A est dell’India, sul golfo del Bengala, il Bangladesh con i suoi poeti e scrittori. Tra presente e passato, una cultura che affonda le sue radici in secoli di storia.
La linea di demarcazione tra presente e passato nella cultura del Bangladesh, è segnata dalla dichiarazione di indipendenza nel 1971. Situato ad est dell’India, è uno dei paesi asiatici più densamente popolati, con un altissimo tasso di povertà e soggetto a frequenti inondazioni. Secondo alcune indagini compiute dalla Banca Mondiale, negli ultimi decenni, il Paese ha compiuto notevoli passi avanti, sopratutto nei settori dell’alfabetizzazione e della scolarizzazione.
Si perde nella notte dei tempi la sua origine: resti di antiche civiltà risalgono ad almeno quattromila anni or sono, il termine Bangla o Bengala, si pensa derivi da Bang che non è il suono onomatopeico di una pistola che spara ma l’antico nome di una tribù di lingua dravidica che si stabilì nel territorio bangladese intorno all’anno 1000 A.C. Numerose le dinastie indo-ariane che si sono avvicendate nella storia del Bangladesh, fino alla colonizzazione anglo-europea che con la Compagnia delle Indie, ne acquisì il controllo nel 1757.
E com’è nella normalità della storia, il desiderio di indipendenza diventa necessità per un popolo di antiche e gloriose tradizioni, così avvenne anche per il Bangladesh: sanguinosissime rivolte, nel corso dei secoli della colonizzazione, divisioni e frazionamenti del territorio, impoverito anche da inondazioni e carestie, portarono alla dichiarazione di indipendenza nel 1971.
In conseguenza di numerosi colpi di stato, corruzione, disordini politici, gravi carestie ed eventi naturali disastrosi, il Bangladesh è uno dei paesi in cui gran parte della popolazione è costretta ad emigrare, per poter aspirare ad un futuro migliore.
“Un cuneo di verde sorvegliato a nord dalla catena dell’Himalaya e perennemente minacciato dalle piene di Gange e Brahmaputra, che poi si abbracciano, a sud, in un delta d’imponente portata. È uno stato molto giovane il Bangladesh: toltosi nel 1947 dal controllo inglese, ha ottenuto l’indipendenza dal Pakistan nel 1971 registrando poi un seguito di giunte militari, tra filo-occidentali e integraliste musulmane. Giovane la repubblica popolare, ma secolari la cultura e la spiritualità indiane (basti ricordare il Nobel Tagore che compone l’inno nazionale e chiama il Bengala «madre mia») che però si stemperano e via via danno vita a una letteratura di netta marca post-coloniale e tutta moderna. Le ultime generazioni del Novecento, infatti, native del Bangladesh o tornatevi in seguito, hanno prodotto romanzi e racconti, in special modo autrici donne, accolti dalla comunità internazionale nonostante viga la prassi che il libro di una donna raramente viene letto prima di essere respinto.” (dall’Osservatore romano Novembre 2017, Claudio Toscani)
Malgrado la sue vicende storiche non siano state fra le più pacifiche, il Bangladesh vanta un ricchissimo patrimonio culturale e letterario, a cominciare dal primo testo, il Charyapada, passando per i celeberrimi poeti Rabindranath Tagore e Kazi Nazrul Islam e approdando nell’impegno socio-letterario, soprattutto al femminile
Numerose le scrittrici del Bangladesh e molte di loro impegnatissime nella lotta per la conquista dei diritti umani, in un territorio dove l’uguaglianza fra i sessi è solo una larvata ipotesi del pensare comune. Molte di loro costrette all’esilio mentre altre, imprigionate, torturate o uccise hanno visto la loro esistenza e la loro voce ma non il loro pensiero, stroncate da una cultura maschilista dura da cambiare.
Fra loro, Tahmima Anam, nata a Dacca nel 1975 scrittrice e giornalista bangladese, nota per la sua trilogia di romanzi che ripercorre la storia del Bangladesh, dalla guerra di indipendenza alle vicende più recenti, attraverso le vicissitudini di tre generazioni della famiglia Haque.
Il suo primo romanzo, I giorni dell’amore e della guerra, edito dalla casa editrice inglese John Murray, nel 2007, ha vinto il Premio Commonwealth Winters’Prize come migliore opera prima. Il successivo, Il suono del respiro e della preghiera, nel 2011, ha avuto una nomination per il Man Asian Literary Prize. Nel 2013, Tahmima Anam, è stata inclusa nella lista della rivista letteraria Granta tra i migliori 20 migliori giovani scrittori inglesi.
Un’altro nome importante che mi piace ricordarti per l’impegno impegno nella lotta per i diritti umani, è quello di Shaheen Akhtar, bangladese nata nel 1962. Giustizia sociale, comprensione per la violenza e gli abusi sulle donne (ma mai tolleranza), la guerra e tutte le relative conseguenze, sono i temi principali delle sue opere, tra cui cito Nessuna via di fuga del 2000 e La ricerca del 2004. “Ho iniziato a narrare vite di donne single, qualcosa di nuovo nella nostra letteratura. I miei colleghi non hanno voluto prestargli molto interesse.” Questo, quanto ha dichiarato la scrittrice in un’intervista: un quadro completo di una situazione non proprio agevole per il genere femminile, in Bangladesh.
Se il presente è fatto di impegno socio-letterario, sopratutto al femminile, è altrettanto importante ricordare il passato, con i suoi fulgidi esempi letterari conosciuti ed apprezzati in tutto il mondo. Probabilmente il più conosciuto ed apprezzato scrittore e poeta bangladese, è il Premio Nobel Rabindranath Tagore che ha dominato la scena filosofica e letteraria indiana per decenni. Con le sue duemila Rabindra Sangeets, (canzoni) ha giocato un ruolo fondamentale nella cultura del Bangladesh e dintorni.
Tagore così solo con il cognome, notissimo e stimato dalla cultura mondiale, non soltanto perchè autore degli inni nazionali di India e Bangladesh ma soprattutto per le sue poesie densamente spirituali, cui ha attinto ampiamente anche la cultura New Age. Poeta, prosatore, drammaturgo e filosofo, il suo impegno fu volto a creare una “una nuova India“ più moderna e indipendente di quella che Gandhi, nello stesso periodo, desiderava affrancare dagli inglesi. Tagore che aspirava a conciliare la cultura occidentale con quella orientale, fu traduttore di se stesso, in quanto grande conoscitore della lingua inglese. Durante gli studi, compiuti proprio in Inghilterra, anglicizzò il suo cognome (originariamente Thakhur) e tornato in patria, si dedicò all’amministrazione delle sue terre e a coltivare ogni forma d’arte.
Gitanjali, un libro di poesie per il quale gli fu assegnato il premio Nobel per la Letteratura nel 1913, raccoglie, assieme ad un’altra raccolta, Il giardiniere, i versi che Tagore scelse per farsi conoscere in Europa. “Ricco di evocazioni e di affascinanti armonie, il linguaggio del poeta indiano giunge a noi occidentali come un’eco di situazioni profonde dell’anima. Prendono corpo in questi versi le immagini lontane d’una cultura antichissima, ora intrecciate ai motivi venuti dall’Occidente, ora immutate nella purezza della loro secolare e altera staticità. La tecnica sapiente e la raffinata cultura di cui i versi di Tagore sono il definitivo, elegante prodotto, hanno il potere di caricare ogni singolo elemento poetico di un particolarissimo alone di suggestione, di sottile e malioso incanto.”
Se tu non parli
Riempirò il mio cuore del tuo silenzio
E lo sopporterò.
Resterò qui fermo ad aspettare
Come la notte
Nella sua veglia stellata
Con il capo chino a terra
Paziente.Ma arriverà il mattino
Le ombre della notte svaniranno
E la tua voce
In rivoli dorati inonderà il cielo.
Allora le tue parole
Nel canto
Prenderanno ali
Da tutti i miei nidi di uccelli
E le tue melodie
Spunteranno come fiori
Su tutti gli alberi della mia foresta.
Finisco così, questo nostro incontro con i libri dal Bangladesh con questa poesia, densa di spiritualità, del suo autore più amato e conosciuto: un doveroso omaggio a Tagore e alla sua terra d’origine.