Buongiorno iCrewer! Oggi vorrei esplorare con te un tipo di opera d’arte molto particolare, in voga a partire dal periodo medioevale, e realizzata fino circa al Rinascimento: i codici miniati, veri e propri gioielle di pergamena.
Forse il conosci anche con il nome di manoscritti miniati, ma la sostaza è la stessa: si tratta di libri molto antichi, di fattura occidentale, che venivano realizzati per dare pregio a una biblioteca. Visto che la creazione di tali tomi era principalmente prerogativa dei monaci, non credo ti stupirà sapere che un gran numero di codici miniati si trova proprio nelle biblioteche dei monasteri, o, comunque, all’interno di collezioni che vi si trovavano in passato.
Vista la mole di lavoro necessaria per realizzare uno di questi volumi, oltre che al costo delle materie prime utilizzate – pergamenta per le pagine, pelle per la copertina, oro e pigmenti per le illustrazioni, ecc. – i codici miniati erano considerati veri e propri tesori, nonchè simbolo di benessere e ampia disponibilità economica (diciamo che, se si stancavano di fare a gara a chi aveva i gioielli più grandi, a chi costruiva la torre più alta o a chi aveva la mensa più ricca, i nobili potevano anche confrontare le proprie Bibbie o i propri libri di preghiera, per vedere quale fosse il più riccamente decorato).
Se a ciò aggiungiamo che, per secoli, i libri sono stati merce molto rara, allora penso che non sia difficile parire come mai nella biblioteca inglese di Chetham incatesannero i tomi al loro scaffale di appartenenza.
Ora che ho divagato un po’, credo sia giunto il momento di tornare al nostro focus principale: i codici miniati.
Dalla penna dell’amanuense al pennello dell’illustratore: come venivano creati i codici miniati
Come ti accennavo prima, per molti secoli la realizzazione di manoscritti miniati fu affidata solamente ai monaci amanuensi, cioè a quei monaci che dimostravano particolare abilità nella scrittura o nell’illunstrazione. La loro era una posizione di rilievo all’interno della comunità monastica: non solo potevano lavorare in stanze private o in scriptorium a loro uso esclusivo, ma soltimanete questi locali avevano finestre che si affacciavano sul chiostro interno (il che era un privilegio).
Quando, verso il XIII secolo, la richiesta di codici miniati cominciò ad aumentare, i monasteri iniziarono a ricorrere anche all’abilita di amanuensi laici, che varcavano i cancelli sotto mentite spoglie e la sera, dopo una giornata di lavoro, potevano tornare alla propria casa.
Il lavoro di questi uomini fu davvero indispensabile: molte opere antiche, infatti, sono giunte fino a noi soltanto in forma di manoscritto miniato (la pergamena era un bene prezioso e quindi, se ce n’era bisogno, veniva raschiata e riutilizzata, o impiegata in scopi completamente diversi).
A differenza di quanto protremmo pensare, però, questi copisti non si limitavano a trascrivere il testo pari pari. Non essendoci ancora il diritto d’autore, infatti, nessuno vedeva come un problema il permettersi qualche correzione o modifica durante la stesura. Questo è il motivo per cui è nata la filologia, ossia lo studio e la comparazione di manoscritti antichi, con lo scopo di ricostruire la versione originale di un testo.
Tornando ai codici miniati, un buon numero di essi sono di carattere religioso – Bibbie, Vangeli, libri delle preghiere dei laici; poi, con il tempo, i temi cominciarono a essere anche mitologici o legati ai racconti e alla storia locale. Ciò non toglie che, per essere identificato come manoscritto miniato, un volume dovesse possedere una caratteristica fondamentale: contenere illustrazioni decorate con la faglia d’oro.
Per quanto, infatti, nei codici miniati fossero presenti grandi e splendidi titoli, disegni che serpeggiavano lungo i bordi, capolettere d’impatto e bellissime illustrazioni dipinte con colori vivaci, se da qualche parte non compariva l’oro, il valore del tomo era cospicuamente più basso. Inoltre, visto che la miscela di colla di cervo e paglizze d’oro si appiccicava a ogni pigmento nelle vicinanze, l’applicazione doveva essere estremamente precisa, altrimenti si correva il rischio di dover gettare la pagina e ricominciare da capo.
Forse ti starai chiedendo come facessero i monaci a organizzare gli spazi, visto che non disponevano – almeno nei primi secoli – di fogli di carta per la brutta copia. Si trattava di un lavoro certosino: sul foglio di pergamena, ritagliato per adattarsi alla copertina; poi venivano tracciate con un legnetto le zone che avrebbero dovuto contenere miniature e decorazioni.
In un secondo momento, l’amanuense procedeva a trascrivere il testo, solitamente con un inchiostro scuro e stando ben attento a usare più spazio possibile. Inizialmente era lo stesso monaco a occuparsi anche delle illustrazioni, poi, con l’aumento di specializzazione dei ruoli, comparve una figura designata proprio per questa fase.
Nel caso in cui le miniature fossero molto complesse, l’illustratore realizzava uno schizzo su tavolette di cera, prima di procedere alla decorazione del codice miniato. Qui utilizzava diversi colori, derivanti da pigmenti di origine vegetale, minerale e, a volte, animale (ad esempio, il nero ricavato dall’inchiostro della seppia), in modo che l’immagine risaltasse e fosse di grande effetto.
Il tocco finale era l’oro, la ciliegina sulla torta che faceva diventare i codici miniati delle autentiche opere d’arte.