Caro iCrewer, eccomi qui davanti al mio adorato pc, fuori è abbastanza ghiaccino (com’è normale che sia in questo periodo dell’anno a queste latitudini) e per sopperire un po’ alla visione in scala di grigi che offre la mia finestra oggi ti porto in un posticino… davvero caldo: Il Sahara Occidentale.
Situato in Nordafrica, climaticamente desertico ma bagnato dall’Oceano Atlantico Settentrionale, il paese vive e sopravvive soprattutto grazie alla pastorizia, e poco altro. Ex colonia spagnola dal 1884, nella seconda metà degli anni ’50 fu invasa dal vicino Marocco e dopo varie contese tra spagnoli, marocchini e francesi, nel 1975 la Spagna decise di lasciare definitivamente il paese; nel 1976 territorio fu inizialmente spartito tra il Marocco e la Mauritania, mentre al contempo fu proclamata la Repubblica Democratica Araba dei Saharawi dal Fronte Polisario guidato da Mohamed Lamine Ould Ahmed e sostenuta dall’Algeria. Le azioni diplomatiche intraprese da allora non hanno mai avuto effetti risolutivi e per molti, troppi decenni la situazione politica è rimasta in stallo, causando estrema povertà e numerose morti al Popolo Saharawi. Attualmente il campo Smara a Tindouf è il più grande campo di rifugiati Saharawi; il Marocco occupa più dell’80% del territorio e il Fronte Polisario, Fronte di Liberazione Popolare di Saguia el Hamra e del Río de Oro, occupano il resto.
Inizialmente luogo di sofferenza e di condizioni disumane, ad oggi la comunità nel campo conta più di 50000 persone, vi si effettuano anche piccoli scambi commerciali, spuntano le scuole, circolano cibo e medicine, e la voglia di diventare un popolo autonomo e fiero porta sempre più verso la speranza dell’indipendenza, il cui benessere sarà garantito dalle ingenti risorse minerarie e ittiche del territorio. Nonostante le politiche e le culture presenti, le donne Saharawi sono portatrici di una forza e di una combattività che le stesse di pochi altri popoli possono vantare e, in barba alle leggi arabe, si sono conquistate il diritto di divorziare, di ricevere uomini mentre sono in casa da sole e di recarsi alla Mecca senza un sorvegliante.
E la cultura? In un contesto del genere è facile chiedersi se esistano produzioni che rispecchino sia la storia che la cultura di un popolo che vive da oltre un secolo praticamente in guerra e in povertà; spunta però un’antologia, intitolata Le parole non hanno radici, una raccolta di racconti e poesie firmate da poeti e scrittori del Sahara Occidentale, di formazione ispanica, edito da Palermo University Press: “La loro espressione letteraria si è fatta voce di costruzioni identitarie, di denuncia e di resistenza“. Vediamo i dettagli di quest’opera.
Il contesto geografico degli scrittori più acclamati e letti nel nostro mondo è, quasi sempre, occidentale. Chi scrive in Namibia? Chi è lo scrittore più letto in Malesia? Di che temi si scrive in Nepal? Si fa letteratura oltre a quella che noi riusciamo a vedere dal nostro emisfero nord? Conosciamo la letteratura saharawi? Ma soprattutto, conosciamo il Sahara Occidentale? È molto difficile, nel deflagrare rumoroso e talvolta sanguinario degli avvenimenti della cronaca internazionale attuale, accendere e mantenere viva la fiamma del desiderio di conoscere a fondo quel mondo ancora per molti lontano, sconosciuto, ostile, spesso mal interpretato ed ostracizzato, dei paesi di cultura araba. A ciò è importante unire la deficienza dell’investigazione storica oggettiva ed esauriente di ciò che non è il cosiddetto “primo Mondo”. Questo volume presenta una proposta antologica di letteratura Saharawi, in edizione con testo a fronte, contenente una selezione di poesie di Limam Boisha, tradotte in italiano da Diandra Sparacino, di componimenti della poetessa Zahra Hasnaui, tradotte da Emanuela Miorin, e una selezione di capitoli dal libro La maestra que me enseñó en una tabla de madera, tradotta da Antonella Strano, frutto di uno studio biografico-storico-antropologico dello scrittore Bahia Mahmud Awah.