Parole dall’Oriente continua nel suo proposito di ampliare gli orizzonti di lettura, introducendo e trattando opere di autori e autrici asiatici. Dopo il viaggio in Giappone del mese scorso, oggi ci spostiamo a Hong Kong, per trattare un’opera dello scrittore sinofono che ha venduto più volumi, in patria cos come all’estero: Jin Yong.
In realtà, Jin Yong è il nome d’arte di Louis Cha Leung-yung (1924-2018), saggista e romanziere senza pari, nonché co-fondatore del giornale di Hong Kong Ming Pao – su cui venivano pubblicate anche le sue opere. Il genere in cui eccelleva e a cui appartengono molti dei suoi lavori è il wuxia, ossia un romanzo storico che narra le avventure di eroi che praticano le arti marziali nel contesto dell’antica Cina.
Il libro di Jin Yong che ho deciso di presentare rientra proprio in questa categoria. Si tratta di La leggenda del cacciatore di aquile – Libro 1, 射鵰英雄傳 in cinese, a cura di Patrizia Liberati e Silvia Pozzi, tradotto dal cinese da Alessandra Pezza e pubblicato da Mondadori.
La leggenda del cacciatore di aquile di Jin Yong: la mia recensione
Accingendosi a parlare di La leggenda del cacciatore di aquile di Jin Yong, la prima cosa da dire è che si tratta di un libro d’altri tempi, nel senso più letterale del termine. La prima pubblicazione dell’opera è datata, infatti, 1959, perciò non deve stupirci se il ritmo del romanzo è molto diverso da quello a cui siamo abituati oggi – dovendo fare un paragone tra le mie altre letture, credo che la velocità di sviluppo sia simile a quella di Il Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien.
La storia di Guo Jing si dipana senza fretta, prendendosi il tempo di far vagare lo sguardo tra le sconfinate campagne del sud della Cina e le aspre steppe della Mongolia, in un’epopea che ha lo stampo delle grandi saghe.
Mi ha stupito molto l’apertura stessa dell’opera di Jin Yong: la trama ci prepara a un ingresso quasi trionfale del protagonista, Guo Jing, quando invece il giovane non compare fino a dopo la centesima pagina (assistiamo proprio alla sua nascita). Questa scelta mi ha meravigliato, perché non capita spesso che la storia inizi così tanto prima del punto di rottura, dell’attimo in cui dalla normalità si passa al romanzo, o della comparsa del personaggio principale – più comune è la partenza in medias res, nel bel mezzo dei fatti (dalla lettera di ammissione a Hogwarts, non da quando Harry inizia a gattonare).
Vero è anche che senza conoscere le vicende che precedono la nascita del ragazzo, sarebbe stato tutto molto più confuso. Perché mai Guo Jing passa ogni momento della giornata ad allenarsi? E perché proprio le arti marziali, invece di prediligere l’arte mongola della guerra? Chi sono i suoi maestri? Insomma, sarebbe completamente mancato l’antefatto, il presupposto per lo svolgersi della vicenda.
E così stiamo al fianco del giovane durante tutta la sua vita. Ci siamo quando sceglie di agire secondo ciò che ritiene giusto; quando stringe il suo primo vero legame; quando assaggia l’amaro della sconfitta e il nettare della vittoria (comprese tutte le volte in cui i maestri lo sgridano, dando a lui tutta la colpa dei progressi non così rapidi). In questo modo lo vediamo crescere, diventare un uomo e un guerriero, seppur sempre conservando il suo buon cuore e un animo gentile, quasi infantile nella sua purezza.
Non mancano di certo combattimenti di arti marziali (un paio di troppo, per quanto mi riguarda, soprattutto se considerando che a volte i valorosi guerrieri avrebbero potuto risolvere il tutto semplicemente parlandosi per qualche istante di più). Ho trovato molto interessante la scelta di riportare i nomi delle mosse utilizzate dai personaggi, e il modo in cui la loro descrizione è stata integrata nelle scene senza rallentare troppo il ritmo (anche se ho il sospetto che la traduzione sia stata tutt’altro che una passeggiata).
Lo stile di Jin Yong è principalmente descrittivo, si prende il tempo di tratteggiare paesaggi, così come persone e usanze. Narra avventure rocambolesche e momenti della vita quotidiana, schermaglie verbali e poesie, vecchie leggende e ricami su scarpette di stoffa, dando vita a un’opera dal respiro davvero ampio.
Non a caso La leggenda del cacciatore di aquile è soltanto il primo volume della trilogia (e mi pare il minimo, visto che il libro s’interrompe in un momento culminante). Per fortuna, però, l’autore non ci lascia con troppi interrogativi in sospeso, per quanto riguarda le vicende di questo primo capitolo.
Molto utile la lista dei personaggi in apertura, così come interessanti le note a fine romanzo. L’unica cosa di cui ho sentito la mancanza è una mappa, visto che i personaggi viaggiano davvero molto.
La cover è elegante e di gusto, mi è davvero piaciuta. È stato il suo design particolare ad attirare la mia attenzione, e poi la trama ha fatto il resto.
Per concludere, credo che La leggenda del cacciatore di aquile di Jin Yong sia un romanzo che richiede il suo tempo, per poi ripagare l’attesa con un protagonista dal cuore d’oro, a cui è difficile non affezionarsi. Il secondo volume, o meglio, la seconda parte dell’opera (che s’intitola La leggenda del cacciatore di aquile – Libro 2) è già stato pubblicato da Mondadori, e verrà sicuramente trattato in questa rubrica.
Cosa leggeremo a dicembre?
Come di consueto, non ti lascio a mani vuote. La prossima lettura, che tratteremo nell’appuntamento del 15 dicembre, segna una novità assoluta: sarà un libro in lingua inglese (non ti arrabbiare, avevo avvisato che c’erano dei titoli a cui non sarei sicuramente riuscita a resistere), con recensione in italiano – ovviamente.
Il predestinato è The girl who fell beneath the sea di Axie Oh, pubblicato da Hodder And Stoughton Ltd. La traduzione italiana del romanzo è stata annunciata per aprile 2023 da Mondadori, con il nome di La ragazza che cadde in fondo al mare.