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Recensione: Dallo scudetto ad Auschwitz di Matteo Marani

Donatella De Filippo 4 anni fa Commenta! 8
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Matteo Marani non è solo un giornalista sportivo, me ne sono resa conto quando ho finito la lettura del suo Dallo scudetto ad Auschwitz ,un bellissimo libro dedicato ad Arpad Weisz, allenatore ebreo deportato nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Normale che lo sguardo cadesse incuriosita sulle note biografiche; oltre che giornalista, Marani è considerato lo storico del giornalismo sportivo: scrive parla e racconta di sport come pochi. Le sue inchieste? 1997 Fenomeno Ronaldo, 1977 Torino di Piombo,1990 Il caso Baggio, 1940 L’ultimo giorno di pace e tante altre, tutte molto interessanti.

Contenuti
Matteo Marani  la carriera e il genio calcistico di Arpad WeiszIl tragico destino della famiglia Weisz

Matteo Marani  la carriera e il genio calcistico di Arpad Weisz

Matteo Marani

Può sembrare che i complimenti verso l’autore si sprechino e che il mio giudizio sia, in qualche modo, “di parte” ma non è così. Ripercorrere la vita di un uomo vissuto oltre settanta anni fa non è facile, se poi le tracce da seguire sono quasi inesistenti convieni che lo sforzo è di gran lunga più complicato. L’unicità di Marani risiede, senza dubbio, nella passione con cui ricerca la storia stessa. Non è solo descrizione di un avvenimento quanto la ricerca profonda del personaggio, la storia, la sua evoluzione, le motivazioni che l’hanno scatenata.

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In questo caso a motivarlo è la consapevolezza che di Arpad Weisz, oltre ad averne perso le tracce, nessuno avesse conservato la memoria. È un pensiero che Matteo Marani cita spesso durante il racconto, quasi un monito verso chi superficialmente, in tutti questi anni, non avesse restituito dignità e valore a un uomo che, a suo dire, fu uno dei più grandi allenatori di calcio nazionale e internazionale.

Come in un puzzle il giornalista ricostruisce la vita di un uomo riservato, ebreo di origine ungheresi, grande conoscitore del calcio. Da giocatore partecipa con la maglia dell’Ungheria alle Olimpiadi di Parigi del 1926, gira il mondo, ma di questo le notizie sono vaghe. Di certo l’eco del suo talento arriva fino in Italia, l’Inter lo inserisce nella rosa, ma, per un fastidioso infortunio, scrive Marani, Il giocatore bravo si trasforma in un allenatore straordinario.

Arpad Weisz

Arpad in effetti, ha le giuste attitudini del tecnico, è bravo, intuitivo, sa gestire lo spogliatoio, fiuta il talento calcistico. La sua è una visione di gioco innovativa e più incisiva, formula strategie di gioco, sperimenta, rivoluziona tanto da scrivere un manuale su gioco del calcio con regole e organizzazioni di gioco all’avanguardia per l’epoca.

Con l’Inter conquista lo scudetto, ma refrattario alle imposizioni della presidenza, accoglie l’invito del Bologna con il quale raggiunge due volte il primo posto. Bologna in qualche modo contraccambia l’ungherese con il giusto rispetto restituendogli la possibilità di vivere una vita familiare dignitosa, ma il Fascismo ha già dettato le sue regole, soprattutto per gli ebrei

Quello che accade nel 1938 per gli ebrei è l’inizio della fine. Le leggi raziali non lasciano scampo così come il censimento obbligatorio, l’arma più subdola per controllare ed eliminare gli indesiderati. Il resto purtroppo è storia e non possiamo certo vantarcene. Non mi sento di entrare nei dettagli e nei momenti di vita della famiglia ungherese, non c’è nessun finale da spoilerare, è profeticamente ipotizzabile, ma è giusto che ognuno respiri l’atmosfera che lo circonda.

Per quanto la storia sia tragicamente scontata, si è comunque coinvolti dallo stile empatico di Marani che accompagna il lettore attraverso gli aspetti emozionali, quelli legati alle gioie per le vittorie quanto il senso di disperazione e impotenza dettato dalle incognite. In questo è davvero molto bravo.

Il tragico destino della famiglia Weisz

Arpad Weisz con la famiglia

“Scatoloni preparati frettolosamente, oggetti messi insieme, cercando di razionalizzar, saluti abbozzati, qualche imbarazzante ” arrivederci”, Quei provvedimenti potrebbero un giorno rientrare, cessare di esistere, far si che il diritto vinca sulla protervia. E allora si che avrebbero modo di ritornare a Bologna. E invece è un addio!”

Nessun dialogo quindi solo la voce narrante, un film  a cui si assiste impotenti. La vita dell’allenatore e della sua famiglia scorre impietosa come un treno ad alta velocità diretto verso un unico tragico finale. Non si rimane indifferenti davanti ai ritmi serrati degli eventi, i sentimenti di paura, l’incertezza dei tempi dettati dai capovolgimenti politici. Per i componenti della famiglia Weisz, censiti come cittadini di serie B, l’aria diventa irrespirabile quando le leggi razziali impediscono agli ebrei di esercitare qualsiasi professione.

L’esilio li porta prima in Francia e poi in Olanda nella cittadina di Dordrecht, l’ultima residenza ufficiale della famiglia ungherese, “la fine di un illusione”, scrive Marani. Con l’arrivo delle forze naziste, Weisz non è più un uomo è solo il num. 1621,”

[…] la giacca appare abbondante rispetto alla figura stazzonata. La capigliatura è alta, ispida. Il volto è scavato. bianco nonostante i raggi del sole che si intuiscono sopra le piante e il gazebo del giardino. Ha un accenno do sorriso, Weisz, ma la morte gli sta scritta terribilmente in volto.

ShoahIl finale per quanto lo si possa immaginare lascia un vuoto di amarezza e sconforto, si rimane sgomenti e increduli di fronte a tanta spietatezza. Non c’è nulla che io mi senta di giudicare, è inaccettabile senza se e senza ma. Preferisco spostare l’attenzione sugli aspetti letterari del libro, lo ritengo ben scritto, empatico, drammaticamente vero. Giusta l’idea di inserire nel libro un reportage di foto e documenti, testimoniano l’esistenza di un uomo ingiustamente dimenticato, innamorato della suo lavoro, dietro agli sguardi sorridenti l’illusione di un sogno distrutto dalla cattiveria dell’uomo. Inevitabile abbassare lo sguardo per la commozione.

Matteo Marani accende il pulsante della cinepresa, fa scorrere le immagini di una vita senza futuro, invita alla riflessione. Non nasconde le difficoltà della ricerca, ogni piccola scoperta è stato un tassello verso la verità, uno sforzo sublimato dalla speranza di risvegliare le coscienze sopite dall’indifferenza.

Al di là delle soggettive interpretazioni letterarie, il libro di Matteo Marani (Diarkos) va letto. Non è solo un consiglio letterario. Immergersi nella storia più dolorosa ci rende vulnerabili e distratti, perdiamo consapevolezza della nostra stessa debolezza, significa girare lo sguardo per il timore di non capire fino in fondo l’incomprensibile. Il coraggio di guardare al passato è il primo passo per un futuro migliore, lo dobbiamo a chi non c’è più, lo dobbiamo a Weisz e alla sua famiglia, il minimo che possiamo fare è non dimenticare! 

 

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