Parlando di libri che hanno fatto la storia, caro iCrewer, è doveroso citare quello che è stato il punto di distacco tra poema e romanzo, il primo passo nella direzione di un genere letterario che ha soppiantato tutti gli altri. E questo battito di ali di farfalla, che ha finito per scatenare uno tsunami, altro non è che il Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes.
Viveva, non ha molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un idalgo di quelli che tengono lance nella rastrelliera, targhe antiche, magro ronzino e cane da caccia.
Quest’opera non è semplicemente il più grande capolavoro letterario spagnolo, considerato il primo romanzo moderno e il più venduto di tutti i tempi (500 milioni di copie, in un epoca in cui l’alfabetizzazione era tutto fuorché scontata), ma un vero punto di svolta per la letteratura mondiale, così importante e permeato a fondo anche nella nostra cultura, da aver dato origine al modo di dire “combattere contro i mulini a vento” – ossia combattere contro qualcosa di inesistente, vano, una nostra illusione.
Per non parlare delle moltissime trasposizioni in opera, oppure teatrali, o cinematografiche di cui questa storia è stata protagonista!
Don Chisciotte della Mancia, il primo romanzo moderno
Il primo capitolo delle avventure di Don Chisciotte è stato pubblicato in Spagna nel 1605 e ha fatto subito parlare di sé. Miguel de Cervantes si è servito dell’artificio letterario del manoscritto ritrovato (che consiste nell’affermare di aver rinvenuto un antico manoscritto, in realtà inesistente, dal contenuto importante o interessante. Questa storia, invenzione dell’autore, è la trama principale dell’opera) per dare il via al racconto. Questo stratagemma, però, non viene qui impiegato per dare lustro storico ai fatti, ma è un inizio parodico.
L’opera, infatti, rappresenta un punto di cesura con il passato proprio per il modo in cui si approccia alla storia: non solo è scritto in prosa e non in poesia, ma porta anche l’ironia dell’Orlando furioso di Ariosto al livello successivo, non tentando nemmeno di nascondere il tono canzonatorio con cui narra i fatti.
Don Chisciotte è il paladino di un’epoca ormai finita, un cavaliere che monta un ronzino claudicante, non un fiero paladino in armatura scintillante. Egli è innamorato dei poemi cavallereschi a tal punto da non rendersi conto che la realtà in cui vive è ormai molto diversa da quella dei libri.
Importa bensì di sapere che negli intervalli di tempo ne’ quali era ozioso (ch’erano il più dell’anno), applicavasi alla lettura de’ libri di cavalleria con predilezione sì dichiarata, e sì grande compiacenza che obbliò quasi intieramente l’esercizio della caccia ed anche il governo delle domestiche cose: anzi la curiosità sua, giunta alla mania d’erudirsi compiutamente in tale istituzione, lo indusse a spropriarsi di non pochi de’ suoi poderi a fine di comperare e di leggere libri di cavalleria.
La parodia non si ferma certo qui. Cervantes decide di affiancare a questo proprietario terriero di mezza età e un po’ male in arnese un contadino del posto come scudiero: Sancio Panza, incredibilmente pragmatico e pronto rivelare a ogni passo la verità che si nasconde dietro le illusioni del suo signore.
— Guardi bene la signoria vostra, soggiunse Sancio, che quelli che colà si discuoprono non sono altrimenti giganti, ma mulini da vento, e quelle che le pajono braccia sono le pale delle ruote, che percosse dal vento, fanno girare la macina del mulino. —
Il secondo capitolo del Don Chisciotte arriva dieci anni dopo, nel 1615 e a stimolare la sua stesura è un sequel non autorizzato del primo volume. Miguel de Cervantes disapprovò a tal punto questo libro apocrifo, da decidere di scrivere lui stesso il proseguo delle avventure del cavaliere della Mancia, adottando, però, un punto di vista diverso sulla realtà del suo tempo.
Se nella prima parte è Don Chisciotte ad auto-ingannarsi, nella seconda sono tutti gli altri personaggi a circuirlo senza scrupoli. Insomma, pagina dopo pagina si viene a creare il ritratto di una società ben diversa da quella della corte. Non draghi, eserciti o battaglie campali, ma osti, pecore e mulini a vento.