Siamo abituati, nei nostri tempi moderni, a pensare alle vicissitudini di una storia come un progredire, più o meno lineare, che parte dall’idea di un autore, passa per la parola scritta, arriva ai lettori e, nel caso in cui abbia particolare successo, giunge fino agli schermi. Ecco, per il Ciclo dell’Ulster – e per molta parte della letteratura antica – il processo è stato ben diverso.
Le cronache, le leggende, i miti vivevano, infatti, per secoli nelle voci degli anziani che li narravano ai più giovani, assicurandosi, così, che il sapere del popolo continuasse a venire tramandato di generazione in generazione. In primo luogo perchè, in alcuni casi, la lingua scritta ancora non esisteva – e magari tutt’ora non esiste, e le uniche trascrizioni sono in un idioma diverso da quello nativo – poi perchè la scrittura era appannaggio di pochi. Infine, perchè i libri nei tempi antichi erano veri e propri beni di lusso.
Per questo motivo, quando ci troviamo di fronte a vicende ambientate nella notte dei tempi, a narrarcele è sempre un autore – anche se forse si potrebbe quasi chiamare trascrittore – che le ha sentite raccontare e ha deciso di metterle per iscritto secoli dopo il loro avvenimento, perchè particolarmente importanti per il patrimonio culturale di un popolo, oppure molto diffuse e famose, o ancora per caratteristiche peculiari che riteneva importanti. È successo così con Le fiabe del focolare dei fratelli Grimm e, prima ancora, con il Ciclo dell’Ulster.
Ciclo dell’Ulster: uno dei fondamenti della mitologia irlandese
Il Ciclo dell’Ulster è una delle quattro raccolte di leggende e miti che si trovano alla base della mitologia irlandese. Gli altri tre cicli sono quello mitologico, quello feniano e quello storico.
Ambientato in un tempo che dovrebbe coincidere con l’avvento di Cristo, il corpus narra le vicende di re ed eroi dell’Ulaid, un regno gaelico medievale situato nel nord-est dell’isola irlandese (non teniamo conto della divisione tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, in quanto si tratta di una separazione successiva). A brillare particolarmente sono il re Conchobar mac Nessa e l’eroe Cú Chulainn, che da solo compie molte delle imprese narrate in queste storie.
All’interno del Ciclo dell’Ulster, affianco a racconti di usanze, di banchetti, della struttura della società irlandese medievale, un posto d’onore va sicuramente al racconto Táin Bó Cúailnge, in italiano La razzia dei bovini del Cooley, spesso noto semplicemente come La grande razzia. È la storia di uno scontro, di una grande battaglia intrapresa per il possesso del grande e fertile toro Donn Cúailnge di Cooley.
Tutto hai inizio quando il toro Finnbhennach lascia la mandria di Medb, regina del Connacht, in favore di quella del marito di lei. Per sopperire alla mancanza, la regina cerca di prendere in prestito per un anno il toro di Cooley, nell’Ulster, di cui tutti elogiano forza e fertilità. I suoi messi, però, rivelano per errore al padrone di Donn Cúailnge le vere intenzioni della donna: per contratto o con la forza, la regina è intenzionata a impadronirsi dell’animale a ogni costo.
Ovviamente il contratto salta, e per l’affronto subito Medb decide di dichiarare guerra all’Ulaid. Tuttavia, gli uomini del regno vengono colpiti da una maledizione che li costringe a letto, malati, per mesi e rende lo impossibile fronteggiare l’attacco nemico. L’unico rimasto a difesa del regno – e del toro – è il diciassettenne Cú Chulainn, il quale si fa largo tra le fila nemiche fino a quando non è in grado di richiedere che la battaglia sia risolta con duelli individuali.
Inizia quindi una lunga, lunghissima serie di scontri che vede il giovane contrapposto a ogni singolo guerriero dell’esercito del Connacht. Cú Chulainn combatte strenuamente, viene aiutato da alcuni dei e si oppone ad altri, ma alla fine la battaglia campale è inevitabile – una volta che gli uomini dell’Ulaid sono tornati in forze.
Sebbene, narra il Ciclo dell’Ulster, la vittoria sia dell’esercito difensore, Medb ruba comunque il toro e lo porta nelle sue terre. Qui, però, Donn Cúailnge e Finnbhennach finiscono per lottare fino alla morte dell’animale della regina. Il toro di Cooley non esce indenne dallo scontro e, dopo essersi trascinato, ferito, per molti luoghi d’Irlanda, torna nella sua terra natale, per morire.
Le due versioni di Táin Bó Cúailnge
Come dicevo in apertura, la versione scritta del Ciclo dell’Ulster è successiva alla nascita dei racconti orali. Non deve quindi stupirci che ci siano più versioni delle leggende che lo compongono. La maggior parte dei stesti sono racchiusi in due manoscritti, il Lebor na hUidre e il Lebor Laignech, che contengono rispettivamente la più completa e la più lunga versione di Táin Bó Cúailnge.
Il Lebor na hUidre è un manoscritto in pergamena risalente al XII scolo ed è il più antico libro scritto in irlandese. Le sue condizioni di conservazione non sono per nulla ottimali, visto che i soli sessantadue fogli giunti fino a noi (è plausibile credere che ce ne fossero molti di più) lasciano molti racconti incompleti.
Il Lebor Laignech, invece, è in condizioni decisamente migliori. Anch’esso scritto intorno al XII secolo dopo Cristo – in particolare, si pensa che la maggior parte del lavoro sia stato fatto negli anni Sessanta del 1100 – è tutt’ora composto da cento novantasette fogli, e si stima che ne siano andati perduti soltanto quarantacinque.