In questi giorni abbiamo sentito tramite i giornali e telegiornali diverse storie di eutanasia. Sono diverse e tante le persone che chiedono una regolamentazione in Italia, in modo da non andare più all’estero. Molti malati, in situazioni gravissime e condizioni irreversibili, chiedono che sia promulgata una legge che regolamenti l’eutanasia e il suicidio assistito.
Qual è la differenza tra eutanasia e suicidio assistito?
Il termine eutanasia significa letteralmente buona morte (dal greco eu-thanatos) e indica l’atto di procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di una persona che ne faccia esplicita richiesta. La Federazione Cure Palliative ne fornisce una spiegazione ancora più esplicita definendola come “l’uccisione di un soggetto consenziente in grado di esprimere la volontà di morire”. La richiesta di eutanasia, nei paesi dove questa pratica è lecita, viene soddisfatta dopo un percorso che permette alla persona di effettuare una scelta consapevole e libera.
Spesso, come sinonimo di eutanasia vengono utilizzati termini come suicidio assistito, sedazione palliativa profonda e sospensione dei trattamenti. Ovviamente, questi termini sono trattamenti diversi, sebbene raggiungono lo stesso scopo.
Per quanto le due pratiche siano accomunate dalla volontarietà della richiesta e dall’esito finale, ci sono almeno due sostanziali differenze tra eutanasia e suicidio assistito:
- l’eutanasia non necessita della partecipazione attiva del soggetto che ne fa richiesta, mentre il suicidio assistito sì, perché prevede che la persona malata assuma in modo indipendente il farmaco letale;
- l’eutanasia richiede un’azione diretta di un medico, che somministra un farmaco di regola per via endovenosa, mentre il suicidio assistito prevede che il ruolo del sanitario si limiti alla preparazione del farmaco che poi il paziente assumerà per conto proprio.
Ovviamente le richieste, in entrambi i casi, vengono sottoposte alla valutazione di commissioni di esperti e al parere di più medici, diversi da quelli che hanno in cura il paziente. Solo dopo un’accurata analisi delle sue condizioni cliniche, della compromissione della qualità della sua vita e della sua piena libertà decisionale, gli viene data la possibilità di accedere agli interventi, solo nei paesi in cui sono consentiti, e l’Italia non è tra questi.
Eutanasia: dove si può fare
In Italia non è possibile effettuare né eutanasia né suicidio assistito, mentre la diffusione di queste pratiche nel resto del mondo è molto varia. In Olanda l’eutanasia è legale dal 2002 e il suicidio assistito dal 2004, anche ai minori di età superiore ai 12 anni, purché con il consenso dei genitori fino ai 16 anni. Nei Paesi Bassi devono sussistere una serie di condizioni, tra cui la piena e consapevole volontà di porre fine alla propria vita e la sussistenza di sofferenze insopportabili, nonché l’assenza di un’alternativa ragionevole.
Anche negli USA l’aiuto a morire è consentito, ma solo in alcuni stati come New Jersey, Washington State e Oregon. Nella vicina Svizzera è consentito solo il suicidio assistito, le richieste sono almeno quintuplicate dai primi anni 2000 ad oggi, a causa della vicinanza geografica con l’Italia e della relativa accessibilità della pratica, che hanno indotto anche molti nostri connazionali a scegliere questo territorio per l’assunzione del farmaco letale.
Il caso di Piergiorgio Welby
In Italia sono tante le persone che lottano per ottenere l’eutanasia. Il primo caso che ha fatto scalpore è stato quello di Piergiorgio Welby.
Piergiorgio Welby è nato a Roma il 26 dicembre 1945 e morto nella Capitale il 20 dicembre 2006. Nel corso della sua vita è spesso sceso in campo per il diritto all’eutanasia, diventando anche co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni. Oltre al suo incessante attivismo, Welby è stato scrittore, giornalista e politico, e le sue principali battaglie sociali furono rivolte alla difesa del diritto al rifiuto dell’accanimento terapeutico e del diritto all’Eutanasia.
All’età di 16 anni gli fu diagnosticata una forma grave di distrofia muscolare, la distrofia facio-scapolo-omerale, che progressivamente gli impedì di poter compiere azioni semplici e quotidiane, come camminare, parlare e respirare autonomamente. Sarà lui stesso poi a raccontare la sua vita e la sua malattia nel libro Lasciatemi morire.
Nel luglio 1997 subì una crisi respiratoria, e per sopravvivere fu costretto a essere collegato a un respiratore automatico (anche se lo stesso Welby non avrebbe voluto). Successivamente, fu sottoposto a una tracheotomia. Tutti questi eventi convinsero il romano a chiedere lo stacco della spina, ma la sua richiesta non venne accolta, poiché in Italia non esisteva una regolamentazione legislativa che tutelasse l’Eutanasia legale.
Nonostante ciò, Piergiorgio continuò a combattere socialmente e politicamente: oltre ad aprire forum e blog sull’argomento, divenne co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni e, il 12 aprile 2005, fu accompagnato da esponenti del Partito Radicale a votare il referendum sulla fecondazione assistita: un’immagine che spinse la politica a realizzare una norma per permettere di votare anche a chi fosse impossibilitato a recarsi alle urne.
La morte di Welby
Welby ottenne la morte il 20 dicembre 2006, a 61 anni, dopo che un medico anestesista gli somministrò dei sedativi e lo staccò dal respiratore artificiale. Un episodio che in Italia fu giudicato controverso, poiché non avvenne su disposizione legislativa. Ripercorrendo i fatti, sappiamo che la richiesta ufficiale da parte dell’attivista romano di non essere sottoposto più ad alcun trattamento terapeutico arrivò nel 2006.