Il nostro viaggio itinerante ritorna nel Continente nero alle falde del Kilimangiaro non proprio, per l’esattezza nell’Africa Sahariana affacciata sull’Oceano Atlantico.
In Mauritania
La Mauritania viene definita attualmente: terra di schiavi e di sabbie. Particolare attenzione si deve fare a seguito di un monito del 2012 in cui si vietano viaggi non essenziali nel paese, a causa dell’organizzazione terroristica di Al Qaeda del Maghreb Islamico con l’acronimo AQIM la quale è stata colpevole di numerosi incidenti negli ultimi anni e che sostanzialmente costituisce un pericolo per i viaggiatori che si recano in questa terra dove gli arabi musulmani la fanno da padrone. Ti definisco bene il motivo, l’AQIM è stata coinvolta nel rapimento di diversi occidentali, con l’uccisione di alcuni di loro e di altri turisti durante i tentativi di rapimento, e anche in attentati suicidi. A causa della guerra civile nel vicino Mali, dove l’AQIM ha stretti legami con i ribelli islamici, vi è una crescente minaccia per gli occidentali in Mauritania. Le regioni desertiche isolate lungo il confine con l’Algeria e in particolare vicino al confine con il Mali sono particolarmente pericolose. Naturalmente nulla di nuovo, in questi territori tutto è permesso ai manipolatori che acclamano Allah akbar.
Secondo il ‘Global Slavery Index’ stilato dall’ONG Walk Free nel 2016, in Mauritania l’1,06% degli abitanti è in condizione di schiavitù, il che fa del Paese africano la settima nazione al mondo per percentuale di schiavi sul totale della popolazione, preceduta da numerose nazioni in sesta posizione con l’1,13% (Repubblica Centrafricana, Libia, Somalia, Sud Sudan, Siria, Yemen, Afghanistan, Iraq, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Pakistan), dal Qatar (1,36%), dall’India (1,4%), dalla Cambogia (1,65%), dall’Uzbekistan (3,97%) e, prima in classifica, dalla Corea del Nord (4,37%). In questo preambolo sconfortante, quasi niente ha potuto fare una legge anti-schiavitù approvata nel 2015 dal Parlamento di Nouakchott, capitale di un Paese che di rado viene catapultato sotto i riflettori e ponte tra Maghreb e l’Africa occidentale subsahariana.
Come di consuetudine ci chiediamo da dove prenda il nome la Mauritania. Deriva semplicemente dalle antiche tribù berbere dei Mauri; i romani chiamavano con il nome Mauri tutti i popoli nativi del Nord Africa.
Questo stato è caratterizzato da un forte contrasto culturale tra il Nord arabo-berbero di cui fa parte circa il 70% della popolazione a fronte dei 3,6 milioni di abitanti, e il Sud più legato all’Africa nera. Il potere è rigidamente distribuito all’interno di un sistema di caste che vede la popolazione di origine araba al vertice della piramide sociale e gerarchica, mentre i Mauritani neri ne occupano i gradini più bassi. La Mauritania è stata vittima del colonialismo prima da parte della Spagna nel XV secolo e poi dalla Francia nel 1817, che prese il controllo della fascia costiera, imponendo ufficialmente un protettorato nel 1904. Prima di arrivare all’indipendenza una dozzina di colpi di stato sono stati al culmine di rivolte interne sanguinose; l’ultimo nel 2008.
Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale nel 2014, grazie ad Abdel Aziz presidente ed al ritorno di Nouakchott alla democrazia, hanno potuto riavviare i programmi di aiuti; l’Unione Europea ha scelto la Mauritania come uno dei propri interlocutori per il contrasto dell’immigrazione clandestina e la lotta al terrorismo internazionale, rappresentato soprattutto dall’AQIM (al-Qaida nel Maghreb Islamico); la battaglia contro il terrorismo islamico ha portato anche Washington a dialogare con Nouakchott, mentre la Cina ha considerato solo i suoi interessi economici insediandosi nel paese e aprendo delle miniere di ferro.
La schiavitù come tutti i mali è difficile da estirpare, ma oggi di schiavi in Mauritania ce ne sono?
I Mori neri di discendenza berbera e africana erano schiavi, mentre ora sono chiamati haratin, una sorta di liberti contemporanei. In un’intervista rilasciata alla BBC nel 2014, Boubakar Messaoud, fondatore dell’ONG Mauritana SOS Slaves, ha dichiarato che l’assenza di mercati degli schiavi per le strade di Nouakchott non significa che nel Paese la schiavitù sia stata abolita; al contrario, Messaoud denuncia come l’asservimento sia interiorizzato dai haratin come l’unica realtà a loro nota: Uno schiavo catturato conosce la libertà, quindi devi incatenarlo per tenerlo a bada. Uno schiavo mauritano, però, non ha bisogno di catene: i suoi genitori e i suoi nonni prima di lui erano schiavi, e lui stesso è stato allevato come un animale da soma. Le radici non si possono cambiare sono insite e fanno parte della cultura di un popolo sin dalla nascita, quindi un vero e proprio contraddittorio, quello che si sostiene e quello che è in realtà.
Volendo continuare su questo percorso increscioso, proprio come se fossero vite al limite, e lo sono, prendendo come approfondimento culturale la donna nello Stato Islamico, posso garantirti che questa non sarà una passeggiata ma un tour de force. Parrebbe il retaggio di un mondo passato, invece no, è un regime repressivo dove alle donne è vietato uscire di casa senza autorizzazione, e soprattutto senza essere sepolte sotto i burqa, quelle vesti che coprono tutto lasciando fuori solo gli occhi. La donna, nei paesi islamici, è considerata un essere inferiore e debole, ma è pensiero assai diffuso anche nella letteratura.
Già nel 1859 Gustave Flaubert in una lettera alla sua amica Louis Colet così scriveva:
La donna orientale è una macchina e niente più; non trova differenza tra un uomo e un altro uomo.
Comunque resta il fatto che la società islamica è patriarcale, e la donna è assoggettata alla mercé dell’uomo, e per questo non deve avere alcuna identità, neppure sessuale; ossia quella primordiale atavica e ormonale che rende le donne simili alle bestie e agli uomini identificati come genere. Per eliminare questa problematica, in modo da rendere la donna solo come animale riproduttore dei geni e ovviare al tradimento, questa datata obsoleta sciovinista religione, non saprei come altro definirla se non una mera trasposizione del pensiero maschilista, ha saputo ben imporre la pratica dell’infibulazione, un atto che mutila i genitali femminili privando la donna del piacere in modo tale che non provando appagamento, non avvertirebbe nessun interesse a tradire il marito, pena comunque la lapidazione. In tutto questo universo religioso maschilista non si è tenuto conto mai dei sentimenti e dell’amore.
NB: infibulazione asportazione o mutilazione genitale femminile, consiste nella escissione della clitoride, delle piccole labbra e di parte delle grandi labbra vaginali con cauterizzazione, cui segue la cucitura di gran parte della vulva, lasciando aperto solo un piccolo foro prossimale all’uscita dell’uretra per la minzione e l’imene parte esterna della vagina per la fuoriuscita del sangue mestruale, la penetrazione e il parto.
L’infibulazione e l’escissione del clitoride non sono menzionate dal Corano, ma sono presenti in numerosi Hadith: Narró Abu Huraira che tradotto significa: ho sentito il profeta dire: Cinque pratiche sono caratteristiche della fitra: circoncisione, rasarsi i peli pubici, accorciare i baffi, tagliarsi le unghie e depilare i peli delle ascelle – Sahih al-Bukhari, Volume 7, Libro 72, Numero 779 –
La letteratura della Mauritania decanta una interminabile tradizione, che ripercorre a ritroso i secoli, di cui rimane testimonianza nei manoscritti delle biblioteche private delle città storiche carovaniere. Quando al tempo delle predicazioni e conquiste almoravidi –popolo di conquistatori provenienti dal Sahara Occidentale, gli Almoravidi iniziarono la loro conquista partendo da sud e assumendo il controllo delle rotte commerciali trans-sahariane, per poi superare i monti dell’Alto Atlante e dilagare fino a impadronirsi di tutta la costa atlantica sotto la guida di Abu Bekr, il fondatore della città di Marrakech; Tachfine, grande condottiero e ambizioso politico, che vagheggiava la creazione di uno Stato ispirato ai princìpi più puri dell’islamismo. Dopo aver unificato tutta l’Africa nord-occidentale sconfiggendo le tribù del Rif e conquistando buona parte dell’attuale Algeria, Tachfine accorse in aiuto dei principi arabi di Spagna, sconfiggendo l’esercito del re di Castiglia nella battaglia di Zallaqa (1086) e assumendo personalmente il controllo sui territori musulmani in Europa. Suo figlio Ali ben Youssef completò la grande espansione almoravide, conquistando Madrid, Lisbona e le Isole Baleari. Il regno degli Almoravidi, che si estendeva dal Niger ai Pirenei comprendendo gran parte dell’Africa settentrionale e quasi tutta la penisola iberica, aveva così raggiunto, nei primi decenni del XII secolo, il suo massimo splendore– le città carovaniere divennero oltre a floridi poli commerciali, anche importantissimi centri di erudizione arabo-islamica, vennero fondate le più grandi università coraniche del mondo sahelo-sahariano. Nelle città di Chinguetti, Ouadane, Tichit e Oualata, arrivarono i più rinomati intellettuali dell’epoca e assieme al sale, l’oro e gli schiavi, le carovane cominciarono a far circolare un altro bene prezioso, i libri manoscritti.
Le biblioteche private, conservano ancora oggi migliaia di manoscritti, opera di trascrizione degli studenti delle scuole coraniche sui testi originali di origine mediorientale, sia opere letterarie autoctone in dialetto berebero e hassaniya, di scrittori eruditi in particolare originari di Chinguetti.
In questo Paese esiste anche una lunga tradizione nel genere della poesia popolare, tramandatasi fino ai nostri giorni, tanto da meritarle l’epiteto di paese dei mille poeti .
Come la musica, questo genere letterario per similitudine affonda le sue radici nella tradizione orale dei cantastorie e ancora oggi nel 2019, la poesia mauritana si recita, si canta e si scrive, spesso improvvisando: del tipo stasera si recita a soggetto.
Le lingue in cui si scriveva originariamente erano l’arabo-hassaniya, il pular, il soninké e il wolof ed in seguito alle colonizzazioni francesi a partire dagli anni sessanta anche il francese.
Tra i maggiori autori mauritani che hanno pubblicato in lingua francese possiamo annoverare: Ousmane Moussa Diagana è statoil primo ad aver pubblicato un’opera francofona, nel 1966 e Oumar Ba, essi appartengono a quella corrente di scrittori del sud che adottarono la lingua francese per protestare contro la supremazia culturale degli ambienti colti mauri, che essendo islamici, scrivevano solo in arabo-hassaniya.