Ti ho raccontato di leggende, personaggi sportivi, i grandi campioni di oggi e di ieri, i sacrifici per arrivare ai risultati affidati alle pagine delle loro biografie, ora è il momento di farti conoscere una storia diversa, a mio avviso, ugualmente importante e al contempo commovente per la sua normalità. È la storia di un uomo come tanti, un semplice operaio di una fabbrica di cava, con una vita normale, fatta di cose scontate, turni di lavoro, grandi sacrifici per sostenere la famiglia; un uomo che, alla soglia dei cinquantanni sceglie, attraverso lo sport, di dare un senso diverso alla sua vita. Potrebbe sembrare una storia senza troppa importanza se non fosse che Marco Olmo, questo il nome del corridore, ora settantenne, è diventato un atleta a tutti gli effetti, ultra premiato e considerato l’ultra runner per eccellenza, motivo più che valido perché facessi la sua conoscenza.
La prima cosa che mi viene in mente è che nel 2021 uscirà un film su di lui e questo già da l’esatta dimensione del personaggio senza macchia e senza paura convinto che a 47 anni la vita, nonostante tutto, possa dargli un’altra l’opportunità, e quale opportunità migliore per un uomo se non esprimere se stesso attraverso le sue passioni!?? Per farti comprendere la personalità di quest’uomo singolare dobbiamo fare un passo indietro, se non altro per comprendere quanto ognuno di noi, indistintamente, può fare per se stesso magari scoprendosi migliore o addirittura più forte. È una storia di resilienza, di sogni perduti ma ritrovati nel tempo, di forza di volontà e di costanza, dove a guidare è la mente, più forte di qualsiasi cosa, capace di spingere l’acceleratore ma per fermare il tempo.
Ho letto molto in questi giorni di Marco Olmo e ne sono rimasta affascinata, sarà perché sono attratta dalle personalità vere, dallo sguardo sincero, senza troppi fronzoli o filtri ma educati nell’animo, pronti a dare di sé, nel silenzio dei loro esempi, qualcosa di straordinario che apre alla speranza e ti fa capire che si può andare oltre. Della sua infanzia ho scoperto che è nato nel ’48 ad Alba ma che ha vissuto a Robilante, un paesino della provincia di Cuneo, dove correre significa respirare la bellezza della natura. È figlio del dopo guerra, proviene da una vita contadina, tipica delle valli, lavora prima come contadino, boscaiolo e camionista poi, per necessità, accetta di lavorare in una cava come escavatore. Che gli piacesse correre non è mai stata una novità ma non c’è tempo per i sogni quando sono le priorità della vita a chiedertelo; da persona responsabile, alle prese con la famiglia Marco decide che è meglio pensare ad altro, corre quando può, appena uscito dal lavoro, quando si sente libero da tutto; si permette di partecipare a 27 anni, ad una gara tra amici ma arriva penultimo.
Dopo venti anni di lavoro duro, la vita di Marco Olmo cambia; a 47 anni, in fondo, anche se per distrarsi, non ha mai abbandonato la sua passione, percepisce tuttavia che è arrivato il tempo di concedersi qualcosa in più. Si allena duramente senza seguire nessuna guida tecnica, senza regole, segue una dieta vegetariana, ascolta il suo corpo, le sue sensazioni, respira il desiderio di libertà che in qualche modo lo spinge a superare con umiltà, giorno dopo giorno i suoi limiti. Le uniche gare per cui potrebbe impegnarsi sono quelle di lunga distanza, quelle troppo corte non corrispondono ai suoi criteri di resistenza, continua quindi a correre tra le montagne, quando nel ’96 la Invicta gli propone di partecipare per la prima volta alla Marathon des Sables, un percorso di 230 km nel deserto marocchino sostenuto solo da provviste personali: da quel momento il deserto diventa la sua seconda casa. Attirato dal desiderio di andare oltre, al limite dell’estremo, partecipa alla Desert Cup una maratona di 168 km nel deserto giordano, alla Maratona dei Dieci Comandamenti, 156 km correndo sul Monte Sinai, e nel deserto californiano dove gareggia correndo per 270 km e con una temperatura al di sopra dei 40 gradi senza mai fermarsi, attraversando la Valle della Morte e il Monte Whintney
A 58 anni partecipa alla Ultra Trail del Monte Bianco per la quale vince il titolo di Campione del mondo: in oltre 21 ore di corsa ininterrotta attraversa Francia, Italia e Svizzera percorrendo 167 km intorno alle vette della cima più alta d’Europa, arriva quinto nella Maratona della Martinica. Nel 2017 a 68 anni non ci ha pensato neanche un attimo ed è volato in Marocco per partecipare alla Maratona della Sabbia, la gara che ama di più.
“Finché il corpo me lo consentirà, io correrò. D’altronde gli animali fanno così, corrono fino all’ultimo respiro. Ogni gara è come una nuova vita che vivo. Tutte le volte si riparte da capo, si scoprono gli avversari, ci si riscopre dentro, e si riscopre anche ciò che si ha attorno. Il deserto, il più bello e il più triste paesaggio del mondo, non è mai uguale a sé stesso. E sono sicuro che qualche altro deserto, qualche altro grande vuoto, ancora mi sta aspettando”.
Se clicchi su un qualsiasi sito di ultramaratoneti il primo nome che salta fuori è il suo; Marco Olmo è entrato di diritto nella leggenda per le sue imprese, che senza dubbio sorprendono, per la caparbietà, la passione e l’umiltà con cui vengono affrontate… “Amo il silenzio, amo correre, amo resistere. Si dice che il deserto sia in grado di spogliare le persone dalle ipocrisie e dalle ampollosità inutili. Ricordo la mia seconda Marathon des Sables, 230 chilometri in autosufficienza, una gara che dura una settimana. Credevo di vincerla, poi non ce la feci. Ero stato spogliato di quel lampo di superbia che mi aveva colto, e subito avevo dovuto ribassare la testa”.
Un aneddoto in cui racconta perfino la paura di non farcela e di come correre lo abbia salvato dalla morte..
Era il 1998, in Libia. Ero al primo posto, correvo assieme ad un altro atleta. Sbagliammo strada e ci trovammo in Algeria: nel deserto non ci sono confini e lo capimmo quando una camionetta dei militari venne a prenderci. Erano armati, ci portarono in una casupola; c’era tensione tra le due nazioni. Temetti veramente di morire, potevano ucciderci. Poi li sentimmo parlare, qualcuno disse che c’era una gara di pazzi che correvano nel deserto. Se ne andarono tutti. E scappammo. Ecco, quella volta ricordo che corremmo davvero per salvarci la vita. Alla fine ritrovammo il percorso. L’altro corridore si ritirò dallo spavento, io invece continuai a correre e alla fine vinsi lo stesso”.
Più che una semplice passione quella di Marco Olmo è una vera e propria filosofia di vita, scelta per andare avanti, superare le difficoltà, conoscere, uscire dalla quotidianità per non farsi sopraffare dallo stress, a suo dire, peggiore della fatica fisica, l’unico modo per ritrovare finalmente se stesso. Lo ha scritto anche in un bel libro che parla di lui e delle sue straordinarie imprese, il titolo è Il corridore. Storia di una vita riscattata dallo sport edito da Ponte delle Grazie e uscito nel 2016.
La corsa fa bene, aiuta nello spirito, non ha senso stressarsi quando si corre. La corsa deve essere gioia, se devi finire una maratona in quattro ore non serve a nulla morire di fatica, è inutile guardare l’orologio. Io non ho mai avuto un allenatore, ho solo seguito l’istinto del mio corpo. La corsa mi ha aiutato a conoscere meglio me stesso, spero accada anche ad altri”
Se pensi che Mister Olmo abbia appeso le scarpette al chiodo ti sei sbagliato di grosso, corre ancora un’ora e mezza al giorno, ma si prepara come sempre alle gare con distanze maggiori. Di tutto questo è dispiaciuto e preoccupato: “Purtroppo ho dovuto ridurre, dieci anni fa facevo almeno due ore al giorno”
Che dire… Beato lui!