Caro iCrewer, la magia del Natale, da poco passato, ancora ci avvolge, e siamo pervasi da una strana euforia… non è altro che trepidazione per la fine di questo anno, che saluteremo tra qualche ora, e impazienza di accogliere, indossando il nostro più caloroso sorriso, l’anno nuovo che arriverà inondandoci, come una un’onda estiva che infrangendosi abbraccia dolcemente la sabbia dorata, di tutte le sue novità. Prima, però, che tu afferri la penna ed inizi a scrivere, pagina dopo pagina, giorno dopo giorno, questo 2020, ti voglio parlare dello Stato nel quale ce ne andremo quest’oggi.
Questo Paese, al pari del Paraguay e dell’Uruguay, hanno lasciato in me un senso di malcelata tristezza: le vicissitudini nefaste che hanno riguardato queste popolazioni ti fanno riflettere sul fatto che benché tutti noi nasciamo come uomini liberi, in realtà, non tutti possiamo assaporare l’ebbrezza dell’indipendenza e dell’essere rispettati nella nostra dignità; molti di noi, in special modo queste popolazioni, hanno dovuto guadagnare ciò che sarebbe spettato loro di diritto, senza neppure doverlo chiedere: bisognerebbe dare concretezza a tutti quei precetti che troviamo nelle risoluzioni delle Nazioni Unite e nelle Convenzioni a tutela dei diritti umani… perché tutti questi ideali non restino impressi solo sulla Carta.
Dopo questa breve, ma doverosa premessa, ti dico che oggi ti parlerò di Timor Est, il cui nome ufficiale è Repubblica Democratica di Timor Est, un Paese del sud-est asiatico, nell’arcipelago delle Piccole Isole della Sonda, che occupa la sezione orientale dell’isola di Timor, l’isola di Atauro e l’isolotto di Jaco. L’unico confine terrestre di Timor Est viene condiviso con l’Indonesia, mentre le acque territoriali di Timor Est confinano a sud con le acque australiane nel Mar di Timor.
La capitale è Dili, mentre le lingue ufficiali sono il portoghese ed il tetum.
Sull’origine di Timor Est esiste una leggenda tanto profonda quanto commovente. A mio avviso potrebbe benissimo diventare una favola illustrata ed essere letta ai bambini, di certo, in tale modo, non dimenticherebbero mai il nome di questo Paese né tantomeno come questo si sia formato. Esisteva, una volta, un piccolo coccodrillo che viveva in una terra lontana in una piccola laguna d’acqua, l’animale desiderava diventare grande e grosso ma per far ciò necessitava di cibo che, nel luogo in cui si trovava, non era presente in grandi quantità; iniziò ad essere molto triste ma un giorno, motivato da rinnovata fiducia, decise di addentrarsi nell’entroterra alla ricerca di cibo. Suo malgrado, però, il sole picchiava imperterrito e così iniziò ad indebolirsi sempre più tanto da sentire le forze venire meno e la morte sempre più vicina. In suo soccorso, con grande sorpresa, giunse un bambino che notando le sofferenze dell’animale lo raccolse e lo condusse in mare, salvandolo da quella che sarebbe stata una morte certa. Il coccodrillo gliene fu eternamente grato tanto da promettergli che, qualora il bimbo ne avesse avuto bisogno, sarebbe corso in suo soccorso; un giorno, il coccodrillo, che nel frattempo era riuscito nell’intento di divenire grande e grosso, si sentì chiamare con l’appellativo di fratello dal bambino che un tempo lo aveva salvato. Lo raggiunse e il ragazzo gli manifestò il desiderio di conoscere nuove terre, vedere nuovi posti; il coccodrillo lo prese in groppa e per anni e anni girovagarono per l’oceano fin quando l’animale sentì che la sua ora era giunta, ma prima di andarsene definitivamente volle lasciare un ultimo regalo al suo salvatore: morendo sarebbe diventato una splendida Isola sulla quale il ragazzo e la propria famiglia avrebbero potuto vivere a lungo; così accadde: il coccodrillo, morendo, diede vita a monti e colline! Ancora oggi, infatti, quando un timorese si immerge nelle acque parla ai coccodrilli chiedendo loro di non mangiarlo, in ricordo del loro antico legame.
Timor Est: l’Isola delle teste mozzate
Nel corso delle mie ricerche su questa Isola mi sono imbattuta, quasi causalmente, in un trafiletto di giornale: la data è quella del 10 settembre 1999, a cura della Repubblica; mi sono ancora una volta sbalordita della grandezza di internet, con un semplice click ti permette di accedere a quelle che sono le notizie più recondite, anche se, in tutta onestà, io preferisco il vecchio metodo di ricerca, ovvero recarmi in una bella biblioteca, cercare ciò che mi interessa e sentirmi assuefatta, totalmente, dal potente ed inebriante profumo della carta stampata! Ad ogni modo, l’articolo trattava di una intervista ad un giovanissimo, ed allora ventiseienne, Alexandro Freitas Gusmão, leader dell’Est Timor Student Forum, il quale si è trovato ad assistere alla barbarie perpetrate dalle milizie indonesiane già dalla tenera età di otto anni; l’esercito indonesiano, ha raccontato Gusmão, giungeva di notte, con violenza e arbitrarietà si intrometteva nelle abitazioni – e il che era piuttosto facile considerato che le modeste case, spesso, erano realizzate con bambù – con forza prelevavano il malcapitato e lo conducevano fuori. Le urla strazianti venivano udite da tutti, poi, il silenzio. Cosa accadeva? Presto detto, i militari qualora catturavano un uomo, lo conducevano lentamente alla morte: prima di decapitarlo, usavano divertirsi un po’ con lui prima, se, al contrario ad essere catturata era una donna, prima che anche per la stessa giungesse inesorabile la decapitazione, veniva abusata con feroce violenza.
Il mattino seguente, poi, le milizie chiamavano a raccolta gli abitanti del villaggio e con superbia e orgoglio mostravano la testa mozzata, tenuta in alto per i capelli: la testa, poco prima, veniva tenuta in un normale sacchetto per la spesa. L’atteggiamento dei militari era diretto a terrorizzare il popolo qualora osasse ribellarsi al governo indonesiano, incitando l’indipendenza di Timor Est: se la popolazione avesse mantenuto un atteggiamento di accettazione e condiscendenza, la loro testa sarebbe rimasta saldamente attaccata al corpo. Le teste, peraltro, venivano impilate nelle picche.
La travagliata e sofferta indipendenza di Timor Est
Timor Est è uno degli Stati più giovani esistenti al mondo (con Montenegro, Kosovo e Sudan del Sud). Non tutti, infatti, sono a conoscenza della tormentata storia del popolo timorese segnata dallo scontro per l’indipendenza proprio contro l’Indonesia.
Le vicissitudini storiche e politiche di Timor Est sono state vissute direttamente sulla pelle da un popolo che, contro ogni avversità, non si è mai arreso e mai ha abbassato la testa, anche nei momenti più bui. Questa Isola fu scoperta, ad opera dei portoghesi, tra il 1512 e il 1520; sin dall’inizio, il Portogallo dovette scontrarsi con un’altra potenza che ne voleva il dominio, i Paesi Bassi che, peraltro, conquistarono la parte occidentale di Timor Est. Le discrepanze ed i dissidi tra le due Nazioni cessarono solo nel 1859 con la ripartizione dell’Isola; nel 1926, poi, vi fu un colpo di stato militare il quale fece sì che in Portogallo si instaurasse un regime di tipo fascista: tale regime aiutò a mantenere neutrale il Paese nel corso della seconda Guerra Mondiale.
Nel contempo, però, l’Australia e i Paesi Bassi, temendo che l’Isola potesse divenire una base giapponese, decisero di infrangerne la neutralità, occupandola. Nel gennaio 1943 l’Australia si ritirò da Timor Est, consentendo la rappresaglia giapponese e i successivi bombardamenti degli alleati; questa rappresaglia, però, costò a Timor Est la perdita di circa 60.000 uomini: alla fine della guerra venne riconfermata l’autorità portoghese sull’isola. Nel 1974 in Portogallo, la rivoluzione dei garofani – un colpo di stato militare ad opera dei progressisti – mise fine al fascismo, ciò significò la decolonizzazione dell’Africa e dell’Asia; ciò, tra le altre cose, consentì la formazione di partiti politici di stampo nazionalista anche a Timor Est. I timoresi furono ben lieti di poter finalmente riunirsi in partiti e/o associazioni, e, tra le varie associazioni che nacquero, ricordiamo la Associacão Social Democratica Timorense (ASDT), la quale fu formata da impiegati statali, insegnanti ed ex seminaristi. In pochi mesi, l’ASDT, venne denominata Frente Revolucionaria de Timor-Leste Independente (FRETILIN) e da qui nacque anche l’abitudine di chiamare la propria nazionalità maubere. Gli abitanti di Timor Est, come detto, erano entusiasti di poter finalmente manifestare questa libertà di espressione politica e per l’indipendenza. Il 7 dicembre del 1975 vi fu l’invasione indonesiana, invasione che, peraltro, venne ampiamente appoggiata dall’Australia. Gli invasori non persero tempo: iniziarono a compiere stragi senza precedenti, e nel tentativo di ridurre la popolazione presero a massacrarla a più riprese, giunsero persino alla sterilizzazione forzata nelle donne quale mezzo di riduzione delle nascite.
Sempre nel 1975 il Fretlin, il Fronte di liberazione nazionale, proclamò l’indipendenza dell’ex colonia portoghese, dando il via ad una lotta di resistenza che il governo indonesiano represse duramente, blandendo torture e massacri: insomma, qualsiasi iniziativa di ribellione veniva barbaramente soffocata sul nascere con metodi violenti e crudeli.
La situazione parve prendere una piega diversa solo nel 1989 quando l’Indonesia diede inizio a una leggera apertura del territorio; anche perché v’è da dire che le Nazioni Unite, attraverso le risoluzioni del 1975 e del 1978, condannarono il governo di Suharto – ex presidente dell’Indonesia – per la truce violazione dei diritti umani e genocidio: si contarono circa 200.000 vittime solo nei primi sei anni di occupazione su una popolazione di 680.000 abitanti (una proporzione di non poco conto!). Venne considerato uno dei più tragici, per dimensioni e modalità, olocausti del periodo successivo alla seconda Guerra Mondiale. Ciononostante, il calvario di Timor Est non poté dirsi ancora concluso perché un altro episodio lo colpì duramente: il 12 novembre del 1991 a Dili ebbe luogo la sanguinosa Strage di Santa Cruz (divenuta, in seguito, simbolo del martirio subito dal popolo timorese). Quel giorno si tenne una commemorazione religiosa in onore e in memoria di un esponente della Resistenza, al termine della stessa, tutta la gente proseguì in corteo verso il cimitero di Santa Cruz; durante la manifestazione, tutta la gente prese a inneggiare all’Indipendenza, le milizie indonesiane, presenti sul posto – che già di per sé osteggiavano qualsiasi azione che tendesse a dileggiare il governo indonesiano – pensarono bene di sedare sul nascere qualsiasi possibile manifestazione. All’interno del cimitero si scatenò una vera e propria carneficina, i colpi furono sparati senza ritegno e molte persone morire dissanguate perché venne impedito ai soccorritori di giungere in loco. Il bilancio fu tragico: ufficialmente si parlò di 19 morti ma, in realtà, il bollettino fu molto più pesante, si trattò di ben 271 morti, 250 scomparsi e 382 feriti; centinaia furono le persone arrestate, processate e rinchiuse in carcere con l’accusa pendente di sovversione.
Al massacro avvenuto all’interno del cimitero di Santa Cruz, ne seguì, nell’immediatezza, un altro all’interno dell’ospedale dove molti feriti vennero ricoverati: le immagini dell’eccidio vennero trasmesse in numerose Nazioni, riuscendo, finalmente, ad attirare l’attenzione su quanto stava accadendo a Timor Est. Si pensi che nel 1997 il presidente, Nelson Mandela, fece visita in prigione al leader del Fretilin Alexandro Xanana Gusmão. Il 30 agosto del 1999, sebbene tutte le minacce, si svolse il referendum: oltre il 98% della popolazione si recò alle urne e il 78,5 % dei timoresi scelse l’indipendenza. Nonostante ciò, poco prima della proclamazione, i militari scatenarono nuovamente la loro violenza, la loro ira, su quanti avessero scelto l’indipendenza, uccidendo, ancora una volta, senza ritegno alcuno; la popolazione, quindi, iniziò a fuggire e a cercare rifugio nelle chiese, nelle sedi delle organizzazioni internazionali e finanche sulle montagne. Timor Est era ancora in balìa delle forze militare indonesiane. Il 22 settembre 1999, i soldati dell’ONU, si recarono a Dili ove trovarono una città totalmente devastata; nell’aprile del 2001, solo dopo due anni dal referendum popolare, i timorensi tornarono alle urne: il nuovo presidente fu Alexandro Xanana Gusmão e dalla mezzanotte fra il 19 ed il 20 Maggio 2002, Timor Est divenne – finalmente ed ufficialmente – una Nazione indipendente: nasceva (o forse dovremmo dire risorgeva) la Repubblica Democratica di Timor Est.
I timoresi, verosimilmente, per poter assaporare quella indipendenza tanto agognata hanno dovuto lottare fino allo stremo delle forze, con la perdita di un ingente numero di vite umane. Sin dalla scoperta di Timor Est, Nazioni su Nazioni se ne sono contese il dominio, spartendosela quasi fosse un lembo di stoffa, senza considerare la dignità della popolazione che lì viveva la propria vita; a conti fatti, questa è la storia che va avanti e che si ripete, come piace dire a me; in fondo ad oggi, quante sono state le Nazioni che in maniera oppressiva e prepotente hanno sottomesso, umiliato, barbaramente ucciso le popolazioni locali per piantare con cupidigia la bandiera battente il proprio Paese? Quasi fosse un vanto, una stellina in più sul petto di cui fregiarsi… niente di più mortificante, niente di più lesivo della dignità – lo ribadisco – di una persona. Lo trovo a dir poco inconcepibile. Ad ognuno di noi, in qualità di essere umano, già nel momento della nascita, dall’emissione del primo vagito, vengono riconosciuti dei diritti, diritti inviolabili, inalienabili, indisponibili, primo fra tutti il diritto alla vita: allora mi chiedo, perché, poi, c’è sempre qualcuno che si fregia di essere il migliore e decide che qualcun altro debba sottostare al suo dominio? Nessuno è più potente di nessun altro, non esistono diversità, non esistono uomini migliori, esiste solo la dignità, esiste l’uguaglianza, esiste il diritto per ognuno di noi di vivere liberamente senza che alcuno possa, arbitrariamente, privarci anche di un solo millimetro della nostra libertà. Lo so, mi sono infervorata, ma credimi caro iCrewer, non tollero i soprusi e chi li esercita. Tornando al nostro Timor Est, questa piccola Isola ha dovuto conquistare giorno dopo giorno, crudeltà dopo crudeltà, perdita di vite umane su perdita di vite umane, quel diritto che non vediamo ma che esiste, quel qualcosa che non tocchiamo con mano ma che nasce insieme a noi: la libertà.
Letteratura Timor Est
Per i timoresi la cultura è tutto ciò che viene ereditato dal passato, che rappresenta il loro punto di riferimento per comprendere da dove essi provengono; culturalmente vengono, tra l’altro, influenzati dall’Indonesia, dalla Cina e dal Portogallo. Nel Novecento, poi, la produzione scritta si è manifestata, in particolar modo, attraverso opere di poesie. Tra gli autori timoresi ti voglio parlare di Luís Cardoso de Noronha, scrittore che nasce a Cailaco nel 1958; Caliaco è una località situata all’interno di Timor Est.
Il padre Luís Cardoso parlava la lingua mambai mentre la madre, la lingua lacló, da ciò ne conseguì che in casa di Luís Cardoso fu adottata come lingua d’uso il tetum; lo scrittore studiò nei collegi missionari di Soibada, Fuiloro e nel Seminario di Dare. Al momento della rivoluzione dei Garofani in Portogallo, Luís Cardoso frequenteva il Liceo Dr. Francisco Machado di Dili, avrebbe poi continuato i propri studi in Portogallo. Quando il proprio paese fu martoriato dall’invasione indonesiana Luís Cardoso non era presente; l’autore concluse i propri studi in esilio laureandosi all’Istituto Superiore di Agraria di Lisbona, dove incontrò l’opera poetica di Ruy Cinatti che lo aiutò nel viaggio di ritorno di Timor Est. Tra altre attività che Luís Cardoso ha espletato, possiamo ricordare quella di contastorie, cronista della rivista Fórum Estudante e professore di Tétum e Portoghese nei corsi di formazione speciali per timorensi. Lo scrittore vive a Lisbona da oltre 25 anni e non ha ancora visto Timor Est in ricostruzione. Tra le sue opere, tradotte in lingua italiana, possiamo citare Un’Isola, lontano, edito da Feltrinelli il 25 febbraio 2002, L’anno in cui Pigafetta completò la circumnavigazione edito da Edizioni Urogallo il 30 settembre 2018 e Requiem per il navigatore solitario, anche questo edito da Edizioni Urogallo il 1 dicembre 2010. Sono opere intense, sentite, dove Luís Cardoso, soprattutto nel romanzo Un’Isola, lontano, opera fortemente biografica, l’autore racconta di Timor Est, della sua infanzia, e della sua vita vissuta lì. Sicuramente un’opera che, se letta, ci lascerà qualcosa di profondo dentro, perché i racconti autobiografici sono quelli che, solitamente, ti fanno realmente sentire ciò che l’autore ti vuole dire.
Un viaggio autobiografico romanzato, dall’infanzia trascorsa fra i piccoli centri di Timor Est e il primo esilio nell’isola di Atauro, fino al grande salto, quello verso la capitale della madre patria, Lisbona. Una testimonianza da un mondo sconosciuto, da una striscia d’Asia che vuole ostinatamente conservare tratti della cultura europea nonostante l’enorme distanza e un massacro che dura da un quarto di secolo.
Già la copertina di questo romanzo, come puoi ammirare, è molto suggestiva: il mare sconfinato, le recinzioni in legno, le due donne che portano in capo delle ceste… ti lascia già immaginare cosa potrai trovare al suo interno: fascino, storia, vita vissuta.
Requiem per il navigatore solitario
Requiem per il navigatore solitario è un romanzo orientale scritto in portoghese, un acquarello letterario ambientato nella Timor coloniale degli anni Quaranta sospesa tra le paure di un’imminente invasione giapponese e la speranza di un intervento australiano a margine della Seconda Guerra Mondiale. Su questo scenario si inserisce la vicenda di Catarina, una giovane cinese di Batavia, che si trova a dover costruire la sua vita sull’isola in seguito a un patto commerciale andato male. Tra le ambizioni erotiche dei capitani del porto di Dili, la presenza del Bandito di Manumera, capo dei ribelli asserragliati sulle montagne, e la mai sopita speranza di incontrare un affascinante navigatore solitario, Catarina intreccerà la sua esistenza alla storia di Timor, fino all’incontro col francese Alain Gerbault, il quale, navigando “all’inseguimento del sole”, terminò il suo viaggio proprio su quell’isola.
Questa, invece, la storia di una donna, una donna che stabilirà la propria vita sull’Isola di Timor Est, e, sia sa, quando si parla delle donne ciò che ne vien fuori è sempre sinonimo di grande forza e coraggio. Sicuramente, tra le due opere, questa la mia preferita.