Per quelli della mia generazione, quelli che avevano tra i quindici e i venticinque anni durante gli anni novanta, dire Michael Jordan è quasi come pronunciare il nome di una divinità. Un atleta, un campione, una icona e un vero e proprio mito che ha rivoluzionato le nostre vite grazie al suo ineguagliabile talento dimostrato in ogni partita sui campi di basket della NBA.
Per capire la portata di questo campione, basta pensare che in quegli anni, nell’interesse collettivo di noi ragazzi, la pallacanestro aveva raggiunto, e forse anche superato, il livello che per natura, e nazionalità italiana, era sempre stato una esclusiva del gioco del calcio.
Ricordo molto bene che in tanti, per lo meno nell’ampio giro di conoscenze che frequentavo, tenevano da parte i piccoli risparmi e le prime paghe dei primi lavoretti, per andare a compare le magliette e le canottiere ufficiali del campione con il numero 23 dei Chicago Bulls, anziché investire nelle divise di Juve o Inter che in quegli anni imperversavano con nomi del calibro di Del Piero e Ronaldo. (il fenomeno).
Parlando di Michael Jordan, quindi, si parla di uno status symbol, di un marchio di fabbrica imprescindibile che per tutti gli anni novanta ha illuminato una intera generazione.
MICHAEL JORDAN: THE LAST DANCE
Ne è una dimostrazione il grande successo che ha ottenuto la serie The last dance, andata in onda su Netflix nei mesi scorsi, durante il lockdown, che racconta tutta la carriera del fenomeno con testimonianze preziose di chi quella carriera l’ha vissuta attivamente: giocatori, addetti ai lavori e Michael Jordan stesso in persona.
Dieci episodi con l’obbiettivo di raccontare l’ultima stagione, quella chiamata l’ultimo ballo dal coach Phil Jackson, quella dell’ultimo anello vinto dai Bulls, quella che ha preceduto il ritiro di Air Jordan. In ogni episodio si va a ritroso nel tempo partendo dagli inizi della sua carriera, nella squadra dell’istituto scolastico, fino appunto al’ultimo trionfo, passando per successi, traguardi e giocate incredibili che voi umani non potreste immaginarvi.
Un serie che oltre ad evidenziare l’enorme talento sportivo, mette in risalto le enormi qualità di un ragazzo tenace con una fame di vittoria non paragonabile a quella degli altri. Una vera e propria ossessione per il successo, per il raggiungimento degli obbiettivi e per la realizzazione dei sogni. Un esempio assoluto da applicare alla vita. La cura e la caparbietà degli allenamenti, perché se è vero che il talento è un dono divino, la capacità di non sprecarlo e di valorizzarlo è un dono della volontà umana.
Ho visto questa serie con entusiasmo. Ho rivisto molti highlights di alcune partite che avevo visto a suo tempo e nonostante tutto sono riuscito ancora ad emozionarmi e ti confesso, caro iCrewer, a piangere. Perché in questi casi, subentra sempre quella maledetta malinconia dei tempi che furono che ci portiamo gelosamente nel cuore.
Ho due frasi impresse nella mente, entrambe riconducibili alla mia adolescenza, a quando ogni pomeriggio, e sottolineo ogni pomeriggio, infilavo nel videoregistratore la cassetta Come fly with me e rimanevo letteralmente allibito da cosa quel giocatore poteva e sapeva fare:
“L’uomo è destinato a volare” , riferito alla capacità di salto di Michael Jordan, che per inciso ha vinto una gara delle schiacciate in un all star game, il weekend di esibizione e spettacolo della NBA, staccando dalla linea del tiro libero, che per chi non lo sapesse sta circa a cinque metri dal canestro che è posto a poco più di tre metri di altezza.
“MJ troverà sempre una strada per andare a canestro” riferito all’abilità di questo campione di fare punto, quindi canestro, anche quando sembrava che ormai l’azione di attacco sia svanita. Un tiro all’ultimo secondo, un movimento inaspettato, un vero e proprio contorsionismo per passare tra le braccia e i corpi dei difensori, insomma una soluzione sempre a disposizione e quasi sempre con esito positivo. Se non è questa una lezione di vita, essere capace di districarsi in ogni situazione.
Non credo di esagerare quando affermo che se esiste un dio del basket, quel dio si è impossessato del corpo di Michael Jordan e gli ha detto: “ora va e fai conoscere il mio verbo in tutto il mondo”. Io penso che nessuno sportivo, nel suo sport di appartenenza, abbia raggiunto livelli così alti. Nessun Pelè, nessun Maradona, nessun Mohamed Ali, nessun Federer, nessun Michael Phelps o nessun Eddie Merckx ha dato al suo sport ciò che Jordan ha dato al basket.
MICHAEL JORDAN: LA BIOGRAFIA
Tutto questo si potrà anche leggere, dal 3 settembre del 2020, nel nuovo libro edito da Magazzini Salani: Air.La storia di Michael Jordan, scritto da una penna eccellente come quella del premio Pulitzer David Halberstam.
Non faccio fatica a pensare che in poche settimane il libro raggiungerà la cima delle classifiche di vendita di tutto il mondo. Quel mondo che è ancora, a distanza di quasi trenta anni, con il naso all’insù a guardare incantato quella canottiera rossa con il numero 23 volare verso il canestro.
Pensa, caro iCrewer, sopratutto se sei un nostro affezionato lettore piuttosto giovane, che se l’NBA è come la conosciamo oggi, ovvero una vera e propria macchina da business, gran parte del merito va a Michael Jordan, che in quel decennio ha reso il basket lo sport più popolare del pianeta. Tutto il mondo voleva vederlo giocare, tutto il mondo voleva compare le famosissime scarpe air Jordan, che ancora oggi hanno un mercato pazzesco, come del resto ogni oggetto o indumento che fa parte del suo brand. Ecco la parola giusta: Michael Jordan è un brand. Uno dei più valutati nel mondo.
Negli anni novanta il fenomeno Jordan era paragonabile a quello dei Beatles degli anni sessanta. E ho detto tutto.
E la cosa straordinaria è che tutto questo successo non ha mai intaccato le sue performance agonistiche. È stato il più forte dal primo all’ultimo minuto della sua carriera. E lo sarà per sempre. Nessuno mai, ripeto mai, potrà raggiungere i suoi livelli.
Chiaramente un giocatore così non poteva che alzare anche il livello degli avversari ed essere da traino per tutto il movimento basket. Tornando a quegli anni, al sabato pomeriggio in pullman verso Milano per andare da Footlocker a prendere un polsino, o delle calze, o una canottiera con impresso il simbolo storico dell’air jordan, ricordo bene che anche il merchandise di tutti gli altri campioni di quegli anni erano molto gettonati.
Il libro, tornando al nocciolo dell’articolo, (altrimenti finisce che ti racconto anche di quella volta che per fare colpo su una ragazza l’ho invitata al cinema a vedere il film Space Jam, quello in cui Jordan gioca a basket con Bugs Bunny, dimostrando tutta la mia incapacità di allora nei rapporti con il gentil sesso), ricalca il format della serie TV, ovvero partendo da quella che purtroppo è stata l’ultima stagione agonistica del numero 23, torna indietro nel tempo tracciando un profilo accurato dell’atleta, del personaggio famoso e anche dell’uomo, alle prese con la sua vita privata.
Non ci resterà che leggerlo, nell’ennesimo tentativo di non farcela passare mai, la stima e l’adorazione per questo immenso giocatore.