Tra le novità di questi ultimi giorni mi ha molto incuriosito Italia-Francia, l’ultima notte felice di Stefano Piri, uscito per 66thand2nd. Sarà che dire finale di questi tempi scatena un grande entusiasmo in tutti noi tifosi appassionati di calcio e della maglia azzurra, o forse, più verosimilmente, sarà che i ricordi di quella sera dell’estate del 2006 vivono ancora intatti e potenti dentro di noi.
Per lo meno in noi che quell’anno non avevamo ancora trenta anni e abbiamo vissuto la gioia mondiale come un tormentone estivo che non ci avrebbe mai più abbandonato. Io avevo ventisette anni, l’età giusta per vincere un mondiale godendo a tutto tondo: serate che non finivano mai, festa fino all’alba e gruppo di amici perfetto per condividere le emozioni che solo il gioco del pallone può regalare.
La finale: una gioia immensa
A volte mi domando come sia possibile che uno sport, o meglio un gioco, visto alla televisione, possa far provare emozioni così forti. Chi non ama il calcio dice che siamo esagerati e che siamo scalmanati, io invece mi sento di dire che semplicemente siamo appassionati, siamo tifosi.
Non lo so proprio spiegare come funziona, ma anche l’altra sera, alla fine dei rigori della semifinale di Euro 2020 contro la Spagna, mi sono ritrovato, da solo sul divano, a piangere lacrime di gioia come se quel traguardo così ambito, quello di una finale, l’avessi raggiunto anche io.
Perché bisogna essere obiettivi: il calcio unisce. In particolar modo quando gioca la nazionale. Litighiamo su tutto, discutiamo per qualsiasi cosa, ma quando gioca l’Italia nei due tornei più prestigiosi, ovvero mondiali ed europei, ci uniamo in grande abbraccio che attraversa tutto lo stivale.
In una poesia che solitamente leggo durante i miei reading, ricordando il gol di Grosso nella semifinale di quel mondiale del 2006, dico che al pallone è riuscito quel miracolo di unione che invece tutto il resto ha fallito.
Così è stato quell’estate, quella della finale contro la Francia raccontata in L’ultima notte felice, così è in questi giorni, ricchi di entusiasmo e di incontri con amici tanto agognati da un anno e mezzo a questa parte.
Perché raggiungere una finale è bello. In ogni campo della vita. La finale, o comunque l’atto finale di una competizione a cui si prende parte è una soddisfazione che ripaga e che da un senso a tutti i sacrifici compiuti.
Non in ambito sportivo, ma in campo letterario, anche io, nel mio piccolo, ho raggiunto qualche volta la finale di un premio letterario. Non ho mai vinto, se non un premio secondario, eppure la gioia di essere convocato per la premiazione, unita all’adrenalina e alla tensione di scoprire l’esito finale delle votazioni, ti riempiono di una gioia che ti si attacca dentro e che è impareggiabile.
Ecco perché non fatico a comprendere la gioia di Bonucci, Chiellini e compagni corsi ad abbracciare Jorginho autore dell’ultimo rigore, quello che è valso la qualificazione alla finale di domenica sera, contro i padroni di casa dell’Inghilterra.
Gioia che mi auguro possa provare anche Matteo Berrettini, che proprio oggi, si gioca la possibilità di accedere alla finale del torneo di Wimbledon, riscrivendo la storia del tennis italiano. Sarebbe bello domenica, avere a pochi chilometri di distanza, la squadra italiana di calcio e un tennista italiano andare alla conquista di Londra.
L’ultima notte felice: il libro di Stefano Piri
Venendo al libro, e quindi alla famosa finale Italia-Francia del 2006, L’ultima notte felice è scritto dal giornalista genovese Stefano Piri, autore che abbiamo già incontrato per il libro dedicato a Roberto Baggio. (a proposito di finali e di rigori).
In questo nuovo lavoro dell’autore, la partita Italia-Francia viene raccontata come snodo fondamentale di alcuni intrecci di narrazione del calcio di quei primi anni duemila. Per esempio il colpo di testa di Zidane a Materazzi, visibile anche sulla copertina, che ha lasciato uno strascico di parole dette e non dette lungo mesi e mesi.
E pensare che quello è stato l’atto conclusivo della carriera di uno dei giocatori francesi più forti di sempre, uno che amato alla follia. Ho anche un cuscino, cioè ho dormito per più di una notte con le mie guance appoggiate a quelle di Zizou, ma non diciamolo in giro.
Oppure la parabola miracolosa e meravigliosa di Fabio Grosso che, dopo una buona carriera da comprimario, è diventato l’eroe nazionale mondiale grazie al rigore decisivo che è valso il titolo di campioni del mondo, ma soprattutto grazie al suo splendido gol nella semifinale contro la Germania.
Potere del calcio? Sì.
Potere della narrazione e della scrittura? Anche.
Perché, e qui la sparo grossa, raccontare il calcio è un’arte. Unire la cronaca al romanticismo romanzato delle emozioni che si provano necessita del gran talento di un narratore.
Ma è stata davvero quella l’ultima notte felice? La notte che è riuscita a cancellare, o meglio oscurare, la grande pagina brutta di calciopoli, la notte che ci ha visto festeggiare con caroselli nelle piazze fino all’alba e la notte che ci ha fatto sentire come non mai fratelli d’Italia?
Calcisticamente parlando è così, quella del 9 luglio del 2006 è stata l’ultima notte felice. Esattamente quindici anni fa, come oggi. Tantissimi!
Almeno fino a oggi.
Almeno fino a domenica sera, fino alla serata che ci attende a Wembley.
Incrociamo le dita e abbracciamoci forte, stringiamoci alla corte di Roberto Mancini, l’uomo che ha portato la nazionale da una non qualificazione al mondiale a una finale europea.
Chapeu.