Cronache di umanità dal Burundi, un piccolo stato nel cuore dell’Africa.
Quando mi è stato chiesto di scrivere un pezzo sugli autori di questo paese per questa nostra rubrica che ci porta in giro nel mondo a volo di uccello su pagine di storia e libri, confesso di esser rimasta un po’ smarrita. Mi sono resa conto di non conoscere nulla del Burundi, a malapena dove fosse.
Così ho cominciato a fare delle ricerche per conoscerne prima la storia e poi gli autori, e ho deciso di presentarti lui: Gaël Faye con il suo libro Piccolo paese, edito Bompiani nella traduzione di Mara Dompè.
Gaël Faye è un famoso rapper, con un passato nella finanza. Nasce in Burundi nel 1982 da padre francese e madre ruandese di etnia Tutsi, per la precisione. E questo dettaglio, che può sembrare solo una mera puntualizzazione, in realtà è una chiave fondamentale per capire non solo la sua storia, ma anche quella del suo paese e, più in generale, quella di questa parte d’Africa.
L’insanabile frattura tra Tutsi e Hutu, infatti, è un terribile conflitto etnico che dura da molto tempo e che coinvolge, oltre al Burundi, anche il Ruanda (non si può dimenticare il terribile genocidio del 1994). L’idea che alla base ci sia una differenza razziale è un lascito del primo colonialismo belga, ma la questione purtroppo è ben più complessa.
Nel prologo si legge:
“(…) “Dovete sapere che le cose in Burundi sono come in Ruanda. Ci sono tre diversi gruppi, le cosiddette etnie. Gli hutu sono di più, sono bassi e hanno il naso grosso.”
“Come Donatien?” avevo chiesto.
“No lui è zairese, non c’entra. Come Prothé, piuttosto, il nostro cuoco. Poi ci sono i twa, i pigmeni. Ma loro lasciamoli stare che sono pochi. Diciamo che non contano. E poi ci sono i tutsi, come vostra madre. I tutsi sono molto meno degli hutu, sono alti e magri e con il naso sottile, e non si capisce mai cosa gli passi per la testa. Tu, Gabriel,” aveva detto puntualmente su di me, “sei un vero tutsi: non si capisce mai che cosa pensi.”
In quel momento neppure io sapevo cosa pensavo. E comunque cosa si può pensare di tutta questa storia? Allora ho chiesto:
“I tutsi e gli hutu si fanno la guerra perché non hanno lo stesso territorio?”
“No, non è per questo. Vivono nello stesso paese.”
“Allora… perché hanno un’altra lingua?”
“No, parlano la stessa lingua.”
“Allora perché hanno un altro dio?”
“No, hanno lo stesso dio.”
“Allora… perché si fanno la guerra?”
“Perché non hanno lo stesso naso.”
La discussione era finita lì. Quella faccenda però era strana, e probabilmente nemmeno papà ci capiva un granché. (…)”
Gabriel è il protagonista di Piccolo paese e la sua storia è un po’ quella di Gaël. Anche lui si è scontrato da bambino con il dolore della separazione dei genitori, una guerra civile, la scoperta di essere un meticcio in una società dove l’appartenenza a una parte o a un’altra è fondamentale, e il trasferimento in Francia. Anche lui, però, tornerà nel suo paese, molti anni dopo.
Piccolo paese è il primo romanzo di Gaël Faye e nel 2016 ha vinto sia il Prix du roman Fnac 2016 sia il Prox Goncourt des Lycéens 2016.
TRAMA
1992. Gabriel vive a Bujumbura, in Burundi, in un quartiere di espatriati. Suo padre è francese, sua madre del Ruanda. Ha una sorella più piccola, Ana, e una banda di amici inseparabili – Gino, Armand, i gemelli – cresciuti insieme a lui nel vicolo: le loro giornate cominciano quando finisce la scuola e viene il momento delle case sugli alberi, dei furti di manghi nei giardini degli altri, delle avventure lungo il fiume, delle chiacchiere sbruffone e sognanti dentro il guscio di camioncino che è il loro quartier generale. Poi i genitori che si separano, le prime elezioni del paese, la guerra civile: Gaby credeva di essere soltanto un bambino e si scopre meticcio, tutsi, francese. Il papà vuole spedire tutti in Europa, la mamma decide di restare, strappata a metà, trasformata per sempre dai lutti più feroci: in un attimo la paura rovescia tutto, invade le vite di tutti, mette fine all’infanzia e costringe ad andarsene, a disperdersi, a perdersi. Passeranno anni prima che Gaby faccia ritorno nel suo piccolo paese, alla ricerca della sua età d’oro, o di quello che ne è rimasto.