C’è un poeta ungherese che, a detta di Giosuè Carducci, potrebbe essere paragonabile a Mameli, un po’ per gli anni in cui visse, un po’ per gli ideali in cui credette. Si tratta di Sándor Petőfi e i suoi versi hanno smosso le folle alla rivoluzione.
Nacque a Kiskőrös nel 1823, in quello che era ancora il Regno d’Ungheria, parte dell’Impero austroungarico (e così rimase fino alla fine della Prima guerra mondiale), anche se ancora in tenera età si trasferì con la famiglia a Kiskunfélegyháza, città a cui il poeta si affezionò. Sebbene i suoi genitori fossero di discendenze non native ungheresi (si verificarono flussi migratori un paio di generazioni prima di quella di sua madre e di suo padre, per opera di politiche dell’impero), il poeta si considerò sempre ungherese, dalla punta dei capelli a quella delle scarpe.
Il padre era intenzionato a dare la migliore istruzione possibile a Sándor Petőfi, ma il destino aveva altri piani. Infatti, la convergenza di problemi economici in famiglia e inondazioni del Danubio straordinariamente forti, fecero sì che il giovane autore dovette ritirarsi dal liceo che stava frequentando.
Egli, però, non si perse d’animo e, anzi, iniziò a comporre. Inizialmente la sua passione si concentrò sul teatro, ma ben presto si rese conto di non poter nemmeno sopravviver scrivendo sceneggiature, figurarsi vivere agevolmente. Si voltò allora verso i poemi, componendo opere che ben amalgamavano elementi folclorici al suo stile unico. Sándor Petőfi avrebbe voluto scrivere anche testi di carattere più occidentale, ma il suo editore lo dissuase sempre, soprattutto perchè volumi di quel taglio avrebbero rischiato d’incorrere nella morsa della censura.
Dal 1844 in poi la sua poetica assunse toni più maturi, includendo anche temi come il paesaggio e la sua correlazione con l’animo umano, facendo diventare lo scrittore a tutti gli effetti un esponente del Romanticismo ungherese. Tuttavia, la sua opera forse più celebre è il poema patriottico (anche qui, tratto comune al movimento romantico) Nemzeti dal che incitava il popolo alla rivolta. Si racconta che proprio a ritmo di questi versi marciò la folla per la capitale Buda nel 1848, quando Sándor Petőfi e un gruppo di amici prima, e una marea di migliaia di persone poi, si diressero dal sindaco, con lo scopo di fargli firmare dodici punti rivoluzionari, che fecero muovere i primi passi nella direzione dell’indipendenza.
Sándor Petőfi credeva nell’azione e nella morte per la patria. Per questo si arruolò nell’esercito transilvano, che fronteggiava quello austriaco in un tentativo di liberazione – che purtroppo non andò a buon fine. Il poeta venne registrato come caduto in battaglia nel 1849, sebbene il suo corpo non fu mai ritrovato (il che diede vita a svariate voci su una sua presunta sopravvivenza).
Nemzeti dal | Canto nazionale |
Talpra magyar, hí a haza! Itt az idő, most vagy soha! Rabok legyünk vagy szabadok? Ez a kérdés, válasszatok! A magyarok istenére Esküszünk, Esküszünk, hogy rabok tovább Nem leszünk! |
In piedi, o magiaro, la patria chiama! È tempo: ora o mai! Schiavi saremo o liberi? Scegliete! Al Dio dei magiari giuriamo, giuriamo che schiavi mai più saremo! |
János vitéz: uno di più noti poemi di Sándor Petőfi
János vitéz, che potremmo tradurre come János il Valoroso, è uno dei principali poemi di Sándor Petőfi. Composto nel 1844, è noto in particolare per due aspetti: la sua lunghezza – parliamo di 370 quartine, suddivise in 27 capitoli – e il suo stile unico.
Dalla chiara, e dichiarata, ispirazione omerica, l’opera narra le peregrinazioni di János, il protagonista, costretto ad abbandonare la sua terra natale. Dal momento della partenza, è tutto un susseguirsi di avventure, di nemici da sconfiggere, sempre però alla ricerca scpasmodica del vero amore. Il successo del poema è sottolineato dalle numerose riscritture di cui è stato oggetto, dal campo musicale a quello cinematografico.