Oggi caro iCrewer ti parlo di uno stato molto particolare:
Lo stato del Sùdan o Sudàn
Il più vasto ed esteso degli Stati africani prima dell’indipendenza della parte meridionale avvenuta il 9 luglio 2011. Corrisponde alla grande depressione nilotica compresa tra l’altopiano etiopico, le alte terre orientali e le dorsali divisorie dei bacini del Ciad e del Congo, ed è caratterizzato dalla presenza di tre ambienti distanti: desertico, tropicale, equatoriale.
Una distinzione molto netta tra il Nord e il Sud del Paese esiste anche dal punto di vista culturale: il Sudan settentrionale si aggancia all’ambiente del Nilo, permeato dall’antica civiltà egizia e poi penetrato da quella araba; quello meridionale appartiene all’Africa nera, più legata al tribalismo, alla religiosità animista. Non a caso il nome del Paese deriva da Bilād as-Sūdān, cioè “Paese dei neri”, termine con il quale un tempo gli arabi indicavano le terre poste a sud del Sahara, abitate appunto da popolazioni di pelle nera. Oggetto dell’espansionismo coloniale anglo-egiziano, il Paese raggiunse l’indipendenza nel 1956, cui seguì però lo scoppio della guerra civile. Negli anni Ottanta, lo sviluppo intensivo delle colture irrigue e la statalizzazione delle risorse hanno provocato debolezza e instabilità politica, accentuate dall’isolamento internazionale. I segnali di ripresa nei primi anni del Duemila hanno evidenziato nuove contraddizioni: a fianco del processo di democratizzazione il Paese ha visto aggravarsi la congiuntura economica e acutizzarsi la guerra civile, il cui nodo più problematico è rappresentato dalla situazione nella regione del Darfur.
La popolazione del Sudan forma un mosaico etnico tra i più ricchi e compositi dell’Africa; le varie minoranze costituiscono infatti quasi un quarto dell’intera popolazione. In particolare essa è il risultato del contatto, avvenuto già in tempi preistorici, di genti nere, originarie del Paese, e di sopraggiunte genti bianche, europoidi.
Determinanti sono stati, soprattutto in epoca più recente, gli apporti semitici dovuti all’espansione verso sud degli arabi. In linea di massima si hanno, anche per quanto riguarda l’uomo, differenze etniche in senso latitudinale; da nord a sud variano gli uomini, le loro attività, la forma dei villaggi. In generale, a nord, oltre il 10º parallelo, d’ambiente sahariano e subsahariano, predominano le popolazioni arabe o arabizzate, divise in due grandi gruppi: gli jaali nella regione nubiana (ma lungo il Nilo, da Wādī Halfā’ a Merowe, sussistono elementi dell’antica etnia nera); i nubiani, gli juhayna nella zona centrale. Le tribù più rappresentative sono quelle dei kababish, degli hauawir, dei messiriye e altre genericamente denominate baggara “vaccari”.
La letteratura sudanese può essere distinta in due gruppi. Il primo, che fa uso delle lingue vernacolari, presenta una produzione orale, in prevalenza poetica, con testi creati in funzione del canto e della danza, di soggetto religioso, funebre, d’amore o di guerra, proverbi, favole e racconti, tramandati senza sostanziali mutamenti dai tempi più antichi. Il secondo, prevalente, fa uso dell’arabo classico, con una produzione scritta che si distinse per caratteristiche proprie solo a partire dal sec. XIX e, nel periodo mahdista, espresse un vivo sentimento nazionale.
La poesia, in netta prevalenza sulla prosa, fu in gran parte rappresentata dall’antica qasidah, semplificata e rinnovata anche nei temi, sociali e politici.
Puo’ apparire un paradosso, ma c’è stato un vero fermento di scrittori e scrittrici con ispirazione tradizionalista, neoclassica, poetica popolare. Tra i tanti il più noto e popolare è Tayeb Salih, sudanese doc, nacque a Karmakol nel 1929 e morì a Londra nel 2009.
La stagione della migrazione a Nord
è uno dei romanzi più noti dell’autore sudanese, che risulta ricchissimo di piani di lettura, le interpretazioni fornite dagli studiosi di letteratura araba del Novecento sono moltissime: si può parlare della migrazione a Nord, quella in Inghilterra, di Mustafà Sa’ìd – uno dei protagonisti – prima e quella dell’Io narrante dopo. Si parla quindi del disagio che può avere un uomo che dal Sud parte per andare al Nord, dove trova tradizioni e culture completamente diverse (quando l’Io narrante torna a casa, la madre è contenta che lui non abbia portato con sé una donna incirconcisa: la pratica dell’infibulazione è ancora oggi una piaga di molti Paesi islamici).
L’incontro tra la cultura araba e quella cristiana, infatti proprio all’inizio del Novecento, i governi locali gestiti dagli inglesi permisero ai missionari bianchi di “civilizzare” gli abitanti del Sudan. E poi ognuno può trovare un significato nuovo perché i temi sviluppati sono molti.
L’autore in questo libro ha voluto parlare di quella che avviene da millenni, se non addirittura da milioni di anni: la migrazione. Lo spostamento di un popolo, da Sud verso Nord, oppure viceversa. Popoli, culture, strumenti che migrano e si spostano in una danza continua, dal deserto verso il mare, dalle montagne verso le pianure, portando con sé sogni, speranze, gioie e dolori. Una migrazione che farà sì che chi parte non sarà più solo se stesso, ma verrà sdoppiato culturalmente e contaminato, ma non in senso negativo, bensì per arricchire se stesso e il suo ospitante.
Un altro capolavoro della letteratura araba contemporanea è:
Uomini sotto il sole di Ghassan Kanafani
“Uomini sotto il sole è forse una delle più belle e tristi storie dell’emigrazione. E’ la storia della diaspora palestinese vista, vissuta, sofferta e raccontata da tre protagonisti che cercano di fuggire dai campi profughi della Cisgiordania, allestiti all’indomani della perdita della Palestina nel 1948, per arrivare in Kuwait, meta, allora, di tanti disperati in cerca di fortuna. Quando il romanzo fu scritto, l’Italia e il resto dell’Europa non erano ancora diventate l’approdo di tutti coloro che fuggono dalle guerre, dai regimi dittatoriali del Vicino Oriente e dall’Africa. Oggi il sacrificio di quei palestinesi, così bene rappresentati da Kanafani, rivive in ogni emigrante che insegue una nuova vita.”
Leggere questo romanzo ci potrebbe aiutare a capire meglio la difficile realtà che stiamo vivendo, che, al di là di metafore già usate, rende molto bene i drammi quotidiani. Come non pensare a quanti uomini sotto il sole rivivono, oggi, la stessa crudele esperienza dei protagonisti del libro, e al posto del deserto c’è il Mar Mediterraneo, al posto del Kuwait c’è l’Italia.
Leila Aboulela, scrittrice sudanese, è autrice del romanzo The kindness of enemies ispirato alla vita di un leader musulmano, l’Imam Shamil.
Sullo sfondo della sua narrazione si staglia Natasha, metà russa e metà sudanese, insegnante di storia che si sta occupando della vita di un leader musulmano del Diciannovesimo secolo, che aveva guidato la resistenza anti-russa nella guerra del Caucaso. Nel corso delle sue ricerche, Natasha scopre che uno dei suoi allievi discende dal leader guerriero e ne possiede la spada di inestimabile valore. È così che la storia dell’Imam prende vita ed è così che Natasha è costretta ad affrontare i problemi che aveva a lungo cercato di evitare, ossia fare i conti con la sua cultura musulmana.
Raccontato con eleganza inimitabile e narrato dal punto di vista sia di Natasha che dei personaggi storici di cui l’autrice si sta occupando, è al tempo stesso una storia avvincente che si inserisce nel periodo storico dell’11 settembre 2001.
Termino questa carrellata con un ultimo libro che puo’ avere una affinità con quello che precede:
Le altissime torri. Come al-Qaeda giunse al’11 settembre
Autore: Lawrence Wright
“Questa storia parla di un saudita non poi così ricco, né così carismatico, né così brillante, che l’incontro con un medico egiziano ha trasformato nell’immagine stessa del terrore globale; di una vicenda ormai molto lunga (e qui ricostruita in modo scrupoloso, con una quantità di particolari inediti), nata alla lettera dalle pagine roventi che il padre fondatore del “jihad” moderno, Sayyid Qutb, scrisse negli anni Quaranta durante il suo lungo soggiorno americano; di un progetto vagheggiato fra i campi di Al Qaeda in Sudan e le montagne afghane, e a lungo ritenuto irrealizzabile; di come il complicato reticolo di mosse destinato a realizzarlo avesse destato i sospetti dell’investigatore più anarchico, inaffidabile e tenace dell’FBI, John O’Neill; della frenetica corsa contro il tempo di O’Neill per impedire un attentato che poteva essere impedito; della sua sconfitta, e della sua morte proprio nel crollo delle Twin Towers. Di tutto questo, e di innumerevoli altre vicende e figure, è intessuta la ricostruzione di Wright su come sia nata e si sia sviluppata al Qaeda.”
Tutt’oggi la situazione in Sudan rimane confusa. Le notizie rimbalzano, dalle testate più acclarate, alle visioni televisive. L’attrazione verso una società umana più libera e più giusta può essere repressa con la forza ma non estirpata. Guardando ai fatti di questi mesi, rimane un filo di speranza: che i tanti sudanesi, donne e uomini, che si sono mobilitati possano avviare il loro paese verso un governo civile e possano darsi nuove istituzioni.
Mi rendo conto di aver sostato un po’ troppo in questo paese, quindi riprendo il mio vagabondare tra i libri e le notizie e ci sentiamo prossimamente. Buone Feste.