Faruk Šehić,il veterinario che racconta la sua terra divisa!
Erano gli anni ’90, gli anni roventi della guerra fredda, me li ricordo bene! E’ inevitabile, quando scoppia una guerra, anche se lontana da te, l’eco delle tensioni e della paura si avverte, come avere un nemico alle spalle e non vederlo. La Guerra dei Balcani capace di dividere in quattro pezzi la Jugoslavia di un tempo, non ha solo prodotto tensioni politiche indicibili ma distrutto nell’anima chi, fortunosamente, ne è uscito indenne. I sopravvissuti di Sarajevo, quelli che hanno saputo raccogliere le forze, soprattutto quelle letterarie, traducendo in parole o in versi i dolori di un guerra fratricida, al limite della deportazione, non hanno più lo sguardo di un tempo.
Introduzione probabilmente un po’ troppo severa ma il nostro treno letterario tra poco si fermerà a Sarajevo e chi, come me, ha seguito le vicende tristemente famose di questa città, non può non abbassare lo sguardo ricordando il passato. Per i giovani della nuova generazione, invece, il conflitto e tutto quello che la Jugoslavia sarebbe diventata e le federazioni che si sono create è stato affidato al più grande libro esistente: la Storia!
E allora vieni con me a conoscere questa piccolo lembo di terra che è la Bosnia Erzegovina e i suoi scrittori più rappresentativi.
Come ti ho accennato, dopo la guerra dei Balcani e per effetto degli accordi di Daytona, la Bosnia Erzegovina è diventata una repubblica federale divisa i due parti, La Federazione Di Bosnia Erzegovina e la Federazione Serba e il distretto autonomo di Brcka, tre realtà contraddistinte dalla presenza di etnie diverse tra loro anche da un punto di vista religioso come gli islamici, gli ebrei, i cattolici e gli ortodossi, in qualche modo, fonte di dissidi e causa scatenante della guerra stessa. Anche la struttura morfologica del territorio è a rischio geologico e questo crea qualche preoccupazione in più, ma la particolarità è data dal Mar Adriatico che per 20 km bagna il territorio bosniaco per effetto di una legge internazionale dell’ONU che ha concesso il diritto di passaggio balneare sul litorale della città di Neum.
La storia ci tramanda i primi insediamenti Illirici, le invasioni degli Ottomani, l’acquisizione all’Austria, poi al regno di Yugoslavia e infine alla Croazia, segnato dalle profonde epurazioni etniche da parte del governo nazista. Tito fa quel che può, crea lo Stato Unico di Jugoslavia ma, alla sua morte, il sogno di una regione unita svanisce annullata dall’insurrezione di etnie nazionaliste nei confronti di quelle annesse e dalla contestazione al genocidio il passo è stato breve.
E’ In questa atmosfera di grandi contrasti religiosi e di conseguenza politici che si formano le logiche di pensiero, influenzate dalla cultura mediterranea, dell’esteuropeo in cui moderno e tradizioni letterali antiche hanno dato vita, negli anni ’50, ad una forma di letteratura cantata come le canzoni d’amore di Ivo Andric, un serbo cattolico cresciuto in Bosnia, premio Nobel per la letteratura nel 1961. autore de Il ponte sulla Drina (Na Drini cuprica), suo romanzo d’esordio pubblicato nel 1945, pochi mesi dopo la fine del secondo conflitto mondiale, in cui un ponte dell’età ottomana univa simbolicamente i popoli bosniaci. Il premio gli dette la tanto attesa popolarità e il libro infatti arriva anche in Italia nel 1962, tradotto per Mondadori, un testo importante purtroppo da noi poco conosciuto. Tutti i racconti, le poesie e i romanzi pubblicati da Andrić sono collegati – come dicevamo prima – alle sue vicende personali e alla storia della Bosnia, sua terra natale. Il ponte sulla Drina è infatti ambientato a Višegrad, cittadina oggi situata al confine orientale della Bosnia, che per secoli fu città di frontiera tra l’Impero ottomano e l’Occidente cristiano.
Alla confluenza di due mondi quello cristiano e quello musulmano sorge Visegrad in Bosnia, da sempre città di incontro tra diverse razze, religioni e culture. Ed è qui che nel Cinquecento il Visir Mehmed- pascià fece erigere un ponte, diventato il simbolo dell’oppressione perchè costruito grazie alla fatica e ai sacrifici di molti cristiani, ma anche una testimonianza della fusione di due diversi mondi. Il ponte è al centro del romanzo di Andric: un grande affresco che va dal Cinquecento alla Prima guerra Mondiale e che ha per sfondo una Bosnia romantica con le sue complesse vicende storiche ma anche con i drammi quotidiani degli uomini che vi abitano. Andric si conferma cantore e interprete di questa terra tormentata.
Un altro autore significativo, molto più giovane, è Faruk Šehić, poeta, scrittore e giornalista bosniaco, nato nel 1970 a Bihać e cresciuto a Bosanska Krupa. Dopo aver studiato medicina veterinaria a Zagabria, allo scoppio della guerra in Bosnia, nel 1992 ritorna per arruolarsi nell’Esercito della Bosnia Erzegovina ma viene ferito gravemente a un piede. Alla fine della guerra inizia a studiare Letteratura all’Università di Sarajevo dove attualmente vive, scrive e lavora come giornalista per il settimanale bosniaco di attualità BH Dani.
Le esperienze della guerra hanno certamente formato il senso letterario ma soprattutto poetico dello scrittore, considerato, per questo, una delle voci più autentiche della ex-Jugoslavia. I suoi libri raccontano la quotidianità, la violenza, ma anche l’umanità di un popolo oppresso.
Ha pubblicato due raccolte poetiche, Pjesme u nastajanju (Poesie in divenire, 2000) e Hit Depo (Hit Depo, 2003), come diversi racconti brevi, tra cui Sotto pressione (2004) e Transsarajevo (Zagabria, 2006). Il suo primo romanzo Knjiga o Uni (2011; Il mio fiume, 2017) ha vinto nel 2011 il Meša Selimović Prize (assegnato da «Cum Grano Salis Festival» di Tuzla) per il Miglior romanzo pubblicato in Serbia, Bosnia e Herzegovina, Montenegro e Croatia; infine nel 2013 gli è riconosciuto anche il Premio dell’Unione Europea per la Letteratura.
Il mio fiume è senza dubbio il suo libro più famoso:
Essere di nuovo intero, ricucire gli stralci del tempo e dello spazio spezzati dalla guerra per trovare una continuità e superare il proprio trauma è ciò che Mustafa Huser, poeta e soldato, si propone di fare. Nasce così un labirinto onirico che si dipana su tre tempi diversi: quello dell’innocenza, l’infanzia e la giovinezza in un paesino bosniaco sulle rive del fiume Una, dove il protagonista vive immerso nell’idillio della natura, innamorato del fiume, dei suoi abitanti reali o immaginari, della sua vegetazione rigogliosa e dei cicli vitali che detta inesorabilmente. Irrompe poi il tempo della distruzione, quando sulla linea del fronte Mustafa percorre i meccanismi di lucidità e follia di chi si trova a imparare a odiare e uccidere per sopravvivere. Infine, il dopoguerra,” carico dei fantasmi e dei tentativi di tornare alla normalità in una città e un Paese ormai distrutti. E proprio da questa impossibile normalità Mustafa ci conduce nel suo mondo interiore allucinato, rabbioso, doloroso e tenero. Il linguaggio si accorda al percorso intimo del protagonista: ora è malinconico, ora crudo. Sulle rive del suo fiume immutabile ed eterno, Mustafa, archivista e cronista del mondo passato, affida alla parola scritta il compito di ricreare la bellezza di quanto è andato perduto.