Atlantide è un nome che ricorre spesso nell’immaginario collettivo. Ambientazione ideale per romanzi fantasy, fumetti o videogiochi, è ammantata di quell’irresistibile dose di mistero necessaria per far viaggiare la fantasia.
In rovina o ancora florida, popolata da uomini-pesce o da esseri umani, avvolta dalle nebbie o rilucente del riverbero del mare, sta alla penna dell’autore deciderlo, quello che conta è che, come tutte le grandi esplorazioni, fa da sempre palpitare il cuore. Ecco che, quindi, ci troviamo davanti a romanzi come Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne e film d’animazione come Atlantis – L’impero perduto di Walt Disney (giusto per citarne un paio).
Viene dunque da chiedersi quale sia l’origine di questo mito, o quali fonti storiche riportino l’esistenza di questa grandiosa civiltà, tanto rinomata da non essersi persa nelle sabbie della storia.
La mitica Atlantide, un racconto di tempi antichi
Il primo – di cui ci è rimasta traccia – a narrare di Atlantide fu il filosofo greco Platone, all’interno dei suoi dialoghi Timeo e Crizia, risalenti circa al 360 a. C.
Davanti a quella foce che viene chiamata, come dite, Colonne d’Eracle, c’era un’isola. Tale isola, poi, era più grande della Libia e dell’Asia messe insieme, e a coloro che procedevano da essa si offriva un passaggio alle altre isole, e dalle isole a tutto il continente che stava dalla parte opposta, intorno a quello che è veramente mare.
Timeo, Platone
Egli localizzò l’isola di Atlantide al di là delle Colonne d’Ercole – lo Stretto di Gibilterra, una terra florida e ricca, dalla civiltà avanzata che, nei tempi d’oro, pare fosse riuscita a espandere i propri confini fino all’Egitto e all’Italia. Sembra che fosse il dominio di Poseidone, che la creò circondando il territorio in cui si trovata la fanciulla di cui si era invaghito con le acque di un mare vero, quello che noi ora identificheremo come Oceano, in modo che gli uomini – all’epoca non in grado di navigare – non fossero in grado di giungervi.
Il primo re di Atlantide sarebbe stato proprio il dio Atlante, figlio di Poseidone, che avrebbe anche dato il nome all’isola. Platone la descrive come una monarchia ordinata, un regno diviso in dieci sezioni, ognuna con il proprio re che governava un popolo pacifico e prospero. Quasi un modello di perfezione utopica, rispetto alla civiltà ellenica del periodo. Tuttavia, per quanto grande e potente che fosse, bastò una sola notte per farla sprofondare per sempre tra le acque.
In tempi successivi, però essendosi verificati terribili terremoti e diluvi, nel corso di un giorno e di una notte, tutto il complesso dei vostri guerrieri di colpo sprofondò sotto terra, e l’Isola di Atlantide, allo stesso modo sommersa dal mare, scomparve.
Timeo, Platone
Platone fu il primo – per molto tempo l’unico – autore antico a sostenere con certezza l’esistenza dell’isola, mentre già a partire da Aristotele, suo allievo, la veridicità di tali informazioni fu smentita e anzi, divenne oggetto di parodia.
Diversa fu la questione degli intellettuali di età moderna (dal 1500 in poi), che guardarono ad Atlantide come a una civiltà primordiale davvero scomparsa. Ciò che era più di rilievo per l’epoca fu però il fatto che la presenza di un’isola tra l’Europa e l’America – da poco scoperta – avrebbe permesso d’ipotizzare uno spostamento di genti europee in nel Nuovo Mondo, seppur in tempi remoti.
Se così fosse stato, si sarebbe potuta risolvere la grave questione della collocazione delle popolazioni native all’intero del paradigma della Bibbia, secondo il quale tutti i popoli esistenti sarebbero stati discendenti di uno specifico figlio di Noè – incaricato da Dio di ripopolare il mondo dopo il diluvio universale. E rendere le popolazioni indigene in qualche modo discendenti dal Vecchio continente avrebbe consentito di affermare legami di sudditanza, piuttosto che ti pura e semplice colonia.
Altro momento d’oro per il mito di Atlantide fu l’Ottocento: non solo divenne il soggetto dei primi romanzi di esplorazioni fantastiche, ma anche nell’ambito dell’occulto furono molte le personalità che citarono questa civiltà, arrivando persino a dividerne la popolazione in “razze” (purtroppo la categorizzazione degli esseri umani in “razze” più o meno superiori era tipica della cultura occidentale del periodo).
Anche la possibile collocazione geografica rimane un mistero: dall’Africa all’Oceano Atlantico, in Spagna o persino nel Mar Mediterraneo, in Sicilia o in Sardegna, le opzioni sono state scartate una dopo l’altra, per motivi geologici, storici e archeologici.
Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne: ecco la trama
Scritto nel 1870, il romanzo di Jules Verne, tra i più celebri dello scrittore francese, è stato ripreso nel corso del Novecento da innumerevoli adattamenti televisivi e cinematografici. Pensato come il primo volume di una trilogia, fin da subito il romanzo accese l’immaginazione dei contemporanei, per la straordinaria visione di un sottomarino in grado di esplorare il fondo dei mari.
Una nave, difatti, l’Abraham Lincoln, viene incaricata di catturare un misterioso mostro marino. Nell’equipaggio spiccano il naturalista, professore Aronnax, il servo Conseil e il fiocinatore Ned Land. Travolti da un’ondata, i tre vengono raccolti proprio dal “mostro marino”, il Nautilus, guidato dal misterioso capitano Nemo, un uomo che rifugge il consesso civile, si schiera talvolta a sostegno degli oppressi e peraltro si sente un perseguitato.
Insieme al capitano Nemo, avranno modo di percorrere in lungo e in largo gli oceani, alla riscoperta delle rovine dell’Atlantide perduta e lottando contro piovre gigantesche, fino al sorprendente finale.