Buongiorno iCrewer! L’argomento di cui ti parlo oggi non si lega a un libro in particolare, ma è una curiosità che ho deciso di approfondire (un po’ com’è successo con i piccioni viaggiatori): gli stemmi, il loro significato e le loro origini.
Ora che li ho nominati, forse anche in te sorgerà qualche domanda, la voglia di sapere di più su questo argomento, soprattutto se abiti in una città o in un paese in cui si trova un centro storico, con palazzi o monumenti antichi. Ciò perchè i luoghi in cui è possibile trovare uno stemma sono i più diversi: la copertina o la cosa di un volume manoscritto; qualche arazzo; antiche armi; facciate di musei, castelli e altri edifici; affreschi; statue e opere d’arte di vari generi.
Tuttavia, ti sei mai chiesto da dove derivi questa abitudine? Per quale motivo colleghiamo gli stemmi, noti anche con il nome di blasoni, alla figura dell’araldo? Io sì, e questo è il risultato.
Gli stemmi, antichi biglietti da visita
Mi raccomando, iCrewer, non pensare che i cavalieri girassero con miniature dello stemma della loro famiglia nascosto tra le pieghe del mantello, pronto per essere consegnato a ogni nuova conoscenza, eh. Chiamandolo “biglietto da visita”, voglio dire che il blasone era sufficiente per trasmettere subito e in modo immediato l’identità della famiglia legata a quei determinati segni. Bastava che un uomo dell’epoca vi desse uno sguardo, per capire chi aveva di fronte o, quanto meno, di che casato facesse parte.
Lo scopo degli stemmi era proprio quello: permettere d’identificare un individuo senza possibilità d’errore, e il più velocemente possibile.
Parlando più strettamente della storia degli stemmi, devi sapere che le prime testimonianze sono datate intorno all’XI secolo. Già il fatto che si tratti, nella quasi totalità dei casi, di segni e schemi di colori inscritti nella sagoma di uno scudo, potrebbe averti fatto intuire la loro origine legata al mondo bellico. Gli eserciti medievali, infatti, erano costituiti da tanti gruppi di cavalieri, ognuno sotto il comando di uno specifico signore, piuttosto che un grande fronte compatto agli ordini di un unico generale – come accadeva, ad esempio, per l’esercito romano; era sì suddiviso in legioni, ma poi tutto faceva capo a un solo comandante.
Senza contare che l’armatura poteva facilmente celare l’identità di un uomo. Fu, quindi, necessario trovare un nuovo metodo identificativo. E qui arriviamo al motivo per cui, pensando agli stemmi, ricordiamo immediatamente una scena di Cenerentola, con l’araldo che declama a gran voce i nomi delle partecipanti al ballo (o almeno, io penso a questo, ma sono certa che si siano altri mille esempi nel cinema, così come nei libri).
La spiegazione è più semplice e intuitiva di quanto potrebbe sembrare: durante i tornei di giostra, organizzati nei vari castelli in occasioni speciali, erano gli araldi a dover annunciare i partecipanti. Compito più semplice a dirsi che a farsi, se teniamo presente che gli elmi di quel periodo coprivano completamente il volto di chi li indossava.
Per questo vennero adottati i blasoni, applicati prima all’armatura del cavaliere e ai paramenti del suo cavallo, poi diventati un segno di riconoscimento del casato stesso e quindi, per derivazione, dei suoi palazzi, delle opere d’arte da esso commissionate, insomma, di tutte le proprietà della famiglia.
Una volta compresa l’utilità di questo segno distintivo, la consuetudine di utilizzare gli stemmi si diffuse nei diversi ambiti della società, fino a giungere a monarchi, nobili e, successivamente, papi. L’abitudine non si limitò al feudalesimo, ma venne adottata anche, per fare qualche esempio, dalle città, dai Comuni e dagli ecclesiastici di rango più elevato. Per questo motivo, nel corso dei secoli, venne a crearsi un sistema di regole da rispettare nel momento della creazione del proprio stemma, in modo da renderlo comprensibile a chiunque, e un linguaggio araldico da adottare nel momento della sua descrizione.
Oggi, questo preciso lascito medievale è studiato da una branca particolare delle discipline di ricerca storica: l‘araldica.
Per quanto ancora ai giorni nostri sia possibile incappare in svariati stemmi, la consuetudine a essi legata si affievolì con la Rivoluzione francese e uno dei più grandi cambiamenti dell’ordine costituito che essa portò: l’abolizione della nobiltà. Le varie correnti europee che nacquero sull’onda del 1789 seguirono l’esempio di Parigi, segnando così la diminuzione dell’utilizzo dei blasoni.
Qualche consiglio di lettura
Se ti interessa scoprire qualcosa di più sugli stemmi, sulla loro storia e sul metodo di decodifica – visto che ogni abbinamento di colore, ogni arma, castello, torre, fiore, creatura mitologica, ecc. che vi è rappresentato porta con sé un significato – ti consiglio qualche titolo.
La mia prima proposta è Firenze araldica. Il linguaggio dei simboli convenzionali che blasonarono gli stemmi civici di Luciano Artusi, seguita da Gli stemmi a Lecce di Dario Ersetti e Stemmi. L’araldica spiegata ai ragazzi di Sylvie Bednar.