Caro iCrewer, amico lettore e viaggiatore – con il corpo o con l’anima che sia – sono oggi a parlarti di uno Stato la cui storia, come purtroppo per molti paesi di questo continente, è segnata da conflitti, guerre di indipendenza, occupazioni e sfruttamento, e soprattutto dalla pratica della schiavitù, una delle tante aberrazioni umane che hanno caratterizzato la storia dei popoli di tutto il mondo.
La Repubblica dell’Uganda è un territorio sito nell’Africa centro orientale, vicino al cosiddetto Corno d’Africa e confinante a est con il Kenya, a ovest con la Repubblica Democratica del Congo, a nord con il Sudan del Sud e a sud con la Tanzania. All’interno dei suoi confini i paesaggi spaziano da picchi innevati a foreste e cascate; famoso è il Parco Nazionale delle cascate Murchison, conosciuto per l’altezza di queste e per la fauna locale, che comprende scimpanzé, uccelli rari e ippopotami; non in ultimo in Uganda poggia una parte del famosissimo Lago Vittoria, il più grande lago d’acqua dolce del continente africano e il secondo lago più grande al mondo dopo il Lago Superiore situato tra Canada e Stati Uniti, nonché meta dell’esploratore britannico John Hanning Speke nel 1858 che, insieme a Richard Francis Burton, venne scoperto durante la ricerca delle sorgenti del Nilo; credendo di averla appunto trovata (in realtà esplorò solo una piccola parte, quella meridionale) dedicò il nome di questo lago alla Regina Vittoria, l’allora sovrana del Regno Unito.
L’Uganda in origine era gestita da clan di famiglie molto potenti appartenenti a diverse etnie e la vita scorreva tra dedizione alla pastorizia e all’agricoltura. La colonizzazione di stampo britannico avvenne nel 1891 con la stipula di un trattato col capo dei Buganda (il regno allora più potente) ma dal 1896 diviene direttamente un protettorato britannico che rimarrà tale fino al 1962, anno della proclamazione di indipendenza. I decenni successivi saranno caratterizzati dal passaggio di diverse dittature, da quella di Milton Obote fino a quella, più moderata, di Yoweri Museveni. L’arrivo degli europei alla fine del XIX secolo favorì traffici commerciali tesi anche alla creazione di mercati di schiavi, e anche religioni come quella cattolica e islamica entrarono prepotentemente all’interno della vita del popolo ugandese. Nell’era moderna molti sono i passi fatti avanti, sia in campo economico che in ambito di diritti umani ma purtroppo ancora l’economia versa in pessime condizioni e servizi come sanità e istruzione presentano molteplici difficoltà di non semplice risoluzione.
Queste terre selvagge e floride hanno dato i natii a Jennifer Nansubuga Makumbi, nata nella capitale dell’Uganda Kampala, e trasferitasi in Gran Bretagna nel 2000, divenuta famosa e vincitrice di uno dei premi letterari più importanti al mondo: il Windham-Campbell Prize dell’Università di Yale, negli Stati Uniti, considerato il più importante subito dopo il Premio Nobel. Il riconoscimento è avvenuto per il suo libro Kintu, pubblicato per la prima volta nel 2014 in Kenya dalla casa editrice no profit Transit Books e in Inghilterra solamente dal 2018; considerato per molti anni, incredibilmente, “un libro troppo africano“, è divenuto un bestseller mondiale e l’autrice ha finalmente ricevuto l’attenzione che meritava.
Ma di cosa parla Kintu? Qui entra in gioco, caro iCrewer, quel discorso iniziale che ti ho fatto sulla… maledizione: la trama di questo racconto è potente: […] “in luganda Kintu significa cosa, ma designa anche il primo uomo della mitologia Ganda. All’origine di quel destino c’è un episodio accaduto nel regno del Buganda nel lontano 1750, quando il governatore della provincia di Buddu, Kintu Kidda, intraprese una pericolosa traversata per rendere omaggio al nuovo sovrano, l’usurpatore Kyabaggu. Nel viaggio però trovò la morte il figlio adottivo di Kintu, e da quella tragedia scaturì una maledizione che si ripercuoterà per secoli sulla sua stirpe. Sparpagliati nel paese, tutti i suoi eredi – l’inquieta Suubi, il vedovo Isaac Newton, il predicatore Kanani, la donna-generale Kusi, sorella di Kamu -, saranno uniti da un unico obiettivo: liberarsi dal fardello che si annida nel cuore di questa famiglia.”
L’autrice attraverso questa sua opera racconta anche la storia di una Nazione e la ricerca di analisi dell’animo umano in tutte le sue forme, derivanze e devianze scaturite anche e soprattutto dall’occupazione europea.