Oggi ti portiamo nella Repubblica Islamica dell’Iran, conosciuta anche con il più suggestivo nome di Persia.
Una storia millenaria, impossibile da riassumere in poche righe, fa dell’Iran uno dei paesi più affascinanti del mondo. Una storia che non ha risparmiato a questo paese e alla sua popolazione guerre e lotte, anche intestine. Non ultima, la rivoluzione islamica iraniana a fine degli anni settanta del secolo scorso.
Per raccontarti qualcosa di più dell’Iran ho scelto tre autrici: Gohar Homayounpour, Azar Nafisi e Maryam Madjidi. Avrei potuto sceglierne mille altri, ma loro mi hanno colpita per i temi affrontati e per le loro storie personali, fatte di esilio, resistenza e ritorni.
Gohar Homayounpour
Gohar Homayounpour nasce a Parigi da genitori iraniani. Ci sono poche informazioni sulla sua vita personale: è una persona molto riservata e, anche nelle diverse interviste che ha concesso, preferisce parlare del suo lavoro più che di sé stessa. È una psicoanalista, cresciuta professionalmente negli Stati Uniti, ma che da alcuni anni ha deciso di vivere e lavorare a Teheran. Nella capitale iraniana, oltre a praticare la libera professione, insegna Psicologia all’Università Shahid Beheshti di Teheran e conduce analisi didattiche e supervisioni nel Gruppo freudiano di Teheran. È autrice del libro Una psicoanalista a Teheran, edito in Italia da Raffaello Cortina Editore.
Una psicoanalista a Teheran
È possibile praticare la psicoanalisi nella repubblica islamica dell’Iran? Gohar Homayounpour, psicoanalista iraniana formatasi in Occidente, risponde di sì. Tutta la cultura iraniana ruota attorno al racconto. Perché mai, se gli iraniani avvertono con tale forza la necessità di parlare, non dovrebbero essere capaci di libere associazioni? Inizia così una narrazione affascinante, in cui il racconto autobiografico si intreccia con le storie dei pazienti. L’autrice evoca il piacere e il dolore di ritornare nella terra natale e le angosce che assillano lei, per prima, e altri iraniani. Nella narrazione si aprono di continuo scorci che lasciano intravvedere le sedute con i pazienti: una celebre artista sogna di essere abbandonata e vuole sedere sulla sedia dell’analista anziché stare sdraiata sul lettino, una giovane donna avvolta nel chador dice la propria vergogna per aver perso la verginità…
Azar Nafisi
Azar Nafisi nasce nel 1955 a Teheran. Suo padre Ahmad è l’ex sindaco della città ai tempi dello Scià, mentre sua madre Nezhat è stata la prima donna a esser eletta nel Parlamento iraniano. Quando ha tredici anni, la famiglia la manda a studiare in Inghilterra e da lì, poi, Azar si trasferisce negli Stati Uniti dove si laurea in Letteratura Inglese e Americana. Torna in Iran alla fine degli anni settanta per insegnare Letteratura Inglese presso l’Università Allameh Tabatabai di Tehran. Svolgerà questo ruolo per diciotto anni, anche se negli anni ottanta sarà espulsa per essersi rifiutata di indossare il velo. In forte opposizione con il regime, nel 1995 si licenzia e nel 1997 si trasferisce con la famiglia negli Stati Uniti. In questi due anni, però, conduce con alcune delle sue migliori studentesse delle lezioni private in casa propria, dove leggono e analizzano le opere che il regime aveva censurato. Da questa esperienza nasce il suo libro più famoso: Leggere Lolita a Teheran, edito in Italia da Gli Adelphi.
Leggere Lolita a Teheran
Nei due decenni successivi alla rivoluzione di Khomeini, mentre le strade e i campus di Teheran erano teatro di violenze barbare, Azar Nafisi ha dovuto cimentarsi nell’impresa di spiegare a ragazzi e ragazze, esposti in misura crescente alla catechesi islamica, una delle più temibili incarnazioni del Satana occidentale: la letteratura. È stata così costretta ad aggirare qualsiasi idea ricevuta e a inventarsi un intero sistema di accostamenti e immagini che suonassero efficaci per gli studenti e, al tempo stesso, innocui per i loro occhiuti sorveglianti. Il risultato è un libro che, oltre a essere un atto d’amore per la letteratura, è anche una beffa giocata a chiunque tenti di proibirla.
Maryam Madjidi
Maryam Madjidi nasce nel 1980 a Teheran in una famiglia di oppositori al regime e, all’età di sei anni, lascia il paese per trasferirsi con i suoi genitori in Francia. Qui, si dedica allo studio delle lettere alla Sorbona e, una volta laureata, inizia a insegnare nei licei. Nel 2003 torna per la prima volta in Iran. Il suo romanzo d’esordio è Io non sono un albero, edito in Italia da Bompiani.
Io non sono un albero
Iran, fine degli anni ’70. I genitori di Maryam sono giovani, comunisti e innamorati del loro Paese. Ma l’Iran sta sprofondando verso uno dei regimi più oscurantisti dell’epoca moderna, e la famiglia è costretta a fuggire. Quando, a sei anni, Maryam raggiunge il padre in esilio in Francia, ad accoglierla è prima di tutto una nuova lingua, che lei subito rifiuta, per poi invece sceglierla come unico salvagente possibile, al punto da respingere ogni richiamo alle origini: “Io non sono un albero, non ho radici”. Solo anni dopo, quando ai genitori ormai stanchi le parole iniziano a mancare, Maryam trova la forza di volgersi indietro, recuperando la lingua come unico strumento per ritrovare la memoria. Con una scrittura intessuta di poesia e di humour, Maryam Madjidi racconta come le radici possano essere un fardello, un’arma di seduzione, un incubo, un’inesauribile risorsa. Il ritorno pieno di strazio e di allegria nella Teheran contemporanea, il viaggio alla riscoperta delle voci perdute dell’Iran, il rifiuto e l’amore come poli fondamentali per la costruzione di ogni identità: questo mémoir è un viaggio di liberazione dall’esilio interiore in cui ogni figlio rischia di confinarsi se dimentica la propria lingua madre.