Caro iCrewer, non è sempre facile, per gli autori, riuscire a dare alle stampa il proprio manoscritto. Certo, ora le opzioni a disposizione dei vari scrittori per riuscire a vedere i loro lavori negli scaffali di librerie e biblioteche, e nei cataloghi online sono molte, dalla tradizionale mediazione delle case editrici al self publishing.
Se, però, la situazione può essere complessa ora, che le occasioni sono così tante, puoi immaginare quanto potesse essere difficile durante il secolo scorso, o negli anni ancora precedenti, quando ad un pubblico quantitativamente minore si univa una forte selezione.
Qualche storia e aneddoto al riguardo? Qualche manoscritto che inizialmente se l’è vista brutta? Ecco qui per te!
Di cosa parliamo quando parliamo d’amore di Raymond Carver
Il primo autore che voglio citare è Raymond Carver.
Quando, nel 1967, lo scrittore statunitense decise di provare a pubblicare Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, affidò la questa raccolta di racconti all’editor Gordon Lish. Il problema? Lish non si limitò a fare il suo lavoro, ma mise attivamente mano all’opera, modificandola, cambiandole un po’ i connotati rispetto a quelli che aveva immaginato Carver.
Per leggere la versione integrale, originale del manoscritto, si è dovuta attendere la pubblicazione di Cattedrale, nel 1983.
“Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Parliamo di un bicchiere di gin che si rovescia in una stanza dove discutono due coppie stanche. Parliamo di vecchi amici che forse per noia, forse per altro, commettono senza rendersene conto un delitto terribile. Parliamo di pasticceri a cui non hanno ritirato torte di compleanno. Parliamo di gesti che sembrano insignificanti, e invece sono in grado di restituire a ogni vita tutta la grazia nascosta dietro la banalità della cattiveria e della paura.
I diciassette racconti che hanno reso Raymond Carver un autore di culto: l’espressione piú limpida di una scrittura che con miracolosa semplicità arriva sempre al cuore delle cose.“
Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Devi sapere, iCrewer, che quando nel 1957 Giuseppe Tomasi di Lampedusa sottopose a Elio Vittorini l’opera Il Gattopardo, con l’intento di pubblicarla, si vide recapitare una lettera in cui Vittorini affermava che, seppur avendo letto con molto interesse lo scritto, non lo trovava ancora pronto. Secondo lui, all’interno del manoscritto la parte di saggistica e quella di narrativa non erano molto equilibrate, non erano ben amalgamate.
Il volume vide la luce, alla fine, nel 1958, quando lo scrittore era già passato a miglior vita. Il successo dell’opera fu immediato: nel 1959 vinse il Premio Strega e nel 1963 Luchino Visconti lo fece diventare un film.
“Giuseppe Tomasi, duca di Palma e principe di Lampedusa, nacque a Palermo nel dicembre del 1896 e morì a Roma nel Luglio del 1957. Il suo capolavoro, Il Gattopardo, pubblicato un anno e mezzo dopo la sua morte, rimase a lungo inedito, rifiutato da molti ediori, ma al suo apparire fu subito riconosciuto come una delle massime opere letterarie del nostro secolo. Tradotto in tutto il mondo, letto da milioni di lettori, portato sullo schermo, Il Gattopardo è ormai un classico.
Siamo in Sicilia, all’epoca del tramonto borbonico: è di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso di regime, mentre già incalzavano i tempi nuovi (dall’anno dell’impresa dei Mille di Garibaldi la storia si prolunga fino ai primordi del Novecento). Accentrato quasi interamente intorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, il romanzo, lirico e critico insieme, ben poco concede all’intreccio e al romanzesco tanto cari alla narrativa dell’Ottocento. L’immagine della Sicilia che invece ci offre è un’immagine viva, animata da uno spirito alacre e modernissimo, ampiamente consapevole della problematica storica, politica contemporanea.“
Il giocatore di Fëdor Dostoevskij
Il celebre scrittore russo ottocentesco Fëdor Michajlovič Dostoevskij aveva uno strano rapporto con le case editrici: vista la sua perenne necessità di denaro, era arrivato più volte a cedere loro i diritti dei suoi romanzi per ben nove anni, pur di aver un anticipo.
Ti sembra irreale? Beh, sappi che Dostoevskij era un giocatore d’azzardo incallito e che i spesso i sui romanzi erano scritti freneticamente, senza sosta, proprio per sanare i debiti che contraeva a causa della sua dipendenza. È facile, quindi, capire quale sia stato lo scopo essenziale, prima ancora di un’esigenza espressiva, del manoscritto intitolato proprio Il giocatore.
“Il Giocatore, indimenticabile romanzo breve o racconto lungo, venne dettato da Dostoevskij ad Anna Snitkina perché gli mancava il tempo per scriverlo. È la storia di un progressivo, inarrestabile impoverimento, non solo economico, ma anche, o innanzitutto, morale. Eppure, narrata con una certa dose di umorismo, si legge d’un fiato. E si fatica a credere che d’un fiato sia stata dettata. Dostoevskij, che guarì solo molto tempo dopo dal vizio del gioco, ebbe comunque l’accortezza di sposarsi la stenografa.“