Sefer ha-zoha, Zohar, Il libro dello splendore, è uno dei più complessi e criptici della tradizione del misticismo ebraico, tradizione che si impegna la conoscenza della Torah. Le domande sui segreti che quest’opera nasconde si sono susseguite per oltre sette secoli e ancora oggi non esistono risposte chiare o univoche.
Non sappiamo se fu un scritto da una sola mano oppure parteciparono alla stesura un gruppo ristretto di cabbalisti, esperti delle scritture, o addirittura se l’opera sia il frutto di una ricerca protrattasi per diverse generazioni che poi ha dato frutto alle oltre millecinquecento pagine del libro.
La fama dello Zohar, come anche i suoi contenuti, è ricoperta di ombre. Per molti è un libro ‘santo’ che racchiude dentro di sé aspetti spirituali e rivelazioni divine inestimabili per altri è un semplice falso redatto e venduto per denaro.
Zohar tra storia e mito
La grande raccolta fu compiuta in un arco di tempo di circa trent’anni ed è scritta interamente in un aramaico secondo molti artefatto a causa dei molti errori ortografici e sintattici. La sua prima comparsa risale agli anni Settanta del Duecento, mentre già nel Trecento, gran parte dell’opera era compiuta.
Questo è testimoniato dal fatto che Menahem ben Benjamin Recanati, principale cabbalista italiano del tempo, facesse già uso delle citazioni del testo.
La tradizione ci spinge a trovare la sua origine a Castiglia, luogo dal quale l’opera partì in gran segreto e sotto mentite spoglie, diffondendosi poi in tutto il mondo.
I dubbi, intorno alla veridicità del testo, iniziarono a sorgere a causa di alcune discrepanze nella cronologia dell’opera. Inoltre, il fatto che l’opera fosse stata scoperta da una sola persona rendeva il tutto più difficile da credere.
Moseh de Leon è considerato lo scopritore del manoscritto, mentre per altri invece, lui è il redattore del testo che poi ha deciso di vendere queste belle parole per molto oro e argento.
Ad alimentare ulteriormente l’ultima tesi, sono le testimonianze di Dawid Pancrobo, celebre rabbino e studioso, che affermava come Moseh de Leon fosse in realtà un grande spendaccione e che fosse alla continua ricerca di denaro.
Lo studioso Pancrobo inoltre racconta di come una volta morto de Leon, lui volesse acquistare il famoso manoscritto dello Zohar dalla vedova. Alla richiesta di vendita la signora de Leon affermò che non esistesse alcun manoscritto e che il marito, quando era in vita, scriveva di sana pianta i testi.
A di là della storia e del mito, non si può negare che il testo dello Zohar, con tutte le sue contraddizioni, sia fondamentale per la comprensione della cultura ebraica, soprattutto se teniamo in mente che la diffusione e la canonizzazione del testo avvenne a cavallo del 1492-96 periodo della cacciata degli ebrei dalla penisola iberica.
Cosa contiene lo Zohar?
Nell’opera troviamo diversi brevi testi che commentano, anzi, in un certo senso spiegano o rivelano aspetti ‘celati’ ai più su testi del Pentateuco (o Torah i cinque libri più importanti che narrano le vicende della storia del popolo d’Israele).
‘Zohar’, infatti significa splendore e il manoscritto si prospetta proprio come luce alle tenebre della mente. Al suo interno sono descritte le teorie mistiche del concetto delle dieci ‘sephiroth’, le emanazioni di Dio, ovvero il modo in cui Dio si presenta al mondo. Le ‘sephiroth’ sono disegnate a forma di stelle nell’albero cabbalistico.
Oltre ad aspetti più astrusi e comprensibili solo ha chi ha avuto già un assaggio di esoterismo o cabalistica, l’opera contiene anche inni al Signore, preghiere, aneddoti quotidiani ed esempi di retta moralità.
Non da meno è il forte senso profetico che l’intero testo emana con la promessa implicita dopo la rivelazione dell’albero della vita e dell’esilio, della liberazione totale.
Esempio di lettura:
Partendo da Genesi 30, 37-40, dove è narrata la storia di Giacobbe e del suo duro lavoro nei campi arriviamo alla lettura più profonda che ci offre lo Zohar.
37 Ma Giacobbe prese rami freschi di pioppo, di mandorlo e di platano, ne intagliò la corteccia a strisce bianche, mettendo a nudo il bianco dei rami. 38 Poi egli mise i rami così scortecciati nei truogoli agli abbeveratoi dell’acqua, dove veniva a bere il bestiame, proprio in vista delle bestie, le quali si accoppiavano quando venivano a bere.
39 Così le bestie si accoppiarono di fronte ai rami e le capre figliarono capretti striati, punteggiati e chiazzati 40 Quanto alle pecore, Giacobbe le separò e fece sì che le bestie avessero davanti a sé gli animali striati e tutti quelli di colore scuro del gregge di Làbano. E i branchi che si era così costituiti per conto suo, non li mise insieme al gregge di Làbano.
La visione che ci regala il testo dello Zohar non è semplice e scava nella realtà magica e simbolica del testo.
Giacobbe ci viene presentato come pastore-mago che seleziona il suo gregge con astuzia per difendersi dal tranello di Labano, suo “capo” e suocero.
La magia descritta è una trasfigurazione della metafora sephirotica dove ogni gesto, come il mettere dei ramoscelli specifici nell’acqua o il semplice colore del bestiame, non sono altro che la rappresentazione dell’emanazione divina.
Giacobbe che qui rappresenta la ‘sephiroth’ della bellezza, ovvero ‘tif’eret’, compie questi gesti per accogliere l’influsso del rigore e della misericordia.