Natale e poesia non sono due parole che fanno rima, è evidente. Non hanno neanche una larvata assonanza fra loro. E anche questo è evidente. Eppure inspiegabilmente si accoppiano e sposano benissimo. Assomigliano un po’ a quelle coppie eterogenee che pur non avendo nulla in comune, arrivano alle nozze d’oro più unite e in sintonia che mai. È così anche per poesia e Natale. L’una non può fare a meno dell’altra.
Natale è fra le festività, quella che più richiama alla poesia: se dovessi fare un mini-censimento delle poesie ad esso dedicate, ne potrei raccogliere un più che corposo numero fra quelle note, senza contare le filastrocche e le poesie meno note o sconosciute.
Un binomio, poesia e Natale che abbiamo imparato a conoscere fin da piccolissimi: ditemi chi non si ricorda poesie e filastrocche imparate a memoria, fin dalla scuola dell’infanzia e poi recitate in piedi su una sedia, fra parenti attenti e genitori orgogliosi per ogni parola, anche storpiata che, pargoli proferivamo, pronti a battere le mani a quelle flebili e vergognose vocine che a malapena si facevano sentire…
Natale fra filastrocche e poesia
La notte di Natale,/è nato un bel bambino,/ bianco, rosso/ e tutto ricciolino./ La neve cadeva./ Cadeva giù dal cielo,/ Maria col suo velo/ copriva Gesù./ Maria lavava,/ Giuseppe stendeva/ il Bimbo piangeva/ dal freddo che aveva./”Zitto mio figlio/ che adesso ti piglio,/ del latte ti do;/ma pane non ho!”./ La neve cadeva,/ cadeva giù dal cielo,/ Maria col suo velo/ copriva Gesù!
Ricordi che affiorano da antiche memorie quando bastava essere in famiglia, tra un alberello striminzito e un presepe accomodato, per immergersi in quella atmosfera di incanto e poesia che era il Natale. Questa filastrocca in particolare è il primo ricordo, proprio la primissima che ho imparato… E non ti racconto delle domande senza risposta che mi brulicavano in mente per quella povera famiglia che non aveva pane e per quel bimbo che piangeva dal freddo…
Le risposte sono arrivate molto tempo dopo: dopo il disincanto, lo scetticismo, la negazione e l’inevitabile ritorno. Inevitabile, sì, perché se è vero che Natale sembra una favola bella, è anche vero che se dopo duemila anni siamo ancora qui a celebrarlo con riti e a raccontarlo con la poesia, un motivo deve pur esserci.
E così oggi celebriamo il duemilaeventesimo Natale, compleanno di quel Dio fatto uomo che ha messo un punto fermo nella storia umana. Spesso lo dimentichiamo, presi come siamo dal consumismo e dalle apparenze, tra scambi di auguri, regali, pranzi, cene… Una pellicola che si svolge e riavvolge, ogni anno.
Questo 2020 invece ha portato con sé una novità che probabilmente non avremmo mai voluto e sicuramente non abbiamo cercato. È un Natale anomalo questo, un Natale solitario e più raccolto, un Natale che induce e forse costringe a riflettere sul senso profondo di questa festività, se ancora ne siamo capaci.
Nell’atmosfera incerta e sospesa di questo nostro tempo i famosi versi che Giuseppe Ungaretti dedica a questo giorno, risuonano più veri e attuali che mai…
Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade/Lasciatemi così/ come una/cosa posata/in un/ angolo/e dimenticata.
Qui/non si sente/altro/che il caldo buono./Sto/con le quattro/capriole /di fumo /del focolare.
Dal 1916, Natale di Giuseppe Ungaretti, arriva espressamente al 2020 con la stesso pathos. Diverse le condizioni: nel 1916 si era in piena prima guerra mondiale ma uguale lo stato d’animo, in fondo le limitazioni cui siamo costretti assomigliano a quelle dei tempi di guerra e, a pensarci bene anche oggi siamo in guerra, con la differenza che il nemico ha un’arma invisibile che toglie il respiro.
A rifletterci ci si accorge di quanto sia profetica, adattabile e sempre attuale la poesia quando è vera poesia: in questo caso Ungaretti senza saperlo, già un secolo fa ha anticipato ciò che sarebbe successo. E se è vero che non possiamo tuffarci in un gomitolo di strade , costretti a restare con le quattro capriole di fumo del focolare, è pure vero che nel clima di totale incertezza di un 2020 agli sgoccioli, si sentono più che mai veri ed essenziali i versi riportati sopra.
Poesia, speranza e Natale
Natale altro non è che quest’immenso/ silenzio che dilaga per le strade,/ dove platani ciechi/ ridono con la neve,/
altro non è che fondere a distanza/ le nostre solitudini,/ sopra i molli sargassi/ stendere nella notte un ponte d’oro. (da L’incanto di Natale, Maria Luisa Spaziani)
Non voglio però sembrarti eccessivamente triste o ripiegata su me stessa: in quanto credente, per me, come per tutti, Natale è gioia. La gioia di credere in un Dio che diventa piccolo, povero, umile e tutto questo solo per amore verso l’uomo. Natale è anche speranza, come racconta Maria Luisa Spaziani nei suoi versi. La speranza di stendere un ponte d’oro sulla notte: quale notte è più nera e buia di un cuore che ha perso la speranza? E quale luce dorata può illuminare la notte del cuore più della speranza, intesa come virtù teologale?
Oh, generoso Natale di sempre!/Un mitico bambino/ che viene qui nel mondo/ e allarga le braccia/ per il nostro dolore./ Non crescere, bambino,/ generoso poeta/ che un giorno tutti chiameranno Gesù./ Per ora sei soltanto/ un magico bambino/ che ride della vita/e non sa mentire. (Generoso Natale, Alda Merini)
La stessa Alda Merini ribadisce il concetto dell’amore di un Dio-Bambino che si offre a braccia aperte, per lenire il nostro dolore: la generosità senza tornaconto, l’amore incondizionato che l’uomo non sa riconoscere e, a volte rifiuta anche quando festeggia il Natale.
È Natale oggi e malgrado tutto, lo sfavillio delle luci e dei colori natalizi, ci avvolgono in quella calda e serena atmosfera che magicamente si crea in questo periodo. Sottotono, incerto, in solitudine, vissuto da credente o da ateo, fra le mura domestiche o nei posti alla moda, il Natale non si può ignorare. Come non si dovrebbe ignorare la sua vera essenza, aprendo il cuore e lasciandosi trasformare dall’amore. Più facile a dirsi che a farsi. Lo so.
Per concludere e per ribadire il concetto della poesia-profezia che anticipa i tempi e lascia stupiti, assieme ai miei più affettuosi auguri, soprattutto per chi in questo periodo è nella sofferenza per vari motivi, propongo dei versi tratti da un brano di Luciano Ligabue, incluso nell’album Mondovisione del 2013: Ciò che rimane di noi.
È un natale molto duro/ a luci quasi spente/ su ogni mio regalo/ non c’è scritto niente/ quando sai com’è l’abisso/ non sei più lo stesso/ […] / Però alla fine di questo dolore/ sarà per sempre alla luce del sole/ su ciò che rimane di noi…
Per la serie, sono solo canzonette. Forse.