Esistono molti modi per comunicare le proprie emozioni, i propri pensieri. Le parole sono, forse, il mezzo che prima ci viene alla mente; pronunciate con voce spezzata o vergate su carta, poco importa, basta che il mittente riesca a rappresentare le proprie intenzioni. Ovviamente, ci sono anche musica, pittura, gesti d’affetto, comportamenti particolari e… il linguaggio dei fiori.
Sono molti i motivi per cui si può decidere di donare un fiore: perchè è uno dei regali più gettonati, quando si è ospiti a casa di qualcuno; è un complemento d’arredo che fa sempre la sua figura; un mazzo colorato dona allegria e, a volte, permette di esprimersi più facilmente di quanto le parole non consentano. Tuttavia, qual è il più appropriato per ogni occasione? Ci si fida del fiorista? O c’è un metodo per scegliere davvero il fiore giusto per il momento giusto?
Il linguaggio dei fiori: la lingua che dona un significato a ogni corolla di petali
È conoscenza abbastanza comune che le rose rosse rimandino all’amore passionale, che quelle bianche richiamino la purezza e quelle gialle la gelosia. Eppure, per quanto riguarda tutti gli altri fiori, pochissimi rimangono nella memoria collettiva per il loro significato, e non soltanto per la loro bellezza. Ha un po’ più di successo l’hanakotoba, il linguaggio dei fiori giapponese, in quanto si cala a pennello nell’atmosfera un po’ mistica, un po’ romantica in cui molti tendono ad avvolgere il paese del Sol Levante; ma oltre a quello, il vuoto.
Tuttavia, la tradizione di attribuire un significato a fiori e piante è tutt’altro che recente. Già nel Medioevo, infatti, quest’abitudine era molto diffusa. Il linguaggio dei fiori così come lo intendiamo oggi è, però, una riscoperta datata 1700-1800.
La prima a parlarne fu Mary Wortley Montagu, una nobile inglese, che cita tale argomento nella sua corrispondenza privata. In quanto moglie dell’ambasciatore inglese a Costantinopoli, la nobildonna risiedette nella capitale turca per alcuni anni, dal 1716 al 1718. Qui, tra le altre meraviglie locali, venne a conoscenza dell’abitudine di attribuire un significato simbolico agli oggetti, e in special modo a fiori, piante e frutti. Quando le sue lettere vennero pubblicate, nel 1763, quest’usanza, chiamata selam, divenne nota in tutta Europa.
Fu nel secolo successivo che il linguaggio dei fiori conobbe un vero successo, con la pubblicazione di volumi come Flowers: their Use and Beauty, in Language and Sentiment (Londra, 1818), oppure Le Language des Fleurs (Parigi, 1819) pubblicato da Charlotte de Latour – che pare possa essere lo pseudonimo di Louise Cortambert – tradotto anche in italiano; o Abécédaire de flore, ou language des fleurs (Parigi, 1811). Molte di queste opere erano anche accompagnate da meravigliose litografie e illustrazioni, che rendevano i libri ancora più appetibili.
Se ti stai chiedendo come mai proprio l’Ottocento fu il secolo che vide sbocciare questo metodo di comunicazione, la risposta è più facile del previsto: tra le altre cose, dobbiamo ringraziare il Romanticismo. Questo movimento, prima letterario e poi più generalmente culturale, nato in Germania e diffusosi in seguito in tutta Europa, aveva al proprio centro l’uomo e i suoi sentimenti. Era importante prendere consapevolezza delle proprie emozioni, riconoscerle, esprimerle. E quale modo migliore, che adottando una tradizione folcloristica, come quella del linguaggio dei fiori?
Come ti anticipavo, oggi sono pochi coloro che sanno orientarsi tra i significati delle varie specie (anche perchè ci sono cosi, come quello della rosa e dell’iris, in cui anche il colore dei petali ha una grande importanza), tanto più che non c’è unanimità tra le fonti. Per esempio, se secondo alcuni la lavanda è simbolo di sfiducia, per altri rappresenta profonda amicizia.
Se l’argomento t’interessa, ma non te la senti di addentrarti subito in testi specialistici, allora ti consiglio il romanzo Il linguaggio segreto dei fiori, di Vanessa Diffenbaugh, in cui i vari significati sono inseriti all’interno di una trama complessa e profonda.
Hanakotoba, il linguaggio dei fiori giapponese
Visto che l’ho citato prima, ho deciso di dirti due parole anche sull’hanakotoba (花言葉), il linguaggio dei fiori giapponese. Il nome, una volta tanto, significa esattamente questo, visto che hana è fiore, e kotoba lingua, linguaggio.
Nella cultura giapponese, i fiori hanno sempre avuto un ruolo importante, in quanto simbolo per eccellenza dell’impermanenza della vita, della bellezza effimera che dura solo per un battito di ciglia. Il fiore di ciliegio (sakura, 桜), è forse il più rappresentativo, e il più noto; tuttavia per secoli anche i fiori di pruno (ume, 梅) e di glicine (fuji, 藤) sono stati molto rilevanti.
Il linguaggio dei fiori per come lo intendiamo noi, è stato però introdotto dagli Occidentali soltanto alla fine del 1800, nel periodo Meiji, quando il Giappone aprì le sue frontiere – fisiche e culturali – al mondo. Inizialnte, arrivò la versione di cui abbiamo parlato poco fa. Poi, però, nel corso degli anni, un po’ come accadde con tutte le influenze esterne, anche il linguaggio dei fiori venne nipponizzato, diventando unico.
Ora si possono trovare fiori che simboleggiano la stessa cosa; altri che non potrebbero essere più diversi; e piante che, essendo di origine giapponese, hanno esportato il proprio significato autoctono in tutto il mondo. Un esempio di questa categoria è il giglio ragno rosso, che nella cultura giapponese rappresenta sia la morte, sia il legame con il mondo degli spiriti.