Spesso si riflette sul mutamento delle lingue, sui cambiamenti dovuti al trascorrere del tempo, al modificarsi della situazione sociale e culturale, al nascere e allo svanire delle abitudini. Tuttavia, sembra che meno attenzione sia data ai sistemi di scrittura usati per rappresentare queste lingue. Alcuni, come quello coreano, possono essere inventati a tavolino. Altri, come l’alfabeto arabo, possono essere il frutto di un processo di mutamento che accoglie le esigenze dei parlanti.
L’alfabeto arabo, infatti, non è soltanto il mezzo di espressione di molti popoli diversi, ma è anche la rappresentazione di una cultura secolare, molto ricca, e che è stata indispensabile per la storia del mondo – e dell’Europa, come ci dicono Giuseppe Cassini e Wasim Dahmash nel loro saggio Alfabeto arabo-persiano: Quando le parole raccontano un mondo.
Lo sviluppo dell’alfabeto arabo
L’ipotesi più affermata è quella che ritiene che l’alfabeto arabo si sia sviluppato a partire dalla versione nabatea dell’alfabeto aramaico che, a sua volta, deriva da quello fenicio – come l’alfabeto greco e quello latino, per citarne un paio. I reperti più antichi in alfabeto nabateo risalgono al II – I secolo a.C..
Tuttavia, ben presto si svilupparono due versioni dell’alfabeto nabateo: una più standard, fissa, utilizzata per i documenti ufficiali, e una che seguiva la lingua parlata, più corsiva e più comoda da scrivere sui fogli di papiro. Gli studiosi ritengono che da questa seconda forma sia derivato, intorno al III – IV secolo d.C. l’alfabeto arabo.
Questo non significa, però che l’alfabeto nabateo corsivo soddisfacesse a pieno le necessità della lingua araba. Il nabateo, infatti, ha ventidue fonemi, mentre l’arabo ne ha vent’otto. Ciò portò, in prima istanza, a utilizzare la stessa lettera per rappresentare più fonemi. Durante la transizione da nabateo ad alfabeto arabo, poi, anche la grafia subì dei mutamenti, facendo sì che soltanto diciassette lettere avessero affettivamente una forma unica e non ripetuta. Questo sistema creava, però, ambiguità e così, dal VII secolo in poi – soprattutto per evitare incomprensioni durante la lettura del Corano – venne introdotto l’utilizzo di punti per indicare quale fonema rappresentasse ciascuna delle lettere “doppie”.
Altra fonte di confusione era la mancanza di segni grafici che rappresentassero le vocali. L’alfabeto arabo all’epoca, infatti, come quello ebraico, era consonantico; il che significa che non erano presenti lettere che rappresentassero le vocali. Inizialmente si provò a inserire un altro sistema di punti, questa volta rossi, per rappresentarle, ma ben presto fu chiaro che si creava soltanto caos tra i segni vocalici e quelli per distinguere le consonanti. Per questo motivo, a partire dal VIII secolo vennero aggiunte lettere specifiche per i suoni vocalici.
L’arabo, però, non era soltanto la lingua di un popolo, ma di un impero, una lingua franca e lingua di commercio. Presto, quindi, si presentò la necessità di rappresentare tramite l’alfabeto arabo anche fonemi di altre lingue, varianti o dialetti. Per questo motivo vennero aggiunte nuove lettere, caratterizzate dalla presenza di tre puntini sopra o sotto di esse.
L’iscrizione di Zabad, il più antico esempio di scrittura con alfabeto arabo
L’iscrizione di Zabad è, come dice il nome stesso, un’iscrizione che si trovava – ora è al Art & History Museum di Bruxelles – nel villaggio di Zabad, nella Siria settentrionale. Incisa nel 512 d.C., rappresenta il più antico esempio di utilizzo dell’alfabeto arabo. Tutta, la sua particolarità è un’altra: le scritte sono tre, e in tre lingue diverse.
Proprio per questo l’iscrizione è nota anche con il nome di “iscrizione trilingue“: arabo, greco e siriaco. Se, però, state pensando a qualcosa si simile alla Stele di Rosetta (il monumento usato per tradurre i geroglifici per la prima volta nell’era moderna, visto che il contenuto era riportano anche in latino), mi spiace dirvi che la situazione è diversa. L’incisione di Zabad, infatti, sì presenta frasi in tre lingue, ma non si tratta una della traduzione delle altre, perchè il contenuto cambia a seconda degli interessi delle popolazioni che avrebbero letto quella specifica lingua.
Ecco quindi che il branetto in greco è l’unico a riportare che l’edificio su cui è stata incisa la scritta era dedicato a un santo, mentre sia quello in siriaco che quello trascritto con l’alfabeto arabo si riferiscono, in varie forme, soltanto al processo di costruzione. Per quanto riguarda la scelta dei tre idiomi, il greco era la lingua imperiale, il siriaco quella legata a un culto religioso diffuso all’epoca e l’arabo era probabilmente quella dell’autore.
L’iscrizione venne ritrovata nel corso del XIX secolo dallo studioso Johann Gottfried Wetzstein, e pubblicata ufficialmente nel 1881 da Eduard Sachau. Per quanto riguarda la sua collocazione fisica, essa rimase a Zabad fino al 1894, salvo poi essere ritrovata ad Aleppo nel 1898. Dopo varie vicissitudini e richieste da parte di studiosi europei, l’iscrizione di Zabad finì per essere traferita a Bruxelles, dov’è tuttora.