Definirlo semplicemente Buddha è corretto, e al tempo stesso riduttivo, in quanto Siddhartha Gautama fu questo e molto altro ancora. Fu il primo uomo a raggiungere l’Illuminazione – il Nirvana – senza l’aiuto di un maestro, e fu colui che diffuse la dottrina tra tutti coloro che erano interessati a seguirlo, dando così vita a una delle religioni, o dei pensieri religiosi, più antichi e ancora oggi diffusi al mondo: il Buddhismo.
Cosa centra, allora, questa figura quasi mitologica con il libro di Hermann Hesse intitolato appunto Siddhartha, e pubblicato nei primi decenni del Novecento? Tutto gira intorno al fatto che fu proprio agli inizi del XX secolo che svariati studiosi occidentali iniziarono a fare ricerca approfondita riguardo alle verità storiche riconducibili a questa figura. Spoiler: non ne trovarono poi molte, in quanto nelle antiche cronache indiane, che rappresentano la maggioranza delle fonti più antiche (e che vennero scritte circa duecento anni dopo i fatti cui facevano riferimento), non veniva attuata una distinzione ferrea tra fatti storici e mitologia.
Il Siddhartha di Hesse è un romanzo e un po’ anche un saggio, che in un’ambientazione indiana colloca un personaggio che ragiona sul mondo, sulla vita, e sul modo di approcciarsi a essa – così come fece colui dal quale l’opera prende il nome.
Ovviamente non si tratta dell’unica fonte occidentale riguardo a questa figura, anzi. La storia di Siddhartha Guadama arrivò in Europa per la prima volta durante il Medioevo, anche se veniva chiamata Storia di Barlaam e Josaphat. Entrambi i nomi si riferiscono al Buddha e derivano da errori di traslitterazione. Si trovano persino traduzioni islandesi, datate 1204, di tale narrazione. Anche Marco Polo citò Siddhartha, nel capito del Milione in cui riferì fatti e racconti legati all’odierno Sri Lanka.
Solamente verso la seconda metà dell’Ottocento uno studioso si rese conto dell’origine buddhista della Storia; nei secoli precedenti l’interpretazione che prevaleva era praticamente quella contraria, ossia di un’origine cristiana del Buddhinsmo, proprio in virtù dell’esistenza del racconto delle gesta di Barlaam e Josaphat.
Dopo tutto questo parlare, giunge ora spontanea una domanda: chi era Siddhartha Gaudama?
Siddhartha: il Buddha storico
I nomi con cui ci si può riferire a Siddhartha Gautama sono molteplici, da Gautama Buddha, a Buddha Śākyamuni – cioè il Buddha storico, oppure, più semplicemente Buddha. Ciò è possibile perchè in lui si riconosce la figura fondante del Buddhismo.
La datazione della sua vita è incerta, si oscilla tra il 566 a.C. e il 486 a.C, con ricerche recenti che la collocano addirittura due secoli più tardi, ma tutte le fonti sembrano concordare sulla durata della sua permanenza terrena: circa ottant’anni.
Figlio di un potente raja, Siddhartha venne al mondo circondato di luce e già consapevole di sé. Il suo concepimento è fatto risalire al momento in cui la madre “sognò di essere che un elefante bianco le penetrò nel corpo senza alcun dolore e ricevette nel grembo, senza alcuna impurità“. A rendere ancora più speciale e unico il bambino, fu una profezia in suo onore, che prediceva sarebbe diventato un sovrano del mondo, oppure un monaco asceta destinato a trovare la Via verso l’Illuminazione.
Per quanto il padre lo volesse guerriero e re, fin da giovane Siddhartha dimostrò una inclinazione particolare alla meditazione. Fu, però, il suo primo viaggio nel mondo esterno al palazzo, dove aveva vissuto nella bambagia per i primi ventinove anni della sua vita, a scuotere le fondamenta del suo essere: incontrò un vecchio, un malato e un morto, e si rese conto delle atrocità della vita.
Siddhartha fece quindi voto di povertà, abbandonò le ricche vesti principesche e fuggì da palazzo, per diventare un monaco asceta. Dopo essere stato allievo di molti illustri maestri, senza però essere pienamente soddisfatto dalla dottrina appresa, Siddhartha si ritirò in solitaria e, in seguito a lunghe notti di meditazione, a trentcinque anni riuscì a raggiungere l’Illuminazione. Raggiunse livelli sempre maggiori di consapevolezza e visse a la Grande Illuminazione, che lo liberò per sempre dal ciclo della rinascita.
Non tenne per se questi insegnamenti, anzi. Li diffuse, e iniziò a comunicarli proprio ai suoi maestri, e poi ai compagni che l’avevano seguito, e successivamente a chiunque volesse raggiungere il Nirvana.
Quando morì, nel 486 a.C. circa, venne celebrato un funerale principesco, lungo sette giorni, e le sue ceneri vennero divise in otto parti, una per ciascun monarca che le aveva reclamate.