Fra i diversi libri che circolano e stazionano fra librerie e scaffali di casa, recentemente uno in particolare ha attirato la mia attenzione e mi piace oggi proporlo anche alla tua, in questo venerdì di poesia. L’autore, Marco Scalabrino, è un siculo DOC e il libro, una piccola raccolta di poesie, ha un titolo alquanto particolare: Na farfalla mi vasau lu nasu (traduco: Una farfalla mi ha baciato il naso).
La scelta di Marco Scalabrino di scrivere di poesia usando il dialetto è una scelta, come presumo, dettata sicuramente dall’amore per la sua terra oltre che frutto di studio “matto disperatissimo” come direbbe il famoso Giacomo che di studi matti e disperati ha riempito la sua esistenza terrena…
Io invece che non conosco Marco Scalabrino, dalle poche informazioni che sono riuscita a recuperare, non azzardo il “matto e disperatissimo”, rischierei di suscitare la meraviglia (diciamo così, per non usare la parola sconcerto) dell’autore anche perché, a dire il vero, Marco Scalabrino non sembra né matto né disperato.
Celie a parte, che mi consento ogni tanto come ben sai, caro lettore, per rendere “leggero” e abbordabile un argomento come la poesia che affrontato con seriosità potrebbe risultare un vero mattone… Celie a parte dicevo, Marco Scalabrino è un autore che ha fatto dello studio del dialetto la sua passione. E da appassionato ne scrive con maestria.
Il titolo Na farfalla mi vasau lu nasu, a prescindere dal contenuto della raccolta, è già un’immagine poetica. La farfalla, simbolo di leggiadria e di bellezza, che va a posarsi sul naso dell’autore e su quel naso depone un bacio, non ti sembra sia una metafora che riconduce alla poesia stessa?
Pensiamo alla farfalla come simbolo: volando sosta sul naso di Marco Scalabrino, lo coinvolge attraverso il suo bacio e lo immette in quella dimensione poetica di cui lei (la farfalla) è portatrice… Dici che sto facendo voli pindarici e anche un tantino assurdi? Forse. Normale però per chi frequenta versi e affini. E credo proprio che Marco Scalabrino lo sappia bene, dal momento che la poesia, e la poesia dialettale in particolare, è uno dei suoi mestieri.
Marco Scalabrino poeta dialettale
La poesia di Scalabrino è la sua terra, quella terra secca e aspra capace di sorprenderti con improvvise fioriture gialle che ricoprono i monti e annullano il resto del mondo.
I profumi senza un nome certo e i colori sconosciuti altrove, sono individuabili a tratti, come nascosti tra le parole del Poeta, parole che nulla concedono e tutto regalano.
Devi affondare in quelle parole, te le devi sudare per conquistarle, le devi ingoiare, finché quelle parole saranno tue e tu sarai in loro.
La raccolta Na farfalla mi vasau lu nasu è una raccolta particolare, non tanto perchè è in dialetto: sappiamo che molti poeti usano il dialetto per i loro versi, come sappiamo che molti dialetti e il siciliano in prima linea, possono essere definiti lingue per il retaggio storico-culturale che si portano appresso.
Marco Scalabrino fa un uso del dialetto assolutamente originale: in questa raccolta lo usa per tradurre in siculo-trapanese poesie famose e meno famose di vari autori. Così sbirciando qua e là fra le pagine di Na farfalla mi vasau lu nasu, ho letto la traduzione dialettale di poesie classiche e poesie moderne, autori greci o latini e autori americani, inglesi e rumeni. Per farti un esempio:
Campamu, Lesbia mia, e scialamu/ e di lu parrari di li vecchi/ facèmuni na frasciàmi d’àrdiri.
Lu jornu di continuu agghiorna e scura/ ma pi mia e pi ti c’è sulu na cursa,/ sulu una, prima di lu scurùbbiu eternu..
E allora milli vasuna dammi e poi centu/ e poi nautri milli e poi nautri centu/ e arrè milli e arrè centu.
E accussì tanti e tanti hannu a essiri/ di nun putìrili chiù cuntari/ e di scanzàrini pi sempri/ tutti li malilingui e li mmiriùsi.
Quello che hai appena letto lo avrai riconosciuto: è un famoso brano poetico di, nientepocodimenoche, Gaio Valerio Catullo, la famosissima e studiatissima Lesbia, i cui versi Marco Scalabrino ha tradotto in siciliano, nulla togliendo alla liricità che il testo originale porta in sé.
Penso ci voglia grande maestria poetica per riuscire in un’operazione di questo genere: adattare il dialetto ad un qualsiasi testo, antico o moderno, senza snaturarne l’essenza, è come si legge nella prefazione della raccolta a cura di Piero Carbone un tentativo riuscito di far rivivere la poesia, originaria e originale, nel dialetto che è poi la lingua madre, la prima che sentiamo e impariamo.
Marco Scalabrino in Na farfalla mi vasau lu nasu, sotto l’ampia cupola del dialetto, raccoglie ed aduna poeti senza limiti geografico-temporali, oltreché linguistici: autori di due continenti, in disparate regioni dell’Europa e delle Americhe, che si collocano dalla classicità, Orazio e Catullo, e, con uno smisurato balzo ai nostri giorni, taluni addirittura ancora viventi.
La poesia rivisitata di Marco Scalabrino
Le quarantasei pagine della raccolta ospitano, tradotti in siciliano anche Charles Bukowski, Edgar Lee Master, Wislawa Szymborska, autori che non hanno bisogno di nessuna presentazione, affiancati ad autori semi-sconosciuti come Robert Garioch o Durban Glen, di quest’ultimo riporto My father (Mio padre) poesia che, preciso, non conosco né in lingua originale né in versione italiana.
Marco Scalabrino nella versione dialettale la intitola Me patri e ne fa un’alta opera di poesia. Pur restando nella semplicità dei termini riesce a rendere immagini dense e vivide, impresse per sempre nella memoria di un figlio, nell’evocazione di un padre che non c’è più.
Mi lu ricordu/ acciancu a la stufa/ li càusi grici a righi e li tiranti/ la cammisa di franella senza cuddaru.
Mi lu ricordu eccomu,/ li pianelli lu birrittu allaccarutu/ lu muccaturi a pallini russi/ lordu di tabbaccu ‘n sacchetta.
E li scarpi boni li calosci/ lu cileccu di seta e la giammerga/ nna lu cammarinu/ e la còppula.
Lu chiamavinu Jack Còppula,/ me patri.
E ora,/ addritta allatu a lu so catafalcu/ cu manigghi lustri di ottoni,/ talìu a iddu e a mia/ cu lu vistitu nìuru di la festa/ e na punta di biancu unni ci voli/ e nun lu canusciu.
Mio padre.
Accanto alla liricità dei versi è evidente, in questo come in altri brani tradotti, la ricerca di Marco Scalabrino di termini dialettali antichi ma ancora usati: un modo per rendere omaggio attraverso la poesia ad una cultura millenaria come quella siciliana; un iter sull’onda lunga della sensibilità personale e di un estro poetico che punta a conservare la bellezza antica della lingua madre, la prima che ognuno conosce e custodisce per sempre nel cuore.
Marco Scalabrino, cenni biografici
Nato a Trapani nel 1952 ha fatto dello studio del dialetto siciliano, della poesia siciliana, della traduzione in siciliano ed in italiano di autori stranieri contemporanei e della saggistica, i suoi principali interessi.
Ha pubblicato diverse raccolte di poesia, parecchi saggi critici sui poeti siciliani del Novecento e sui poeti contemporanei, oltre a vari racconti in dialetto. È impegnato in prima linea nella diffusione della lingua e della letteratura siciliana anche nelle scuole.
Una bellissima nota di lettura ad un libro che mi conosco e che mi piace.
Una bellissima nota di lettura a un libro che conosco e che mi piace.
Grazie 😉