La leggenda del dio serpente, il genocidio degli indigeni aké e una storia che ci insegna che ad essere diversi spesso si guadagna: ecco il Paraguay!
Caro iCrewer sei pronto per la tua tappa quotidiana intorno al mondo? Perfetto, allaccia le cinture perché oggi sbarcheremo in America orientale, mi stai chiedendo dove di preciso? Presto detto: in Paraguay, nome completo Repubblica del Paraguay: Paese che, al pari della Mongolia, località della mia precedente tappa, non presenta accesso al mare. Il Paraguay confina a nord con la Bolivia, a est con il Brasile e a sud-ovest con l’Argentina; parliamo di una Repubblica presidenziale ove le lingue ufficiali sono lo spagnolo e il guaraní, tra i più giovani, però, vi è la tendenza a mescolare i due idiomi succitati tanto che ne potrebbe derivare la creazione di una lingua creola, dovuta alle condizioni socio-culturali di assenza di una dominazione culturale prevalente.
La capitale è Asunción che, tra l’altro, è anche una delle principali città assieme a Ciudad de l’Este. La religione maggiormente diffusa è il cattolicesimo anche se esistono, sul territorio, delle minoranze protestanti di mennoniti e di mormoni.Ti sei mai chiesto cosa significhi il nome Paraguay? Significa l’oceano che va verso l’acqua, e, forse non è proprio una coincidenza che questo Paese prenda proprio il nome dall’omonimo fiume che lo attraversa tagliandolo verticalmente in parti – quasi – uguali: quella ad Oriente, comprende il 40% del territorio nazionale. Da questa parte troviamo, Iguazú, Itaipu e le missioni gesuitiche. Mentre, l’altra parte, se è vero che la matematica non è un’opinione, comprende il 60% del territorio, ove vive solo il 2% della popolazione, ed è il Chaco.
Potrei stare qui a parlarti della connotazione geografica del Paraguay, della sua storia, del sistema politico, in realtà, quello che voglio fare è parlarti di due aspetti che hanno catturato, letteralmente, la mia curiosità: si tratta delle comunità degli indigeni esistenti sul territorio e la letteratura paraguayana che ha visto dare i natali ad uno scrittore, ma che anche un poeta, un drammaturgo, uno sceneggiatore, e che potremmo definire patriottico, ovvero Augusto Roa Bastos.
Prima, però, di tuffarci dentro questo mare magnum, una cosa te la devo proprio dire: il Paraguay è noto per le cascate di Iguazù, uno strabiliante scenario assolutamente naturale, scoperto intorno al 1542 dal conquistador spagnolo Alvaro Núñez Cabeza de Vaca, poste al confine tra Paraguay, Brasile e Argentina: non puoi non restare sbalordito dinanzi ad un simile paesaggio che, francamente, io per prima stare ad osservare per ore, scrutare il cielo e il rossore del tramonto che sembrano fondersi come pennellate, l’acqua che si rincorre, come in una folle corsa, fino ad arrivare giù ricreando il classico vapore, che sembra quasi nebbia, tipico dell’impatto… non mi credi? Osserva tu stesso e godi di questa sensazione da pace dei sensi.
Le cascate prendono il nome dal fiume Iguazù, che confluisce nel Paranà: Iguazù è un nome indigeno formato dalle sillabe «Yu» acqua e «Acu» grande.
Ti narro la leggenda del guaranì sulla creazione delle cascate: il capo della tribù ha una figlia di nome Naipi, bella come una venere, è sufficiente che si specchi nelle acque del fiume perché queste si fermino; c’è anche un guerriero, che la ama, ma Naipi, ahimé è destinata ad essere offerta al dio serpente. Il giorno del sacrificio, come nelle migliori favole, il guerriero corre a salvare la predestinata con una canoa, scatenando, però, l’ira del dio serpente, il quale, colto da rabbia funesta, scatena un cataclisma squarciando la terra e il corso del fiume. Cosa ne è dei due giovani innamorati? Come nelle migliori tragedie muoiono precipitando nella cascata: lei diviene rupe, lui un albero allungato sul fiume, ai piedi dell’albero una grotta dove si dice vivrebbe il dio serpente, il quale sorveglierebbe i due amanti perché non rompano mai il sacrilegio.
Sei rimasto, o no, caro iCrewer, senza parole? Io ho la classica pelle d’oca perché ho immaginato la scena e credimi, queste leggende rappresentano sempre l’impronta più bella e che meglio descrive queste località semi sconosciute, di una profondità culturale immensa.
E dopo quanto accaduto è inevitabile che tali cascate siano state annoverate tra le 7 meraviglie al mondo.
Ed ecco a noi le comunità indigene del Paraguay…
Andiamo quindi a parlare delle comunità di indigeni che persistono sul territorio del Paraguay. Il Gran Chaco, che si estende anche in Argentina, Bolivia e Brasile, è una pianura, immagina un po’, grande quattro volte l’Italia ed è abitata da 25 popoli indigeni; i quali vivono in piccole comunità disperse in questo immenso territorio che, peraltro, vanta un clima che è tutt’altro che ospitale. Ogni popolo, ma su questo non vi era dubbio alcuno, è ferreo nel mantenere, con ostinazione, il proprio patrimonio di tradizioni con annessi riti e idiomi. Penseresti che si parlano ben 10 lingue diverse?
Troviamo quindi la Comunità Chamacoco di Karcha Bahlut, all’estremo nord del Paraguay; si tratta di un luogo estremo, dove vivono i discendenti dei chamacoco. Qui, le donne producono tessuti e borse che vengono realizzate con una fibra piuttosto resistente, chiamata caraguatà, gli uomini, invece, procacciano coccodrilli (sì, hai capito bene, coccodrilli) e pescano il cosiddetto paku, un pesce di fiume che assume un gusto sopraffino se cucinato alla brace oppure condito con una salsa a base di verdure chiamata chupin. Per pescare utilizzano sia le reti, ma anche arco e frecce. In queste immense distese che costituiscono il loro territorio, raccolgono anche il miele. Abbiamo detto che queste comunità difendono, a spada tratta, le loro tradizioni, le loro credenze. A tal proposito, le pratiche religiose e mitologiche prevedono una rigida distinzione tra i sessi: per gli uomini è prevista una cerimonia di iniziazione a partire dalla quale si possono apprendere i segreti della religione e della mitologia, che al contrario vengono preclusi alle donne. Nella loro religione lo sciamano (konsehet) ha un ruolo centrale, in quanto deve combattere contro gli spiriti maligni che portano sventure e malattie. I Chamacoco si servono del canto degli uccelli per trarre segni premonitori. La loro cultura materiale si distingue da quella di altre etnie del Chaco per la realizzazione di oggetti di piume.
Abbiamo poi la comunità degli ayoreo, una comunità che vive in un terreno che le è stato donato dalla Chiesta Cattolica nel 1962; anche questi producono borse e tessuti in caraguatà, utensili e armi. Raffigurano i momenti salienti della loro vita, come la caccia alla tigre, tramite le arti drammatiche.
Ancora, vi è la comunità caduveo, che sono, per tradizione, degli abili cavallerizzi e grazie a ciò hanno ottenuto in dono un terreno di invidiabili dimensioni, dove hanno realizzato la loro riserva.
La comunità aché, in realtà, è quella che più mi ha colpita per il feroce genocidio che ha dovuto subire questa popolazione. E’ sempre triste conoscere di popoli che subiscono queste tremende vessazioni, questi soprusi, perché nessun popolo, nessuno mai, dovrebbe subire simili torture, dovrebbe mai essere umiliato come se la sua vita contasse meno del proprio aguzzino o di chiunque altro. Ebbene, negli anni ’50 -’60 quando prese il via l’espansione agricola nel Paraguay orientale, i cacciatori-raccoglitori Aché si ritrovarono costretti a difendere la loro terra e le loro foreste ma ben presto i coloni organizzarono spedizioni per uccidere gli uomini di questa popolazione, mentre le donne e i bambini venivano solitamente catturati e venduti come schiavi. Iniziò quindi un’epoca fatta di pestaggi, stupri e violenze dove molti perirono di malattie respiratorie e tanti altri vennero venduti come schiavi. Oggi i sopravvissuti al genocidio chiedono che venga loro riconosciuto un risarcimento. E lo ritengo giusto. Assolutamente. Anche se nessun compenso potrà mai rimarginare le profonde ferite cagionate a questa popolazione. Ho scelto una sola foto che, a mio avviso, è più significativa di ogni altra. E dire che questa popolazione ha una natura ospitale, anche se non nascondono la profonda gelosia nei confronti delle proprie tradizioni. Realizzano sculture in legno che vengono poi decorate con una tecnica particolare chiamata pirografia.
La letteratura Paraguyana
La letteratura paraguyana ha dato i natali ad uno dei più importanti autori di questo Paese, ti sto parlando di Augusto Roa Bastos. Il nostro autore è nato il 13 giugno del 1917 ad Asunción e sempre qui è morto il 26 aprile del 2005.
E’ autore di romanzi, racconti, poesie, drammi teatrali e sceneggiature cinematografiche, ed è considerato tra i grandi maestri della letteratura latino americana, ma anche una figura fondamentale della narrativa contemporanea. Già nel 1930, a soli 13 anni quindi, scrisse, in collaborazione con la madre, Lucìa Bastos, un dramma teatrale dal titolo La carcajada (“La risata”), che rappresentò in vari villaggi del Paraguay. Nel 1934 si arruolò nella guerra del Chaco, fra Bolivia e Paraguay, iniziata nel 1932 e ne ricavò una profonda delusione, unita ad un forte disgusto verso ogni tipo di vessazione. Dopo l’esperienza bellica lasciò incompiuti i propri studi per cominciare a lavorare come giornalista per il periodico El País, realizzando inchieste sulla condizione dei braccianti agricoli impiegati nei latifondi coltivati a yerba mate nelle zone al confine con il Brasile: in questo periodo vinse un premio letterario per il racconto Fulgencio Miranda, rimasto inedito, e pubblicò El ruiseñor de la aurora y otros poemas, una raccolta di poesie che presto ripudiò. Dopo aver fondato con Josefina Pla e Hérib Campos Cervera un gruppo di rinnovamento letterario chiamato Vy´a Raity (in guaraní il nido dell’allegria), fu invitato al British Council in Gran Bretagna, dove assistette agli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, ne descrisse le vicende nelle sue corrispondenze per El País. Lo scrittore tornò in patria nel 1946 ma a causa dei suoi feroci articoli nei quali attaccava i governi militari che si stavano succedendo in Paraguay, fu costretto all’esilio a Buenos Aires, dove cadde in una forte depressione; questo stato depressivo lo invogliò a scrivere con maggiore intensità. Risale a questo periodo la pubblicazione del libro di racconti El trueno entre las hojas (“Il tuono tra le foglie”) che attirò l’attenzione dell’ambiente letterario argentino e del regista cinematografico Armando Bo, che gli chiese di adattarne una parte a sceneggiatura per un film: l’inizio di questa attività gli permise per anni di sostenersi economicamente.
La maggior parte delle sue opere fu scritta in esilio, e Roa Bastos non smise mai di trattare nei suoi lavori le istanze storiche e sociali oltre che i miti e i simboli della sua terra natale; la sua stessa scrittura è a volte fortemente impregnata di termini guaraní, la seconda lingua ufficiale del Paraguay. Lo scrittore è considerato tra i maggiori esponenti della corrente del realismo magico. Nel 1989, alla caduta del regime di Alfredo Stroessner, lo scrittore riottenne i documenti dal suo paese di nascita; fu questo l’atto che pose termine a 42 anni d’esilio. Nello stesso anno ottenne il prestigioso Premio Miguel de Cervantes, considerato il più importante premio letterario per gli scrittori di lingua spagnola. Alla morte di Augusto Roa Bastos morì ed in occasione dei suoi funerali il Paraguay proclamò tre giorni di lutto nazionale.
La sua fama è dovuta principalmente al complesso romanzo Yo, el supremo (Io il supremo), un racconto sulla dittatura e sulla reazione del popolo, incentrato sulla figura di José Gaspar Rodríguez de Francia, il dittatore che incarnò il potere assoluto in Paraguay tra il 1814 e il 1840, per il quale ottiene il Premio Cervantes nel 1989.
«Io il supremo dittatore della Repubblica: ordino che al momento della mia morte il mio cadavere venga decapitato; la testa ha messo un luccio per tre giorni in Piazza della Repubblica, dove la gente sarà convocata dal suono delle campane lanciate sul volo. Tutti i miei dipendenti civili e militari subiranno la pena della forca. I loro corpi saranno sepolti nelle pareti dei pascoli senza una croce o un segno che merita i loro nomi.» Quell’iscrizione scarabocchiata sorprende una mattina gli scagnozzi del dittatore, che sono pronti a rimuoverla dalla vita dei soggetti terrorizzati del patriarca. L’opera non è solo uno straordinario esercizio di grande profondità narrativa, ma anche una testimonianza agghiacciante di uno dei peggiori mali contemporanei: il dittatore, il despota solitario che regna sul Paraguay è, nell’opera di Roa Bastos, l’argomento per descrivere una figura spietata che è anche una metafora della biografia dell’America Latina.
Dello stesso autore, due racconti che hanno attirato la mia attenzione, sarà che si tratta di romanzi che rientrano nella narrativa per ragazzi, sono Il pulcino di fuoco (El pollito de fuego) del 1974, edito da Mondadori nel 1994, che tratta di un pulcino caldo, quasi mistico. La storia riguarda Pippiolino che sembra un pulcino come tutti gli altri, ma a differenza dei suoi fratelli, i Pippioloni, è fatto di brace ardente e rischia di bruciare il pollaio solo sfiorandolo con un’ala. Che guaio, essere un pulcino di fuoco! Bisogna evitare la pioggia, sfuggire ai giornalisti curiosi e sopportare le prese in giro degli altri animali… Ma Pippiolino, con l’aiuto di don Prudenzio e donna Rosa, riuscirà a sentirsi meno solo e a dimostrare che a essere diversi spesso ci si guadagna, qualunque cosa ne pensino gli altri. Quest’ultima frase mi ha molto colpita, perché, in fondo, è la pura verità… non bisogna mai vergognarsi della propria diversità, anzi bisogna trarre da questa il nostro punto di forza per sentirci invincibili.
La seconda storia si intitola I bambini volanti (Los juegos de Carolina y Gaspar), del 1994, edito da Mondadori nel 1999 che tratta di questo: I due scatenati cugini Carolina e Gaspar, annoiati dalla scuola e dalle banalità quotidiane, volano prima con la fantasia, poi anche con il corpo, apprendendo segreti che solo gli uccelli possono insegnare. Questo a dimostrazione che la fantasia dei bambini non conosce limiti e che spesso, anche fantasticando, possono essere d’aiuto a noi adulti.
Bene caro iCrewer, siamo giunti al termine del nostro metaforico ed entusiasmante viaggio! Ma non temere: domani è già vicino per raggiungere un’altra meta, a presto!