Ocean Vuong, autore del bestseller Brevemente risplendiamo sulla terra, torna in libreria con il suo secondo romanzo L’imperatore della gioia (Guanda), un’opera intensa che intreccia memoria, trauma, emarginazione e speranza. L’occasione del debutto italiano è il Festivaletteratura di Mantova, dove lo scrittore, classe 1988, condivide le radici del suo lavoro e le sfide del presente.

Il romanzo di Ocean Vuong tra realismo e magia
Ambientato nella città postindustriale di East Gladness, in Connecticut, L’imperatore della gioia segue la storia di Hai, un diciannovenne sull’orlo del suicidio, salvato dall’incontro con Grazina, anziana vedova lituana sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale. Tra i due nasce un legame capace di trasformare le loro vite.
Il romanzo unisce esperienze personali di Vuong – dalla precarietà economica alla vita accanto a una donna affetta da demenza – con invenzioni letterarie e tocchi di magia, come i gufi simbolici e le carote “anti-tristezza”.
L’America di Trump: un conflitto di idee
Durante l’incontro a Mantova, Vuong ha riflettuto sulla società americana e sul fenomeno politico legato a Donald Trump. Secondo lo scrittore, ridurre tutto alla figura dell’ex presidente è un errore:
Non si tratta di eliminare Trump, ma di combattere le idee che rappresenta. Le persone possono cambiare, le cattive ideologie vanno smontate
Un messaggio che sottolinea la necessità di affrontare le radici culturali e sociali dei conflitti, senza fermarsi alla superficie.

La voce degli outsider
Figlio di immigrati vietnamiti e cresciuto negli Stati Uniti, Ocean Vuong rivendica uno sguardo “da outsider”. Nei suoi libri dà voce alla working class, agli emarginati e a chi vive il sogno americano infranto. La sua scrittura, poetica e incisiva, si nutre di autori come Dostoevskij, Primo Levi, Pasolini e Calvino, intrecciando filosofia, antropologia e letteratura.
Vuong ha un legame speciale con il nostro Paese: dalle residenze artistiche in Umbria alla Milanesiana, fino all’illuminazione avuta a Palazzo Reale di Milano davanti alle crepe lasciate dalle bombe della guerra. “Le persone tendono a riparare le cose, non a mantenerle – spiega – ma quelle crepe mi hanno insegnato che anche le ferite possono diventare testimonianza e verità”.