Lilian Thuram non è un nome qualsiasi. Nel calcio è ricordato come uno dei più grandi difensori del calcio mondiale, campione del mondo e d’Europa con la maglia della nazionale francese conquistata nel 1998.
Lilian Thuram calciatore e scrittore
Nel 2000 è stato inserito nella formazione ideale del campionato Europeo, nel 2004 selezionato da Pelé e dalla FIFA come uno tra i 125 più grandi giocatori viventi.
E ancora, nel 2006 inserito nell’All-Star Team del campionato mondiale e per finire ha impreziosito per dieci stagioni la nostra serie A giocando con il Parma e la Juventus con l’ingaggio per l’epoca stratosferico di 33 milioni di euro.
In parole povere sto parlando di una leggenda del calcio che anche a 49 anni continua a fa parlare di sé e non certo per raccontare le sue esperienze, quelle, come ti ho già accennato, le scopri navigando.
Una volta appese le scarpette al chiodo, Thuram ha pensato bene di non ritirarsi in pensione ma fare buon uso delle sue esperienze per denunciarne le contraddizioni, la mentalità emarginante rispetto alle etnie figlie di un razzismo di cui ha cercato di capirne le origini.
Non sono solo mere riflessioni. Vestire la maglia di campione del mondo non ha certo evitato a Lilian Thuram di sentirsi apostrofare nel peggiore dei modi, una mentalità che ancora oggi, secondo il suo punto di vista, è ancora viva e dilagante.
La ricerca dell’eguaglianza, capire le origini delle differenze è stato il primo passo per affrontare temi sociale fondamentali per una giusta realizzazione dell’uomo. Un tema che Lilian Thuram affronta nel suo primo libro Le mie stelle nere da Lucy a Barack Obama un libro che, in qualche modo lo spinge a chiedersi perché non si dovesse conoscere la storia attraverso protagonisti neri e non solo bianchi. .
“Durante l’infanzia mi hanno indicato molte stelle. Le ho ammirate, le ho sognate: Socrate, Baudelaire, Einstein, Marie Curie, il generale De Gaulle, Madre Teresa… Ma nessuno mi ha mai parlato delle stelle nere.
I muri della mia classe erano bianchi, erano bianche le pagine dei libri di storia. Non sapevo nulla dei miei antenati. Soltanto la schiavitù veniva citata. Presentata in quel modo, la storia dei neri non era altro che una valle di armi e di lacrime”.
Domande più che legittime a cui Lilian Thuram cerca di rispondere affrontando il problema da un altra angolatura quello sull’eguaglianza. È un concetto che esprime molto bene nel secondo libro pubblicato con ADD editore e scritto nel novembre dello stesso anno Le disuguaglianze. Come cambiare i nostri immaginari
“È nella famiglia che nasce la nostra identità. Il modo in cui i genitori ci descrivono e ci promettono come sarà la vita è fondamentale. Cambiare i nostri immaginari è un passo necessario, mettere in discussione i nostri condizionamenti ci renderà capaci di pensare e costruire una società migliore.”
Lilian Thuram, Bianchi non si nasce, si diventa!
Lilian Thuram è diretto, non usa giri di parole: la famiglia è il principale mezzo di comunicazione, responsabile della costruzione di un pensiero e dell’identità di un individuo, la base per aprirsi al mondo con una visone programmata per accogliere l’uomo nella sua molteplicità.
Giusto allora continuare a pensare che la verità identitaria di un individuo sia bianca e non nera, cosa e chi decide che sia questa la verità da cui partire per classificare tutto il resto? È una riflessione doverosa. Lilian Thuram non si tira indietro, la sua risposta la puoi trovare nell’ultimo bellissimo libro Il pensiero bianco, Non si nasce bianchi, lo si diventa uscito da poco nelle librerie per DDA Editore. Il libro è stato presentato a Pordenone legge e sarà presentato giovedì prossimo al Festival dello Sport di Trento e il 15 ottobre al Salone del libro di Torino.
La domanda è semplice quanto provocatoria:
“Che cosa vuol dire essere bianco? E se invece di un colore della pelle indicasse un modo di pensare? Diventare bianco, non è forse imparare a pensare a sé stesso come dominante?”
“Quando si parla di razzismo, il nostro sguardo si rivolge alle persone discriminate, mentre dovremmo guardare alle persone che da queste discriminazioni traggono vantaggio”
Mi perdonerai se ho volutamente accentuato questo concetto. Lo ritengo estremamente adeguato per aprire una riflessione ancora più importante, quella dell‘identità. Mi hanno colpito alcune confidenze fatte dal campione in alcune interviste:
Io sono diventato nero a 9 anni quando sono arrivato in Francia dalla Guadalupe e un bambino guardandomi mi ha detto” sporco negro”. Anni dopo quando ho chiesto mio figlio se fosse l’unico nero in classe lui mi ha risposto” io non sono nero, sono marrone” e gli altri bambini? ” Loro sono rosa”.
“I bambini non si vedono bianchi o neri. È qualcosa che gli mettono dopo in testa. E quando incontro i bambini a scuola faccio loro una domanda” di quale colore siete? E loro ” Bianchi”. Allora mostro loro un foglio di carta bianco “Come questo?” Dicono…” No.. “E allora perché dite che siete bianchi? ” Per abitudine”.
Scrive Thuram:.
Bianchi non si nasce, si diventa. Non è un colore Essere bianchi o neri è una identità. E di questa identità bisogna conoscere l’origine, la storia, la costruzione politica che ha determinato la nascita del concetto di razza e ha stabilito che quella bianca sia la razza superiore. Questa ideologia politica ha legittimato la schiavitù, il colonialismo e l’apartheid. E spiega il razzismo di oggi!”
Credo che sul pensiero di Lilian Thuram si debba riflettere, senza giri di parole, senza remore per una società senza colori, ma illuminato da un solo sorriso!