C’è sempre un momento della nostra vita in cui, quasi improvvisamente, ci rendiamo conto che il nostro modo di svolgere alcune azioni, di rapportarci ad alcuni argomenti non è che l’ultima mutazione nelle abitudini della società di cui facciamo parte. Come ci rapportiamo e rappresentiamo la morte non è di certo un’eccezione. Tuttavia, fortunatamente, volumi come Ars moriendi possono aiutarci nell’indagare le diverse tradizioni o le origini stesse dei nostri comportamenti.
Prendendo ad esempio proprio l’argomento della morte (mi spiace, ricorrerà di frequente oggi, visto che il filo conduttore dell’articolo), il professor Alessandro Barbero ha spesso enunciato, all’interno di suoi vari interventi – che ho riascoltato grazie al podcast in ci sono stati raccolti – alcune delle differenze tra il modo di vivere la morte nel Medioevo e ora.
Prima di tutto, la morte nel Medioevo non era un evento solitario. Chi moriva a casa, lo faceva circondato da parenti e da donne piangenti, dopo aver fatto testamento e lasciato ogni suo avere – denaro, abiti, gioielli, qualsiasi cosa potesse essere tramandata – a uno specifico destinatario. La veglia funebre, poi, era affidata alle donne – della famiglia, ma anche conoscenti – che avevano il compito di rimanere con il defunto e piangerlo – o piangerla, ovviamente.
A questo proposito, Barbero cita spesso un’episodio della vita di Dante in cui il giovane, non ancora sommo poeta, si recò alla veglia funebre del padre di Beatrice. Lì, si commosse al pensiero del dolore della giovane, salvo poi essere rimproverato da una delle donne provenienti dalla veglia, che lo rimbeccò ricordandogli che piangere non era compito suo.
Tuttavia, il fatto stesso che si parli compiti riservati a figure in particolare, può far pensare che si tratti di qualcosa in più di un costume di una certa città o zona geografica. E in fatti, dal XV secolo il poi, gli Ars moriendi, volumetti che davano i dettami per una buona morte, divennero molto ricercati e letti in tutta Europa.
Ars moriendi: manuali per approcciarsi alla morte
Ars moriendi significa L’arte di morire, ed è il titolo di due manuali, quasi due compendi sui riti e sui comportamenti da tenere nei confronti della morte, composti tra il 1415 e il 1450. L’autore è ignoto, ma si pensa che si trattasse di un frate domenicano, che si occupò di redigere i manoscritti su ordine del Concilio di Costanza, tenutosi dal 1414 al 1418.
L’opera divenne ben presto celebre in tutta Europa e venne tradotta in molte delle lingue del continente.
Ci si potrebbe aspettare che, trattandosi di due volumi, gli Ars moriendi siano una serie, oppure la divisione in due tomi di uno scritto troppo lungo per essere raccolto in un solo manoscritto. Non è questo il caso. Ci troviamo di fronte, infatti, di una versione più estesa e di una più breve dello stesso contenuto.
La versione più lunga, l’originale, intitolata Tractatus (o Speculum) artis bene moriendi, è l’opera prima di quel frate domenicano di cui si parlava prima. Il manoscritto, di cui ci sono pervenute sei copie, è diviso in sei capitoli, che spaziano dalla spiegazione del fenomeno della morte, ai buoni comportamenti che familiari e conoscenti devono seguire al capezzale del morente.
Nello specifico, nel primo capitolo si affronta il tema della morte, presentata in luce positiva e non come una avvenimento da temere. Si passa poi a descrivere le cinque tentazioni che potrebbero affliggere il moribondo poco prima di spirare – disperazione, impazienza, mancanza di fede, orgoglio spirituale e avarizia – e come evitarle. Il terzo capitolo elenca sette domande da porre a chi si sta spegnendo, mentre il quarto sottolinea l’importanza di tendere all’imitazione della vita di Cristo – i precetti contenuti in Ars moriendi sono quelli della Chiesa cristiana cattolica.
Il quinto capitolo è dedicato alla spiegazione dei comportamenti e dei compiti di familiari e conoscenti, che si prenderanno cura degli ultimi istanti del morente. Infine, il sesto capitolo tratta il tema della preghiera e di quale sia la più adatta per questa occasione.
Dell’altra versione di Ars moriendi, quella breve comparsa dal 1450 in poi, ci sono invece pervenuti una ventina di esemplari, tra manoscritti, incunaboli e volumi stampati con la tecnica a caratteri mobili. Il contenuto di questo testo volge intorno al secondo capitolo della versione più lunga, ossia alle tentazioni che possono assediare il moribondo.
A renderlo diverso è però il modo in cui il contenuto è presentato: non solo testo, ma anche undici xilografie – vi sono tredici diverse versioni di queste illustrazioni. Le xilografie erano presentate a coppie in cui una ritrae la tentazione, e l’altra il comportamento da tenere per far sì di non cadervi preda. L’ultima, l’undicesima illustrazione, contiene la rappresentazione dell’anima che lasciava il corpo per dirigersi in Paradiso.