Leggendo antichi miti o sentendo narrare leggende di prodi gesta, capita di sovente d’imbattersi in scene di banchetti, festeggiamenti, rituali o celebrazioni in cui, prima o poi, qualcuno alza al cielo una coppa o un corno pieno di liquido ambrato. Ecco, si può presumere che quella bevanda sia idromele.
Il termine ricorre spesso soprattutto nella mitologia norrena, in cui questa bevanda accompagna brindisi agli dei o urla di vittoria, scorrendo durante i riti di passaggio e quelli propiziatori. Tuttavia, le popolazioni scandinave non sono di certo le sole ad aver imparato a produrre l’idromele, anzi. Si pensa che compaia anche nella mitologia greca, in incognito, per così dire, con il nome di “ambrosia“, una bevanda sacra bevuta esclusivamente dagli dei – e che ricompare anche in opere contemporanee come Il profumo del sangue di Nalini Singh, in cui mantiene il suo essere una bevanda rarissima e miracolosa.
Che cos’è l’idromele?
Definirlo “la bevanda degli dei” poco aiuta nel definire e chiarire che cosa sia l’idromele. Non resta, quindi, che affidarci a della buona e sana ricerca.
L’idromele è una bevanda alcolica fermentata, composta da acqua, miele e lievito. Si pensa che sia uno degli alcolici più antichi in quanto, a differenza di quanto avviene per i più noti vino e birra, non è necessario apprendere alcuna abilità particolare per produrlo – almeno nella sua versione più naturale, ovviamente. Infatti, se per arrivare al prodotto finito è necessario imparare prima a coltivare il frumento e la vite, e poi identificare il processo migliore per arrivare a bevande non solo potabili, ma anche gradevoli, per l’idromele basta mescolare acqua e miele – miele che viene prodotto dalle api e che basta, quindi, raccogliere negli alveari.
Non stupisce, quindi, che se ne trovino tracce anche in civiltà molto antiche, come quella egizia – con riferimenti anche di quattromila anni fa – quella celtica inglese, quella greca, e presso le popolazioni nordiche e slave.
Tuttavia, le popolazioni presso cui l’idromele ricopriva il ruolo sociale più rilevante erano probabilmente quelle scandinave. Non solo le sale in cui avevano luogo festeggiamenti e celebrazioni prendono il nome di “sale dell’idromele“, ma era usanza regalarne alle coppie sposate una scorta tale da bastare per un mese – o meglio, una luna, visto che veniva utilizzato il calendario lunare – dopo il matrimonio, come augurio di fertilità – ed è proprio da qui che deriva l’espressione “luna di miele“. Non deve stupire, quindi, che l’origine di questa bevanda sia documentata da un mito.
Tutto ebbe inizio con un accordo di pace tra Asi – le divinità guerriere – e Vani – le divinità più domestiche: entrambi gli schieramenti giurarono di mettere fine alla lunga guerra e, per sugellare il patto, sputarono in una coppa. Per evitare che questo simbolo di pace deperisse, gli Asi decisero di dargli un corpo e crearono così Kvasir, l’essere più saggio mai esistito, conoscitore di ogni segreto del mondo.
Una notte, durante le sue peregrinazioni per portare sapienza e conoscenza nel mondo, Kvasir chiese ospitalità a due nani che, però, lo assassinarono nel sonno. Raccolsero il suo sangue e lo mescolarono con del miele, dando così vita all’idromele, una bevanda che aveva il potere di rendere poeta chiunque ne bevesse un sorso. In seguito i nani uccisero anche una coppia di giganti, che vennero vendicati dal figlio, il quale prese con sé anche l’idromele. Nascose la magica bevanda e vi mise a guardia la propria figlia.
Quando i due corvi di Odino, Huginn e Muninn, riportarono al dio questa notizia, egli decise di recuperare la bevanda, che non poteva di certo restare nelle mani dei giganti, acerrimi nemici degli dei. Dopo una lunga serie di astuzie e sotterfugi, Odino riuscì a giungere dalla gigantessa e a convincerla a dargli tre sorsi d’idromele. Bevuto interamente il contenuto del calice, il dio si tramutò in un’aquila e volò fino fino alla sua dimora ad Ásgarðr, dove vomitò l’idromele in un calice. La leggenda vuole che il privilegio di bere una sorso sia offerto ai guerrieri che raggiungono la Valhalla e ai poeti; quegli uomini dotati di un qualche talento nel poetare, ma non fedeli agli dei, dovrebbero il proprio dono alle gocce d’idromele colate dal becco di Odino-aquila nella foga di scappare dai giganti infuriati.