Louise Glück, autrice statunitense, nata a New York nel 1943, ha ricevuto il Premio Nobel 2020 per la letteratura “per la sua inconfondibile voce poetica che con l’austera bellezza rende universale l’esistenza individuale”. Una motivazione che da sola basta a stimolare la curiosità di frequentatori di versi ed affini, ad approfondirne la conoscenza .
Confesso che la sottoscritta non ha mai letto niente di Louise Glück: l’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura ha scatenato nella mia testa mille punti di domanda su chi è Louise Glück, su cosa e come scrive. Nel vasto panorama di scrittori, poeti e affini, ammetto che c’è da smarrirsi ed essere informato di tutto, signori miei, è quasi impossibile.
Un Premio Nobel però è il riconoscimento internazionale più importante in assoluto e quindi, come mio solito mossa dalla curiosità, sono partita alla ricerca di informazioni su Louise Glück e soprattutto sui suoi versi, dal momento che la nostra autrice è essenzialmente una poeta. Potevo ignorarlo? Ovvio che no!
Meno male che in questi casi “santo web” viene sempre in aiuto ai suoi devoti e non poteva essere altrimenti considerata l’importanza del personaggio e il prestigio internazionale del premio ricevuto. Apprendo anche, fra l’altro, che Louise Glück ha collaborato con le più importanti riviste americane ed ha vinto nel 1993 il premio Pulitzer per L’iris selvatico, una raccolta di poesie la cui traduzione in italiano è stata curata da Massimo Bacigalupo.
Louise Glück, temi poetici
Se un’autrice riceve premi così prestigiosi, è ovvio che il valore è indiscutibile, fra l’altro la sua poetica, molto intima e personale, viene paragonata a quella di Emily Dickinson: le due autrici, distanti fra loro per epoca e percorso di vita, sono accomunate da una poetica discorsiva, delicata e intima, non priva di quella spiritualità che induce entrambe ad un dialogo continuo e costante con il Trascendente.
Padre irraggiungibile, quando all’inizio fummo/ esiliati dal cielo, creasti/ una replica, un luogo in un certo senso/ diverso dal cielo, essendo/ pensato per dare una lezione: altrimenti uguale… la bellezza da entrambe le parti, bellezza/ senza alternativa… Solo che/ non sapevamo quale fosse la lezione./
Lasciati soli,/ ci esaurimmo a vicenda. Seguirono/ anni di oscurità; facemmo a turno/ a lavorare il giardino, le prime lacrime/ ci riempivano gli occhi/ quando la terra/ si appannò di petali, qui/ rosso scuro, là color carne…/ Non pensavamo mai a te/ che stavamo imparando a venerare./ Sapevamo solo che non era natura umana amare/ solo ciò che restituisce amore. (Mattutino)
Il carattere discorsivo del testo è la prima nota tecnica che un qualsiasi amante di versi et similia non può fare a meno di notare. Nel leggere il brano c’è da tener presente che la traduzione fa spesso perdere al testo quella purezza originale che è essenziale per la poesia. Gli stessi vocaboli usati, a volte, non trovano il corrispettivo esatto facendo perdere il senso pieno che chi scrive vuole dare ai suoi versi. Sarebbe bello poter avere una piena padronanza della lingua usata dall’autrice, per assaporare in pieno musicalità, assonanze, dissonanze ecc. Pazienza, ci accontentiamo di leggerne e gustare la traduzione…
Il testo che ho riportato è comprensibilissimo e di facile “acchiappo”. Louise Glück non fa altro che instaurare un dialogo immaginario con colui che chiama Padre irraggiungibile, quel Padre comune a tutta l’umanità, Creatore di bellezza in cielo e in terra da entrambi le parti, la bellezza senza alternativa.
Un dialogo accorato, doloroso, per un’umanità che si sente abbandonata sulla terra dal suo Creatore e che a fatica, in molti anni di oscurità e di mancanza, ha imparato a camminare da sola e che ancora non sa amare gratuitamente ma ama solo ciò che restituisce amore: come dire l’uomo cerca il suo interesse personale ed egoistico anche in quel sentimento che dovrebbe essere un dono disinteressato, così come ci è donato da sempre e per sempre: l’amore.
Louise Glück, ancora due poesie…
Nessuna disperazione è come la mia disperazione…/ Non avete luogo in questo giardino/ di pensare cose simili, producendo/ i fastidiosi segni esterni; l’uomo/ che diserba cocciuto tutta una foresta, la donna che zoppica,/ rifiutando di cambiar vestito/ o lavarsi i capelli.
Credete che mi importi/ se vi parlate?/ Ma voglio che sappiate/ mi aspettavo di più da due creature/ che furono/ dotate di mente: se non/che aveste davvero dell’affetto reciproco/ almeno che capiste/ che il dolore è distribuito/ fra voi, fra tutta la vostra specie, perché io/ possa riconoscervi, come il blu scuro/ marchia la scilla selvatica, il bianco
la viola di bosco. (Aprile)
Anche in questo secondo brano di Louise Glück, scelto fra i vari da me letti, ricorre una delle tematiche care all’autrice. Se sei un attento e perspicace lettore, ti sarai accorto che non l’ho scelto a caso: Aprile, il secondo brano, sembra la risposta a Mattutino, il primo brano che ho riportato.
In Aprile, Louise Glück dà voce a quel Padre irraggiungibile di Mattutino. Una voce dolente, delusa: lo si evince dal primo verso: Nessuna disperazione è come la mia disperazione… Un Dio disperato e addolorato per il rifiuto delle sue creature; un Dio che ha distribuito equamente i suoi doni, che ama e si prende cura di tutti nella stessa misura, che non riceve riconoscenza ma non smette di amare.
Un Creatore umanizzato dall’autrice molto simile a mio avviso a quello presente nella Genesi, primo libro dell’Antico Testamento, dove i Profeti parlano al popolo per ispirazione divina.
Non saprei dirti se i due componimenti fanno parte della stessa silloge poetica, certo è che davvero sembrano l’uno in risposta all’altro: se nel primo è la creatura che si rivolge al Creatore, nel secondo è il Creatore che risponde alle domande della creatura, in un dialogo che stupisce ed emoziona chi legge e nello stesso tempo induce a riflettere sulla bella vena poetica dell’autrice.
C’era un melo nel cortile –/ saranno forse/ quarant’anni fa – dietro,/ solo prati. Ciuffi/ di croco nell’erba umida./ Stavo a quella finestra:/ fine aprile. Fiori di primavera/nel cortile del vicino./ Quante volte, davvero, l’albero/ è fiorito nel giorno del mio compleanno,/ il giorno esatto, non/ prima, non dopo? L’immutabile al posto/ di ciò che si/ muove, di ciò che evolve./
L’immagine al posto/ della terra inarrestabile. Che cosa/so di questo luogo,/ il ruolo/dell’albero per decenni/ preso da un bonsai, voci/ che vengono dai campi da tennis / Terreni. L’odore dell’erba alta, tagliata di fresco./ Quello che uno si aspetta da un poeta lirico./ Guardiamo il mondo una volta, da piccoli./ Il resto è memoria. (Nostos)
Diversissimo dalle prime due è invece il tema della terza poesia, Nostos. La memoria di luoghi conosciuti, vissuti e amati rimane intatta nel cuore dell’autrice che nonostante gli anni trascorsi altrove, ricorda perfettamente ogni particolare: il melo nel cortile, i fiori di primavera e persino l’odore dell’erba alta, tagliata di fresco.
Non manca in questo rievocare che potrebbe sembrare quasi denso di sentimentalismo scontato, una nota ironica: quello che uno si aspetta da un poeta lirico che rimarca, a mio avviso, la presa di distanza di Louise Glück da un genere di poesia evocativa e sentimentale.
Guardiamo il mondo una volta, da piccoli. / Il resto è memoria.
La memoria non può assumere mai il volto patetico-sentimentale quando si tratta di vera poesia: è piuttosto la consapevolezza che quella memoria vivrà dentro per sempre e non riuscirà mai a cambiare la visione delle cose costruita nei primi anni di vita. Un eterno imprinting che ci portiamo appresso, pur nell’evoluzione personale di ognuno.
Che dirti caro lettore? Dal poco che ho letto devo ammettere che Louise Glück è una poeta che vale la pena di conoscere e approfondire, probabilmente 3 poesie sono decisamente poche ma è un inizio. Un Premio Nobel merita sicuramente di più.
Louise Glück
Louise Glück è nata a New York nel 1943, da genitori di origine ungherese. Nel 2003 ha ricevuto una delle massime onorificenze americane in campo culturale, ovvero la nomina a ‘Poeta laureato’ conferita dalla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Le sue poesie non sono molto note in Italia, ma esiste la traduzione di una delle sue prime raccolte, L’iris selvatico (Giano, 2003), che nel 1993 ha vinto un altro prestigioso premio statunitense, il Pulitzer.