbine di pensieri che mi ha portato a scrivere questo articolo.
La complessità dei personaggi femminili
Qualche tempo fa ti avevo parlato di un’altra opera della letteratura del Sol Levante (dici che si nota il fatto che si tratti del mio attuale soggetto di studio? Forse solo un po’, vero?), La donna di sabbia, di Kobo Abe. Qui la figura femminile si presenta, a una prima occhiata, come una comparsa. Tuttavia, osservando la vicenda con un occhio più attento, pare quasi di trovarsi di fronte a un albero secolare: non è passiva o rassegnata; semplicemente, è al di sopra di tutti i problemi che assillano la vita dell’uomo (spoiler allert: lui non mi piace per nulla).
In Maschere di donna, invece, Fumiko Enchi capovolge le carte in tavola. I due uomini, il cui punto di vista viene adottato per buona parte della narrazione, inizialmente si atteggiano come se fossero loro a essere in pieno controllo della situazione. Come se la giovane vedova Yasuko non fosse altro che una pedina nel loro schema. Uno dice: “Secondo te, se le chiedessi di sposarmi, accetterebbe?”, e l’altro intanto pensa “Cavolo, anche a me piace Yasuko! Se non fossi sposato, ci proverei anche io”.
Sorge spontaneo chiedersi: che opinione ha la giovane riguardo a tutta la faccenda? Non ci vuole molto perchè sia lei stessa a spiegarcelo. Tratteggiando la tipica immagine della fanciulla in difficoltà (che a quanto pare fa sempre colpo), apre il suo cuore, racconta i suoi crucci e le sue paure. Sembra quasi rispondere inconsciamente al quesito che aveva afflitto i due qualche pagina prima. Tuttavia, quello di Yasuko è un personaggio estremamente più complesso, che rivela le sue vere sfumature solamente con il procedere del racconto. Mostra di essere molto più che pelle candida e labbra rosse; di non essere, forse, solamente un’assistente, ma di giocare un ruolo da protagonista.
Alla sua seduttiva innocenza si contrappone quella autentica di Harume, donna di corpo e bambina di spirito. Lei sì che non porta una maschera, che non nasconde la sua vera essenza agli occhi del mondo. Si presenta così com’è, fragile, bisognosa di cure e attenzioni, e con un volto che al chiaro di luna mozza il fiato, quasi come quello delle principesse dei miti antichi.
La vera protagonista dell’opera di Fumiko Enchi, però, è Mieko, la vera master mind di tutto il romanzo. Calma come l’acqua di un lago in apparenza, è nella sua mente che tutto prende forma. È intelligente, sa camuffare il proprio stato d’animo in favore del suo scopo ultimo e, per certi versi, non ti nascondo che in alcuni momenti mi ha messo i brividi.
Mieko è la completa antitesi della Yasuko idealizzata che i due uomini vedono inizialmente. Non solo per la sua età molto più matura, ma soprattutto perchè ai due appare subito chiaro com’ella sia una donna intelligente, perseverante, che non dimentica.
Quelle che Fumiko Enchi ci racconta in queste pagine sono donne che si scostano dal canone, che non sono perfetto, remissive e sorridenti. Che non accettano di buon grado più o meno qualsiasi cosa che il protagonista maschile decida. Yasuko e Mieko sono personaggi estremamente sfaccettati e complessi, molto più realistici e concreti dei due uomini che compaiono nella trama.
Maschere di donna di Fumiko Enchi
Maschere di donna è l’ultimo volume di una trilogia di romanzi autoconclusivi scritti da Fumiko Enchi. Preceduto da Nanamiko, in cui la scrittrice ritrae la società giapponese del 1000 d.C. circa, e da Onnazaka, ambientato nella seconda metà del 1800, è l’ultimo tassello si un racconto lungo e complesso.
Il tema principale è la donna, la sua vera essenza e le maschere che la società le porge o che lei sceglie di indossare. Tuttavia, in quest’opera in particolare, le parti sembrano invertisti. Coloro che agli occhi degli uomini paiono personaggi inermi, quasi pedine di uno schema, si riveleranno essere le vere burattinaie, dando atto a un colpo di scena davvero sorprendente.
Non nascondo che la lettura sia piena di riferimenti alla cultura giapponese (quella del canone classico, non tanto ciò che noi abbiamo idealizzato), ma l’apparato di note che accompagna il testo lo rende molto fruibile.
La storia si svolge negli anni Cinquanta del nostro secolo ma tratta un tema caro alla letteratura classica, quello della forza distruttiva della gelosia e del risentimento femminile. Una storia di amore e di morte nella quale si intrecciano inganni, tradimenti, inspiegabili possessioni, tutta giocata attorno alla protagonista femminile, Mieko, che sotto una maschera di serena compostezza nasconde un rancore profondo e inestinguibile che nasce da una odiosa esperienza matrimoniale.