Il Mozambico terra di conquista e colonizzazione: la sue lotte per l’indipendenza, le lotte interne… e il suono dei tamburi che sorvola i deserti e risveglia la sete di libertà, attraverso le parole di un poeta
Il tamburo è invecchiato gridando/ Oh, vecchio Dio degli uomini/ lasciami essere tamburo/ corpo e anima solo tamburo/ sono tamburo che grida nella calda notte dei tropici./ Non fiore nato nel bosco della disperazione/ non fiume che scorre verso il mare/ della disperazione/ non lancia temprata al fuoco vivo della disperazione/ nemmeno poesia forgiata nel dolore rosso della disperazione./ Niente!/ Solo tamburo invecchiato gridando alla luna piena del mio paese/ solo tamburo di pelle conciata al sole del mio paese/ solo tamburo scavato nei duri tronchi del mio paese./ Io/ solo tamburo che spezza il silenzio amaro di Mafalala/ solo tamburo invecchiato guidando il batuque del mio paese/ solo tamburo perduto nelle tenebre della notte perduta./ Oh, vecchio dio degli uomini/ io voglio essere tamburo/ e non fiore/ e non fiume/ e non lancia per ora/ e nemmeno poesia./ Solo tamburo che risuona come la canzone della forza e della vita/ solo tamburo giorno e notte/ notte e giorno solo tamburo/ fino alla consumazione della grande festa del batuque./ Lasciami essere tamburo/ solo tamburo!
Comincio così oggi, con una poesia dal titolo improbabile: Voglio essere un tamburo di José Craveirinha, poeta del Mozambico tratta da Karingana Ua Karingana (C’era una volta) (peccato non trovare una traduzione italiana di questo libro), una poesia per iniziare questa rubrica che parla di libri e autori dal mondo. Una poesia in perfetta sintonia con le storie della tradizione orale mozambicana che di villaggio in villaggio, in mille dialetti diversi tanti quante sono le etnie che convivono e hanno convissuto in questa porzione d’Africa, si espande nell’aria come suono di tamburo. Un continuo rimbombo che attraverso la voce del poeta racconta storie di libertà, in un mondo dove l’uomo non sfrutta l’uomo, per insegnare a guardare e vivere la realtà in modo più umano.
José Craveirinha
Poeta mozambicano e primo autore africano a vincere, nel 1991, il Prémio Camões, il più importante riconoscimento per la letteratura in lingua portoghese. Giornalista e membro del FRELIMO, con all’attivo quattro anni di reclusione per la sua attività politica, fu costretto a pubblicare molte delle sue opere usando uno pseudonimo. Sono nato per la prima volta il 28 Maggio 1922. Questo una domenica. Mi hanno chiamato Sontinho, diminutivo di Sonto. Questo da parte di madre, è chiaro. Da parte di padre sono rimasto José. Dove? Nell’Avenida do Zihlala, tra l’Alto Maé e Xipamanine. Quartieri di chi? Quartieri di poveri. Sono nato per la seconda volta quando mi fecero scoprire che ero mulatto. Poi andai nascendo in seguito alle circostanze imposte dagli altri. […] Nacqui ancora nel giornale O Brado Africano, lo stesso nel quale nacquero anche Rui de Noronha e Noémia de Sousa. […] Scrivere poesie, il mio rifugio, il mio Paese anche. Una necessità angosciosa e urgente di essere cittadino di questo Paese, molte volte, alle ore piccole.
Ho voluto riportare le parole di questo autore mozambicano che bene incarnano lo spirito di un Paese a lungo colonizzato e vittima di guerriglie fra fazioni interne che ne hanno snaturato la tradizione letteraria, per lo più orale. Un patrimonio orale, quello del Mozambico che continua ad essere trasmesso e incrementato ancora oggi anche se la produzione scritta, ormai, affianca la tradizione orale, seppur in ritardo rispetto agli altri Paesi Africani. La causa del ritardo va cercata prima di tutto nell’ingerenza del cattolicesimo, religione imposta dai coloni portoghesi, che ha represso, ingabbiato e ritardato ogni forma espressiva del popolo mozambicano a partire dal linguaggio, infatti la maggior parte della produzione letteraria del Mozambico è scritta in lingua portoghese. Per la serie, quando la religione diventa oppressione, anche Cristo è costretto a rimanere in Croce.
Nel 1918, la fondazione della rivista settimanale O Brado africano (Il ruggito africano), edita sia in portoghese che in ronga (lingua autoctona), grazie all’impegno dei letterati João Albasini e Estácio Dias, costituì il primo passo verso l’unità nazionale, letteraria assieme alla consapevolezza di essere popolo. O brado africano costituì un mezzo importante per molti autori mozambicani, attraverso le sue pagine fecero conoscere le loro opere, lo stesso João Albasini, con il suo libro di novelle O livro da dor (Il libro della sofferenza, 1925), ebbe il riconoscimento ufficiale di scrittore.
Da quel primo imput, altri scrittori e poeti emersero nel panorama letterario mozambicano e tra loro, João Dias (1926–1949), figlio del co-fondatore de O brado africano, Estácio Dias. Ricordato come iniziatore della letteratura di finzione mozambicana, scomparve tragicamente a soli 22 anni, la sua unica opera, Godido e altri racconti, pubblicata postuma, fu un caso letterario. Attorno alla sua figura si sviluppò la Brigada João Dias, che non fu una setta armata ma piuttosto una battaglia contro l’ignoranza: l’iniziativa di un gruppo di scrittori volti a sensibilizzare la popolazione di villaggi e fattorie, alla lettura e alla conoscenza degli autori mozambicani, sottovalutati e poco noti alle masse.
La fine della Seconda Guerra Mondiale fu uno spartiacque nella storia di molti paesi africani: la maggior parte degli stati, infatti, cessò la sua politica coloniale nel secondo dopoguerra. Non fu il caso del Portogallo: la strada per l’indipendenza della nazione, infatti, è ancora lunga e passa attraverso la fondazione del FRELIMO, Fronte di liberazione del Mozambico, un partito di matrice socialista a cui aderirono la maggior parte degli intellettuali dell’epoca. In questo periodo la letteratura è inscindibile dalla politica e la funzione sociale da sempre insita nella poesia mozambicana è più evidente che mai.
Nel dopoguerra, 1952 per l’esattezza, il periodico Msaho pubblica autori del calibro di Noemia de Sousa (1926–2002), fondatrice della Moçambicanidade, una sorta di movimento culturale nazionalista degli anni Cinquanta che definì ciò che si intendeva e si intende ancora, per cultura portoghese. Da questi primi passi in poi, letteratura e politica sono state a lungo inseparabili, tanto che un altro scrittore, Virgilio de Lemos, cui l’impegno politico costò l’esilio in Francia, sottolineava: Coloro che affermano che il poeta o un qualsiasi scrittore dovrebbe parlare con la sua voce individuale per esprimere le sue proprie esperienze seguono il sentiero della cultura Occidentale. Pensiero comune ancora oggi in Africa, almeno in parte, dal momento che c’è chi si fa promotore, nel mondo, di cultura in difesa dei diritti umani (mi riferisco a Soumaila Diawara o a Aboubakar Soumahoro, autori africani che ho avuto modo di trattare).
Geograficamente a sud-est dell’Africa, Africa nera, Africa colonizzata e sfruttata da secoli, il Mozambico si riappropria della sua indipendenza nel 1975, dopo anni di lotte e di sangue: con le sue spiagge incantate, le città coloniali retaggio del dominio portoghese, i villaggi di capanne, le foreste di baobab e mangrovie e le sue mille contraddizioni, è uno dei posti più suggestivi e più belli dell’Africa.
Dai San (boscimani) che furono probabilmente i primi abitanti, soppiantati fra il I e il IV secolo da popolazioni Bantu provenienti da nord, il Mozambico vide il suo territorio occupato dagli Arabi che fondarono sulle sue coste e isole diversi sultanati, convertendo gran parte della popolazione locale all’Islam. Quando alla fine del XV secolo, nell’ambito dell’espansione coloniale, alla ricerca di nuove terre e uomini da sfruttare i portoghesi, con Vasco De Gama, giunsero sulle coste del Mozambico, costruirono numerosi insediamenti, come basi di scalo e rifornimento per le navi sulla rotta delle Indie orientali.
Terra sfruttata per lunghi secoli, ricchissima di risorse naturali, con le sue forze migliori ridotte in schiavitù e la popolazione mescolata ai colonizzatori, dopo la seconda guerra mondiale e la spartizione dell’Africa fra le potenze europee, il Mozambico vede la nascita di un movimento di riscatto nazionale, il FreLiMo (Fronte di Liberazione del Mozambico) che reclama al potere coloniale il diritto di essere arbitro del suo destino, Dopo anni di guerriglia e sangue nel 1975 con la Rivoluzione dei Garofani, si realizza il sogno di libertà, tuttavia le lotte interne non smisero di scrivere scie di sangue sulla sua terra già rossa, mettendo a dura prova la sua economia che finì per diventare sempre più dipendente dall’Unione Sovietica. Quasi a voler confermare il fatto che, come spesso accade, chi si trova a gestire da solo le proprie sostanze e non è abituato a farlo, passa da un padrone all’altro, senza neanche rendersene conto.
La fine della lunga e cruenta guerra civile lasciava un paese stremato ma le lotte interne, senza esclusione di colpi, fra le due fazioni principali (FreLiMo e ReNaMo)sono continuate fino ai nostri giorni: è proprio dell’Agosto 2019 la firma di uno storico accordo di pace che dovrebbe porre fine alle ostilità, almeno lo speriamo.
Su una popolazione che supera i 20 milioni di abitanti, la quasi totalità è nera (98%) ed appartiene ad etnie di origine Bantu, completano la composizione etnica i bianchi africani di discendenza portoghese e le minoranze meticce ed asiatiche (indiani soprattutto).
Mia Couto
Fra i numerosi scrittori mozambicani mi piace fermare l’attenzione su Mia Couto, biologo e scrittore, forse il più conosciuto in Occidente e secondo scrittore mozambicano ad aver assegnato il premio Premio Camões, nel 2013. Mia Couto è autore di numerose opere tra raccolte di racconti e romanzi, alcune delle quali edite anche in Italia da Sellerio. La sua opera più famosa, Terra sonnambula (1992), approfondisce il periodo storico che il Mozambico attraversò dopo l’indipendenza politica dal Portogallo e fornisce un vivo ritratto di una terra divisa tra il ricordo di un passato mitico e un presente duro e disilluso. La confessione della leonessa romanzo del 2008, è invece ispirato ad un evento di cronaca (alcune donne divorate da leoni durante una spedizione scientifica): le donne lavoratrici vittime e specchio di una società maschilista e patriarcale in cui le donne devono continuamente guardarsi alle spalle per evitare di essere mangiate dalla vita e dalla società.
In un’intervista al The guardian del 15 Agosto 2015, Couto afferma:
Sono un uomo bianco e sono Africano; figlio di europei e mozambicani, uno scienziato che vive in un mondo molto religioso; uno scrittore in una società orale. Si tratta di mondi apparentemente contraddittori che mi piacerebbe unire perché sono parte di me. Quando penso a un personaggio, è una persona di colore, il 99% dei mozambicani sono neri… Voglio raccontare storie al confine, e che oltrepassano confini.
Mi piace concludere così, questo articolo dedicato ai libri dal Mozambico, con queste parole di ottimistica speranza per un Paese combattivo e coraggioso che cerca nella cultura un mezzo di riscatto.