È disponibile in libreria il romanzo di Luca Ricci, I Primaverili, edito da La Nave di Teseo. Con questo romanzo. l’autore ha vinto il Premio Nazionale Città di Lugnano.
La trama di I Primaverili
Vincitore del Premio Nazionale Città di Lugnano
“La primavera è trascorsa, ora possiamo farci deludere da tutto” è la frase che conclude questa ultima parte della quadrilogia delle stagioni di Luca Ricci, di cui erano già usciti Gli autunnali, Gli estivi, Gli invernali, e può esser letta sia in relazione all’esistenza di ognuno e delle speranze di gioventù che non si avvereranno, come in maniera più esemplare alla primavera che trascorre l’io narrante, uno scrittore di mezz’età in crisi, dopo un brillante esordio.
I primaverili, con cui Ricci ha appena vinto la nona edizione del Premio nazionale Città di Lugnano, sono personaggi che cercano di sbocciare ma si scoprono invece destinati al fallimento nella loro ansia di amore e di creazione artistica e la stagione della rinascita si rivelerà illusoria. E, in impotenza di azione per i pretesti più diversi, il personaggio divaga e indaga, indica maestri, dall’ironia di Ennio Flaiano e la sua Roma che tutto assorbe e stempera alla vitale rabbia di Bianciaradi, sino alle intuizioni, all’indagare frammentario ma ”geniale e furbo” dei ”Discorsi amorosi” di Roland Barthes.
Ecco allora la tragicommedia del continuo comprare una poltrona e poi cambiarla con una più costosa, alla ricerca di un comodità esterna che spera gli permetta di stare a suo agio e riprendere a scrivere, senza mai ovviamente trovarla. Del resto ha anche la scusa che per vivere si trova costretto continuamente a distrarsi, a scrivere altro, sceneggiature, articoli e così via. Ed ecco, quasi allo stesso modo, il perseguire un’amore nato tra i libri per comune passione, che al di là di qualche bacio non riesce mai a concretizzarsi, perché è lei, Simonetta, una libraia sfuggente che pensa, per vivere e prolungare il desiderio, vero momento di tensione, si debba essere ”una coppia bianca”. Nonostante questo, capita che il protagonista si dica: ”E’ un fulgido sabato di fine maggio e sono innamorato. Cosa chiedere di più?”. Basta allora ricordarsi del burbero collega scrittore Alberto Gittani, presente anche negli altri romanzi, che sottolinea: ”Detesto la primavera, perché ci rende speranzosi”.
Una primavera che ha appunto la potenza e le illusioni del desiderio, in fondo agitata nella sua ricerca malinconica, ostinata e assieme cosciente dell’inutilità forse del vivere stesso, vista la mancanza di un qualsivoglia approdo, anzi di una serie di trappole disseminate lungo il cammino dei giorni e dei rapporti convenzionali, tra una Fiera del libro, un premio letterario e l’irritato sarcastico battibeccare con chi gli offre una collaborazione giornalistica. E naturalmente personaggi che in quella società culturale prosperano perché recitano, attori capaci di ”sguazzare nel possibile”, o direttori camaleontici buoni per tutte le situazioni.
Un inferno? Praticamente sì, il 13 giugno, che ogni capitoletto porta una data, dal 21 marzo al 21 giugno, seduto su una scomoda poltrona lo scrittore non scrive ma si inventa un viaggio dantesco negli inferi letterari, tra ”critici imparziali”, che è una contraddizione in termini (e si veda il divertente Manualetto del recensore al 19 giugno), a festini ostinati della Scuola Holden, autori lussuriosi incapaci di scrivere di sesso (”E Philip Roth? Scherzi? Roth è in paradiso”), scrittori di gialli, autori di libri sulle proprie malattie o bestselleristi costretti in eterno a firmare copie e così via.
Ritratti amari e comici, ma senza che riescano a suscitare nel protagonista vera rabbia, sentendo dire che ”tutta la vera letteratura, non solo quella di Bianciardi, dovrebbe essere letteratura della rabbia” da ”bischeri”, come direbbe lui, che parlano per luoghi comuni, senza un guizzo di personalità, di intelligenza. Così di giorno in giorno, di intenzione e invenzione, tra ironia e malinconia scopriamo che Ricci, attraverso il suo io narrante, con una lingua precisa e pulita, ben ritmata, ci parla della delusione della letteratura oggi, della sua impotenza al di là delle speranze che qualcuno vi aveva messo. E davanti a un’antologia del ”Gruppo 2023 con gli autori più rappresentativi di questi nostri tempi nefasti”, la replica è: ”ma esistono tempi non nefasti?”, senza dimenticare una nota autoironica: ”L’essere umano si sente vivo solo se ha qualcosa di cui lamentarsi, qualcosa contro cui inveire”.