I nostri viaggi letterari ci portano intorno al mondo, toccano paesi bagnati dal mare cristallino e colorati da panorami straordinari dove, in qualche modo, si respira aria di libertà che è anche libertà di pensiero, libertà di raccontare la vita, ciò che è degno di essere vissuto. Per il Paese che raggiungiamo questa volta, per quanto ci sia la volontà di vedere il classico bicchiere mezzo pieno, la parola libertà è un eufemismo, è stata sepolta insieme alle rovine delle città ormai distrutte dalla guerra e dalla fame. Siamo nello Yemen, caro lettore, un piccolo pezzo di territorio dell’Asia sudoccidentale che si affaccia sull’Oceano Indiano e posto nell’estremo meridione della Penisola Arabica, un tempo considerato come zona strategica per i rapporti con il mondo arabo e l’Occidente. Lo stesso nome racchiude in sé un significato etimologico importante che indica la sua posizione; se tradotta la parola Yemen sta a significare in modo preciso, “ciò che sta a destra dell’Est“, il punto di riferimento essenziale rispetto ai territori arabi, ma nel tempo (sembra un paradosso), il suo significato si è trasformato in ” felice“, “prospero” o fortunato“.
Non si può dire che in tempi antichi lo Yemen non abbia vissuto momenti di grande vitalità, basta pensare al regno della famosa regina di Saba, indicato come ” la via delle spezie”, terra di passaggio dei grandi eserciti e di legami con l’Egitto. È una storia antichissima che parte dal 550 d. C. con le prime presenze a nord dei gruppi Sunniti e a sud degli Zainidi, un ramo Sciita, già all’epoca impegnati in guerre religiose che divisero il territorio in due parti. Successivamente, per cinque secoli, il territorio yemenita venne inglobato nell’Impero ottomano ma in seguito, in una costante condizione di frammentarietà, fu facile per gli Inglesi occupare Aden e colonizzare nel 1839 la parte meridionale del territorio. Nel 1967 gli Inglesi abbandonano la capitale e nel 1970 viene proclamata la Repubblica popolare dello Yemen o Yemen del Sud. L’apparente riunificazione dei territori avviene nel 1990 con la nomina del presidente ʽAli Abdallah Saleh che rimarrà al potere fino al 2011, data tristemente ricordata per l’inizio di una guerra civile senza fine.
Le dinamiche politiche che hanno portato il paese arabo alla distruzione non sono facili da riportare in un solo articolo. L’ONU l’ha definita “la più grave crisi umanitaria mondiale” frutto di una guerra civile che si protrae da dieci anni; a scatenarla sono le rivendicazioni etniche, la necessità di un governo stabile, la voglia di autonomia. Lo Yemen e tutto il suo popolo, considerato il paese più povero della Penisola Arabica, combatte la sua battaglia silenziosa, quasi dimenticata dai media, notizie che passano in sordina condizionati dagli interessi che vanno al di là del semplice sostegno alle fazioni in lotta. Quel poco che raggiunge il mondo occidentale ci rimanda le foto di un popolo allo stremo, usato come mezzo per estorcere e guadagnare un pezzo di territorio in più e magari appropriarsi dell’unica fonte di sostentamento che è il petrolio. Quello che fa male è la consapevolezza che ad uccidere non sono solo le bombe ma soprattutto la mancanza di cibo e il colera che in poco tempo ha già ucciso 2000 persone usate come deterrente per costringere alla resa. Ho letto un articolo molto bello su Amat, ministro per i diritti umani, una donna straordinaria che da sola cerca di risollevare il capo, aiutando la sua gente a non farsi sopraffare, accogliendo le necessità di tutti, ma soprattutto invogliando i giovani a leggere e scrivere. Cercala, fa riflettere.
Il faro che accende la speranza, in una terra devastata dalla sofferenza, è la voce degli scrittori e delle scrittrici yemenite. Nonostante la guerra, le note che si occupano di valutare la produzione letteraria evidenziano un aumento positivo del fenomeno, ma la situazione attuale non consente agli scrittori di ricevere i sovvenzionamenti da parte del governo, fino ad ora impegnato a coordinare i finanziamenti utili per pubblicare i testi. E’ facile pensare quindi ad un esodo letterario che in qualche modo ha consentito agli autori di avere maggiore libertà di pensiero.
Da più parti il pensiero comune è che la cultura yemenita sia fortemente caratterizzata da testimonianze femminili, tra queste Nadia Al Kawkabani, scrittrice e accademica yemenita nata a Taiz nel 1972, autrice di Nient’altro che amore. un testo pubblicato nel 2011 con Traduzione di G. Renna; di rilievo anche Bishr-A Badriyah autrice del romanzo Profumo di caffè e cardamomo, in Italia sono stati pubblicati anche i racconti La bidella e Diario scolastico in Rose d’Arabia, a cura di Isabella Camera D’Afflitto, Edizioni e/o, 2001.
Di spicco anche Raja Alem, scrittrice, giornalista e autrice di romanzi e libri per bambini tra cui Kathem. Una bambina d’Arabia, tradotto e pubblicato in italiano nel 2016. Nata a La Mecca nel ’70, si laurea in Lingua e Letteratura inglese presso l‘Università King Abdulaziz a Jeddah, in Arabia Saudita dove lavora come tutor nel Centro d’insegnamento per maestri d’asilo, è considerata tra le più importanti scrittrici in lingua araba della sua generazione.
Tra gli scrittori contemporanei che in qualche modo hanno risentito degli effetti della situazione politica è senza dubbio il giornalista Ali Al-Muqri nato a Taiz, nel nord dello Yemen, nel 1966. Autore di dieci libri, romanzi, poesie e saggi, ha lavorato in numerosi giornali progressisti, nel 2007 è stato direttore della rivista letteraria Ghaiman e ha collaborato con il New York Times. Il suo percorso letterario lo ha inserito tra i personaggi più impegnati a livello sociale e politico del suo paese, e i suoi romanzi ne sono un esempio. Nel 2008 scrive Sapore nero, odore nero, non tradotto in italiano, nel 2011 arriva come finalista all’International Prize for Arabic Fiction il più importante premio per la letteratura araba, con Il bell’Ebreo, premio che conquista poi nel 2015 con Donna Proibita un romanzo che sarà prossimamente tradotto in italiano. Nello stesso anno, a causa del suo impegno politico e per le numerose minacce di morte, il giornalista è stato costretto a lasciare lo Yemen per rifugiarsi in Francia e dall’ottobre del 2015 collabora con la Maison des journalistes