Mentre oggi in Italia è la festa di tutti i santi, dall’altra parte del mondo, in Messico e in tutta l’America Latina, si festeggia El dia de los muertos, vale a dire letteralmente la festa dei morti. A chi non conosce bene la tradizione di questo evento unico al mondo può suonare strano associare la morte ai festeggiamenti perché da sempre, nella nostra concezione, morte è sinonimo di tragedia, fine della vita, come se fosse un evento dal quale scappare e temere fortemente.
Non è così per i messicani che procedono in lunghe celebrazioni (dal 18 ottobre al 2 novembre) nei confronti di un accadimento che deve essere accettato come parte integrante della vita, la quale non termina con la morte ma avviene, in base alle loro tradizioni, una sorta di rinascita.
Ma quali sono le origini di questa festa? Scopriamolo insieme!
El dia de los Muertos: radici azteche e Maya
Le origini di questa celebrazione sono antichissime e risalgono all’epoca precolombiana con i popoli aztechi e Maya. Per loro la venerazione della morte era composta da un vero e proprio rito in cui il defunto doveva essere accompagnato nel modo più sereno possibile; una specie di valigia da preparare per il viaggio in uno dei quattro paradisi dell’aldilà. Dimenticate per un attimo paradiso, inferno e purgatorio perché nella credenza preispanica questi non ci sono.
I defunti infatti hanno la possibilità di arrivare in quattro luoghi diversi non in base al loro comportamento avuto in vita ma in base al tipo di morte.
Il primo luogo è il paradiso di Tlaloc, dio della pioggia, destinato a tutte le persone morte per annegamento o in circostanze legate all’acqua; il secondo luogo è il paradiso del sole, per i morti combattenti e le donne che morte a causa del parto: la leggenda narra che dopo quattro anni si sarebbero poi trasformate in uccelli dalle piume colorate.
Mentre nei primi due paradisi i defunti possono divertirsi e ballare, nel terzo paradiso, denominato Mictlan, si trovano le persone, morte per cause naturali, che percorrono un lungo e tortuoso labirinto prima di giungere ad un luogo di riposo. Quarto e ultimo paradiso è quello destinato ai bambini deceduti, un luogo particolare pieno di alberi da cui si può bere latte. Mentre queste antiche popolazioni dedicavano due mesi all’anno per commemorare i defunti è intorno al XVI secolo che avviene, con l’arrivo degli spagnoli, un’importante mescolanza tra tradizioni europee e precolombiane: non a caso il giorno dei morti viene fatto coincidere con quello cattolico.
Simbolo della festa: la Calavera Catrina
Il simbolo che caratterizza la festa dei morti in Messico è sicuramente la Calavera Catrina o scheletro elegante. Questa figura nasce grazie a José Guadalupe Posada, famoso stampatore, illustratore e litografo messicano che, tra il 1910 e il 1913, crea una caricatura di uno scheletro di dama vestita con un largo cappello, tipico dell’alta società europea di fine ‘800. Si tratta di una satira nei confronti di quei messicani che volevano adottare tradizioni aristocratiche europee ma contiene anche un significato importante: di fronte alla morte siamo tutti uguali, indipendentemente dalle nostre origini.
L’immagine dello scheletro ridente, che deride sé stessa, è diventata quindi un’icona per el dia de los Muertos, in cui la gente si traveste da scheletro indossando maschere e abiti colorati a rievocare la Calavera Catrina, la personificazione della Morte, celebrata con una festa ricca di colori, banchetti e offerte in onore dei defunti.
El dia de los Muertos: non è Halloween
El Día de los Muertos non è una versione messicana di Halloween. Anche se potrebbero essere simili per il tema della morte e degli spiriti, assumono un significato e uno spirito festivo completamente diverso. Mentre con Halloween si cerca di scacciare gli spiriti cattivi, travestendosi in modo da assomigliare a loro, nella festa dei morti messicana gli spiriti sono membri della famiglia venuti a mancare, che vengono accolti con gioia una volta all’anno.
Inoltre Halloween ha atmosfere cupe e di terrore a differenza di El dia de los Muertos in cui le decorazioni, le fioriture, le illuminazioni creano un’esplosione di colori e gioia di vivere.
El dia de los Muertos: le curiosità
Tra le curiosità di questa festa unica c’è da ricordare che l’Unesco, ha riconosciuto l’importanza della festività aggiungendola, dal 2008, alla lista di patrimonio culturale immateriale dell’umanità; el dia de los Muertos rappresenta infatti un’espressione vivente di tradizioni culturali tramandate di generazione in generazione.
Altre curiosità sono le decorazioni e la creazione di veri e propri altari: infatti i messicani cospargono le lapidi di fiori di calendula e gli altari vengono preparati seguendo delle regole precise: sono presenti le foto dei defunti, i loro piatti preferiti, il dolce tipico della festa (pan de muertos) cosparso di zucchero e simile alle ossa di un teschio, candele, fiori e i teschi zuccherati a volte personalizzati con il proprio nome inciso e regalati come portafortuna. Infine si possono trovare i papel picado, rettangoli di carta ritagliati in vari colori e soprattutto il sale, simbolo di protezione.
Letture sulla festa messicana
Se ti interessa approfondire meglio questo tipo di festività, ti vorrei consigliare due letture. Il primo libro è intitolato Dia de los muertos in Oaxaca. Contaminazioni tra sacro e profano di Lopreiato Pierpaolo, edito da Pellegrini editore, in cui potrai visitare l’America Centrale e il Messico, incontrare usi e costumi particolari che richiamano riti ancestrali caratterizzati dalla commistione tra sacro e profano. Dalla ricerca sul campo, grande stupore desta la commemorazione dei defunti che si trasforma, ogni anno, in una specie di carnevale con un’esplosione di colori che inebriano coloro che sono attratti da questo rituale sui generis.
Ammirando tutto ciò a Oaxaca, ci si rende conto che si tratta non tanto di una mesta commemorazione, ma di una vera e propria festa.
Il secondo libro è intitolato El Dia de los Muertos di Michele Grigato e Beatrice Perbellini, edito da Nerocromo. In questo progetto artistico si è voluto prendere il supporto e la simbologia dei Calaveras messicani per intraprendere un viaggio di ricerca grafica, pittorica e infine poetica incontrando diversi mondi e riferimenti culturali, al di là del tempo e dello spazio. I teschi sono stati dipinti da Beatrice Perbellini che per ognuno ha pensato ad un nome proprio e un’identità riferite a specifiche ispirazioni che vanno dalla cultura pop, a quella artistica cercando di riportarle agli stilemi e agli elementi caratteristici dei Calaveras.
Dai dipinti è poi partito il poeta Michele Grigato che attraverso la sua sensibilità li ha interpretati, aggiungendo significato ad ogni teschio e trasformando le suggestioni pittoriche in parole.