La Mongolia: Ventun giorni e il profondo legame del popolo nomade con le proprie origini!
Caro iCrewer sei pronto per il nostro viaggio virtuale quotidiano? Bene, allora preparati perché oggi ce ne andremo in giro per l’Asia Orientale, visiteremo, e conosceremo, uno Stato che di certo ti affascinerà per la quiete dei suoi immensi paesaggi a stretto contatto con la natura e per le particolarità che questa terra cela in sé… ti sto parlando della Mongolia.
Inizio subito col dirti che questo Stato non ha accesso al mare… ebbene sì, in questo luogo non troveremo spiagge sconfinate e paradisiache, non ti sentirai cullato dalle onde che si infrangono sulla battigia, non sentirai il profumo della salsedine pervaderti le narici… no, nulla di tutto questo, ma ciò non toglie che si tratti, al pari di una località marina, di un luogo che ti lascerà dentro qualcosa, che ti regalerà sensazioni ineguagliabili solo guardando i paesaggi, che sembrano venuti fuori dal pennello di un pittore… non mi credi?Facciamo questo esperimento: chiudi gli occhi e immagina lande verdi sconfinate, cieli azzurri ai quali si aggrappano soffici nuvole bianche, e le montagne che si stagliano, quasi ad abbracciarlo, contro il cielo, tutto ciò non ti trasmette un senso di pace interiore? Un paesaggio che staresti a guardare per ore e la sensazione che ti susciterà sarà solo di serenità.
Un po’ di cultura generale…
La Mongolia confina a nord con la Russia e a sud con la Cina e la sua capitale è Ulan Bator. E’ una Repubblica parlamentare, ove la lingua ufficiale è il mongolo e la valuta è il Tugrik. Devi pensare, però, che vanta una superficie che copre tre volte quella della Francia, e la capitale, è la città più grande, tanto che la metà della popolazione è distribuita tra quest’ultima e la sua periferia, mentre l’altra metà è nomade, pensa un po’… Sento però di doverti dare un suggerimento, se deciderai di fare una capatina in questa località non ti consiglio di certo l’inverno: in questa stagione potrai trovare anche temperature sino a -50 (…) ragion per cui non mi ci troverai mai in questa stagione! Nel periodo estivo, invece, le temperature si aggirano introno a 40°: questo paese, in effetti, conosce ogni evento climatico, dal freddo, al caldo, dal vento, alla neve e alla pioggia, proprio per tale ragione le yurte sono costruite proprio per far fronte a tutte queste condizioni. La religione ufficiale è il buddismo tibetano, anche se troviamo anche l’Animismo che non è altro che una credenza popolare che consiste nel prestare agli elementi (oggetti, piante, animali…) un’anima che l’uomo dovrà rispettare, da questa credenza popolare ne deriva il cosiddetto sciamanismo, ovvero, si entra in contatto con queste anime e si interagisce; lo sciamano, quindi, è responsabile di questo legame tra gli elementi e gli uomini. I mongoli sentono molto le cerimonie religiose, e le praticano con attivismo, sono cerimonie molto protette, quindi, devi sapere sin da adesso, caro iCrewer, che se per caso volessi assistere ad una di queste celebrazioni, difficilmente sarai invitato a condividere questi rituali che si svolgeranno in una yurta o nei numerosi tempi del paese. Certo è, che trovare delle popolazioni che praticano queste celebrazioni religiose, ai nostri giorni, porta in sé un qualcosa che al tempo stesso racchiude misticità, esoterismo e fascino: il fascino di queste culture. Non è raro, infatti, che si chieda, tramite un’offerta agli spiriti, la benedizione per la partenza di un uomo per un lungo percorso, il che avviene gettando qualche goccia di latte con il dito anulare.
La Mongolia vanta una cultura molto ricca. Ad esempio, per i mongoli, la musica è un elemento rilevante nella loro vita quotidiana; possiamo trovare il canto diafonico, Khöömi, il quale esercita un certo fascino poiché permette al cantante di produrre due suoni differenti contemporaneamente: i cantanti prendono ispirazione dai suoni della natura, non lo trovi suggestivo?
Tra gli strumenti musicali trovaimo il Moriin-Khuur, ovvero il violino-cavallo e il suo nome deriva dal fatto che esso imita perfettamente l’andatura del cavallo: due corde di crine di cavallo ed una cassa di risonanza in legno. Anche lo sport ha la sua importanza, l’avresti mai detto che lo sport nazionale è il wrestling? Io no, assolutamente, eppure si organizzano importanti campionati in tutto il paese, anche se, v’è da dire che la lotta mongola si caratterizza per l’assenza di categorie di peso.
Uno sport che invece ha una stretta attinenza con la natura è la corsa dei cavalli, ma troviamo anche il tiro con l’arco, sport, questi, parecchio praticati, soprattutto durante la festa annuale del Naadam. Proprio le corse dei cavalli sono piuttosto particolari, nello specifico quelle dei bambini: questi montano il cavallo a pelo – ovvero senza sella – e percorrono molti chilometri al galoppo attraverso la campagna; per le famiglie è un onore essere rappresentati dai figli in queste gare, e un onore ancora maggiore è quello di vincerle, soprattutto se consideriamo che alle volte si tratta proprio di bambini di pochi anni. La festa nazionale del Naadam celebra l’indipendenza della Mongolia e si festeggia ogni anno l’11 e il 12 luglio e, in tale occasione, vengono celebrati i tre principali sport mongoli su descritti.
E sulla storia della Mongolia…?
Sì, hai ragione, nelle righe che precedono non ho fatto alcun cenno alla storia di questa terra, ciò non significa che ne è priva, anzi, tutt’altro, è una di quelle storie che restano incise negli annali, una di quelle che, se studiata a scuola, ricorderai sempre, se non altro per colui che ne è stato protagonista indiscusso: sai di chi sto parlando caro iCrewer? Del sovrano e condottiero Gengis Khan, che nasce come Temüjin, e sulla cui data di nascita si paleseno non poche incertezze, alcuni storici ritengono che l’anno di nascita risalga al 1155, altri al 1167, ma le cronache cinesi indicano l’anno 1162. Ciò che mi affascina, non sono solo i dati storici, ma in particolar modo le credenze popolari che ruotano intorno a questo condottiero: la tradizione mongola vuole che Gengis Khan nacque il giorno chiaro del primo mese dell’estate dell’anno del cavallo d’acqua del terzo ciclo (ogni ciclo del calendario mongolo, pensa un po’, durava 60 anni), e sempre la tradizione narra che venne alla luce stringendo nel piccolo pugno un grumo di sangue, segno che il suo destino sarebbe stato quello di un grande guerriero.
Non è affascinante?
La leggenda narra, altresì, che i capi dei Mongoli, riunitisi presso un bosco per eleggere il loro sovrano Temüjin, presero a discutere sul nome da dargli, e in quel momento udirono un’allodola cantare Gengis gengis. A quel suono un sacerdote esclamò: «Sentite? Sono gli dei a volere che si chiami Gengis, il potentissimo». Fu così che Temüjin divenne Gengis Khan, che in lingua mongola significa il più potente dei condottieri. Il condottiero, si dedicò ad un’amministrazione basata sulla scrittura, grazie a Tata Tonga, prigioniero che era a capo dell’amministrazione Naiman, a cui si chiese anche di insegnare la scrittura ai vari principi. Il tutto era posto sotto il controllo di Sigikan. Devi pensare che Marco Polo ne Il Milione descrisse il modo in cui Gengis Khan finanziava la sua spesa militare e i fasti della corte dell’impero mongolo. A questo conodottiero si riconosce l’essere stato un grande condottiero, oltre che un sovrano, che ha unificato le tribù mongole e fondato l’impero mongolo, conquistando gran parte dell’Asia centrale, della Cina, della Russia, della Persia, del Medio Oriente e di parte dell’Europa centrale, dando vita, in effetti – e anche se per breve tempo – al più vasto impero terrestro della storia umana.
Gengis Khan morì nel 1227, la causa della morte non è nota: secondo la Storia Segreta, della quale si dirà appresso, la morte fu cagionata da una caduta da cavallo, ma più probabilmente la fine del Gran Khan si legò agli scontri con i Tanguti.
Gengis Khan lasciò al figlio Ögödei un impero solido e pacifico con il quale si garantì la cosiddetta pace dei Mongoli, un impero che si estendeva dall’Europa Orientale al Giappone. Si narra che il corpo esanime del condottiero fu riportato in Mongolia e sepolto in una località segreta: dopo essere stata calpestata da centinaia di cavalli per cancellare ogni traccia della sepoltura, tutta l’area intorno venne dichiarata interdetta all’accesso e sorvegliata dalle guardie mongole.
Voglio terminare citandoti una curiosità: si dice che Gengis Khan avesse un falco che portava sempre con sé nelle battute di caccia, quale suo animale prediletto, in proposito disse:«migliore e più preciso di qualsiasi freccia il mio falco può librarsi alto nel cielo e scorgere tutto ciò che un essere umano non può vedere». Dopo la morte del falco il condottiero mongolo ordinò che gli si facesse una scultura d’oro.
E sulla letteratura mongola…
Per ciò che concerne la letteratura, è bene precisare che risalgono al XIII secolo le maggiori testimonianze in merito, poco prima ho citato La storia segreta dei mongoli, scritta nel XIII secolo d.C., si tratta della più antica opera letteraria in lingua mongola pervenuta, considerata come l’unico significativo resoconto mongolo su Gengis Khan. Si tratta di un poema scritto da un autore anonimo per la famiglia reale mongola attorno al 1240, qualche anno dopo la morte del condottiero, probabilmente in caratteri mongoli. È detta segreta poiché era originariamente destinata alla sola famiglia reale. Linguisticamente rappresenta la fonte più ricca per lo studio della lingua mongola pre-classica e del mongolo dell’età media, ritenuta un’opera della letteratura classica, non solo in Mongolia ma anche nel resto del mondo. Di pochi anni successiva, l’Historia Mongalorum, realizzata però da un italiano: Giovanni dal Pian del Carpine, uno dei primi seguaci di San Francesco e inviato da papa Innocenzo IV presso le popolazioni asiatiche nel 1245. La sua Historia è il primo, straordinario resoconto etnografico sui mongoli.
Tra gli altri scrittori mongoli che hanno suscitato la mia curiosità, vi è Galsan Tschinag, nato il 26 dicembre 1944 (età 74 anni), in Provincia del Bajan-Ôlgij, Mongolia, è uno scrittore mongolo che proviene da un background tuvan. E’ anche insegnante e attore. Ha studiato presso l’Università di Leipzig. È sciamano e capo della stirpe nomade dei Tuva. Trascorre gran parte dell’anno nella capitale della Mongolia Ulan Bator, durante i restanti mesi vive da nomade nell’Altai e intraprende viaggi di letture all’estero. Autore di numerosi romanzi e poesie, due suoi romanzi sono stati tradotti in lingua italiana e pubblicati a cura della casa editrice AER, Il cielo è azzurro e ventun giorni. Tra i due romanzi quello che più mi ha colpito è Ventun giorni che ci descrive quella che è la vita del popolo mongolo che erra tra le steppe, evidenziando l’innegabile legame dello stesso con questa terra. Galsan, invero, ci racconta del suo ritorno tra la sua gente. Ancora oggi, e nonostante i giacimenti di oro, platino e uranio che arricchiscono la loro terra, la popolazione tuvina resta profondamente legata a quelle che sono le proprie origini: l’allevamento del bestiame – cammelli, jak e renne –, tenendo fede, quasi con maestosa religiosità, a quelli che sono i propri usi e costumi antichissimi. I tuvini sono un popolo nomade e sentono come viscerale, familiare, ineludibile questo rapporto che li lega alle loro origini e alle tradizioni del passato. Galsan, per scelta, ha deciso di andare a vivere nella capitale, ha deciso di studiare, diventando persino un insegnante in una scuola superiore. Ma con questo romanzo, dal cui titolo deriva uno spaccato di vita vissuta, ci descrive i suoi 21 giorni vissuti a stretto contatto con una tribù di pastori, con i quali ha condiviso rituali, abitudini, ritrovando in tutto ciò la propria infanzia. Nel suo racconto descrive infatti solenni battesimi e funerali nella steppa, facendo vivere al lettore, quasi fosse presente, tutti gli avvenimenti che riguardano la tribù: ogni membro della stessa, infatti, è stato chiamato dal nostro autore a raccontargli la propria vita, ma anche tutte le leggende e le tradizioni, e lui, Galsan, nel suo romanzo, ce lo ha descritto magistralmente, ci ha disegnato la vita di un popolo che ha deciso di vivere in maniera ancorata alle proprie radici.
Bene, caro iCrewer, per oggi siamo giunti al termine del nostro viaggio… domani ti attende un’altra affascinante nuova tappa di questo nostro girovagare per il mondo!