Una civiltà che affonda le radici nella notte dei secoli: Ecuador (Repubblica dell’Ecuador), il fascino antico di uno dei Paesi dell’America latina
Situato nella parte nord-occidentale del Sudamerica, diviso verticalmente in tre grandi regioni continentali, Costa, Sierra e Oriente più una regione insulare, le Isole Galapagos, l’Ecuador (o Repubblica dell’Ecuador) è attraversato dall’Equatore da cui prende il nome: non so tu, ma io un viaggio in queste terre incantate lo farei volentieri, non solo per il gusto di viaggiare, immergermi e scoprire stili di vita, cibi, cultura e bellezze naturali inimmaginabili che incantarono ed ispirarono persino Darwin ma sopratutto, per ammirare le vestigia di un passato ormai perduto anche e purtroppo per mano di noi occidentali, di cui resta soltanto la memoria di una grande e misteriosa cultura. E che dire poi delle feste popolari con le ballerine dai costumi sgargianti che si muovono con grazia naturale al ritmo di antiche musiche andine?
Una grande e arcaica cultura quella dell’Ecuador che affonda le radici in un popolo antico e misterioso di cui ancora oggi si celano segreti millenari, mai scoperti ne svelati. Parlo degli Incas che tra il quindicesimo e il sedicesimo secolo conquistarono l’area fra le Ande e la costa dell’Oceano Pacifico e posero la loro capitale nell’odierna Quito, tutt’ora capitale del Paese. (La città, nel 1970, è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità per il centro storico meglio conservato e meno alterato di tutta l’America Latina).
Poi arrivarono gli occidentali, Spagnoli nello specifico, a devastare storia e tradizioni di quel popolo antico e misterioso, con l’intento di civilizzare chi era già, probabilmente, un passo avanti anche se in maniera diversa: è storia vecchia, trita e ritrita, l’ignoranza delle diversità crea sempre, in chi si sente un gradino sopra il resto del mondo, chiusure che si tramutano in violenza, sopraffazione e distruzione.
Occupata dagli Spagnoli, fin dal 1534, la regione ecuadoriana entrò a far parte del Vicereame del Perù ma nel 1563 si affrancò da esso, pur rimanendo pertinenza del Vicereame spagnolo. L’insediamento spagnolo si verificò soprattutto nell’area andina, dove l’abbondante popolazione india veniva utilizzata prevalentemente come mano d’opera agricola. Pressoché immune dalla colonizzazione spagnola rimase invece l’Oriente amazzonico.
Solo nel 1830 l’Ecuador diventa Repubblica indipendente, separato dalla Grande Colombia (vasta zona che comprendeva Colombia, Venezuela e Panama) non senza guerre civili e spargimenti di sangue: l’aspro conflitto fra i due settori dell’oligarchia dominante, facenti capo rispettivamente alla Sierra (conservatori, clericali) e alla Costa (liberali, laici), in cui era diviso il Paese diciamo, usando un eufemismo che non andava troppo d’accordo. Dopo la proclamazione della Repubblica, un regime dittatoriale e clericale, diede all’Ecuador un periodo relativamente stabile che promosse la costruzione di infrastrutture e sviluppò il sistema scolastico affidandolo al clero.
In seguito, lo sviluppo e la crescita dell’economia favorirono il rafforzamento degli ideali liberali, ridussero i privilegi della Chiesa cattolica e permisero la modernizzazione del paese. L’oligarchia però rimase il sistema di governo dominante e la grande maggioranza della popolazione rimase fuori della vita politica. Il 1930 vide l’ascesa di caudillos, leader carismatici che trovavano nelle masse urbane, prevalentemente meticce, la maggiore base di consenso.
Dopo varie vicende, disordini, colpi di stato, rivolte popolari, ascese al potere di dittatori e salvatori della patria che spesso salvano soltanto le loro tasche, eventi tipici di questa parte di mondo che ha forme di governo tutt’altro che stabili, nel 1990 gli Indios diedero vita a un proprio partito che rivendicava la proprietà collettiva della terra. Ma si sa, quando il popolo alza la testa c’è sempre qualcuno che gliela fa abbassare: crisi economiche in primis, colpi di stato e corruzioni varie, hanno dato all’Ecuador, paese con grandissime risorse naturali, alterna fortuna. Oggi è un Repubblica Presidenziale suddivisa in 24 provincie a loro volta suddivise in cantoni. Lo spagnolo è la lingua ufficiale ma sono diffuse varie lingue amerinde, considerate ufficiali dalla legge e parlate all’interno dei gruppi indigeni.
Le prime forme letterarie conosciute, sono quelle dell’Ecuador post colonizzazione e uno dei primi scrittori fu Jacinto Collahuazo, capo indigeno che malgrado la repressione e la discriminazione dei popoli nativi da parte degli Spagnoli, imparò a leggere e a scrivere in castigliano. Le sue opere, scritte in lingua quechua, (una delle lingue amerinde) dovettero dare molto fastidio agli colonizzatori che videro un pericolo per il loro potere, (si sa un uomo o un popolo istruito è più difficile da assoggettare) ne ordinarono la distruzione tramite rogo pubblico e non contenti, imprigionarono l’autore affinchè il pericolo-diffusione dell’istruzione fosse scongiurato. Alcuni stralci dei suoi scritti furono ritrovati dopo molti secoli, in particolare una poesia che descriveva l’impotenza e la tristezza del popolo Inca per la perdita del suo re.
Altro scrittore del passato da ricordare è Eugenio Espejo, patriota considerato il primo giornalista dell’epoca coloniale, fu ispiratore dopo la morte, avvenuta in carcere nel 1795, della rivoluzione del 1809, a riprova del fatto che si possono uccidere e far tacere gli uomini ma mai le idee. Josè Joquin de Olmedo, oltre ad essere uno scrittore fu anche presidente dell’Ecuador nel 1945, scrisse numerosi poemi tra i quali il famoso La victoria de Junin: Canto a Bolivar, un’ode al liberatore delle Americhe Simon Bolivar.
Tra i contemporanei più famosi non posso non citare i poeti Jorge Carrera Andrade e Luis Costales, alcuni fra i novellisti Jorge Enrique Adoum, Gabriela Alemán e il saggista Benjamín Carrión.
Consentimi anche qui, caro iCrewer in questa rubrica, una botta poetica per approfondire la conoscenza del poeta più noto e più cosmopolita dell’Ecuador che fece della sua poetica un mezzo per aprire la via della cultura del suo Paese ai grandi movimenti artistici dell’America Latina, accostandosi alle avant-garde del periodo.
Jorge Carrera Andrade, nato a Quito nel 1903 dove morì nel 1978. Cosmopolita per formazione, superò i confini locali grazie alla sua attività diplomatica. Frequentò la Facoltà di Giurisprudenza di Quito, e quella di Filosofia e Lettere di Barcellona (Spagna) e ad Aix (Francia). Fu politico e diplomatico, segretario generale del Partito Socialista Ecuadoriano, segretario del Senato e del Congresso e console del suo paese in Paita (Perù), Le Havre (Francia), Yokohama (Giappone) e San Francisco (Stati Uniti). Segretario d’Ambasciata in Venezuela, ministro plenipotenziario in Gran Bretagna e delegato per l’UNESCO.
Nei primi tre decenni del XX secolo l’Ecuador conobbe un periodo di democratizzazione: occasione che permise agli intellettuali di avvicinarsi in maniera attiva e critica alla vita sociale. Gli operai e i contadini conobbero la lotta sindacale per il riscatto dei loro diritti e, in questo contesto di rinnovamento, all’interno di quella corrente definita “postmodernismo ecuadoriano”, si colloca la poetica di Jorge Carrera Andrade che risente moltissimo, nelle sue tematiche, del tempo in cui vive.
Fra le sue opere giovanili si annoverano, Estanque inefable (1922), Guirnalda del silencio (1926), opera questa che preoccupò non poco i politici del tempo, in quanto Carrera cominciava a delineare e costruire una sua identità poetica distinta, umana, universale e rivolta ad eliminare ogni disparità fra gli uomini. Nel 1977, Jorge Carrera Andrade, ricevette il Premio Nacional de Cultura di Ecuador.
Tra il 1957 e il 1959 pubblicò Hombre planetario, opera chiave, indicativa della sua maturazione poetica. Un lungo poema incluso nella raccolta che comprende le poesie scritte tra il 1957 e il 1963, di cui riporto uno stralcio:
senza memoria, sete d’ombra verde;
e delle prodigiose Capitali;
marinaio di tutte le finestre
della terra stordita dai motori.
di pesciolini e bambù,
fratello della notte;
il pescatore della Polinesia,
un accordo di pace fino alla morte.